È GIUSTO VIETARE CHE CHI OFFRE SERVIZI PER L’IMPIEGO SI FACCIA PAGARE DAI LAVORATORI?

LA RATIO DELLA NORMA INTERNAZIONALE CHE PONE QUESTO DIVIETO E IL MECCANISMO ECONOMICO DI REDISTRIBUZIONE AUTOMATICA DEL COSTO SULLE DUE PARTI DEL CONTRATTO, QUANDO QUESTO VIENE EFFETTIVAMENTE STIPULATO

Lettera pervenuta l’8 settembre 2015 – Segue la mia risposta.

Caro professore, in relazione al suo post del 4 settembre a proposito dei nuovi servizi per l’impiego, ho pensato che, forse, sarebbe opportuno, in via transitoria o in via definitiva, aggredire un tabù: la gratuità, e credo che solo lei possa, volendo, affrontare una simile scandalosità. Mi spiego meglio. Mentre la vecchia economia analogica si basava sulla scarsità dei beni e dei servizi, la nuova economia digitale si basa sull’idea dell’abbondanza, in base ai costi marginali quasi zero che le nuove tecnologie rendono possibili, sia a livello di produzione che a livello di distribuzione. Per cui c’è uno spazio infinito per la gratuità, sia nel senso che un prodotto o servizio possa essere donato da chi lo produce o fornisce, sia che possa essere pagato a questi da altri, pubblicità, mecenatismo, altro. Ma tutto questo vale soltanto per ciò che può essere digitalizzato, in un modo o nell’altro, non per ciò che deve ancora essere prodotto o fornito ad personam. Non a caso, mentre la rivoluzione digitale mette a rischio le funzioni a medio livello di conoscenza, non tocca quelle ad alto livello né quelle a basso livello o, comunque difficilmente standardizzabili. E i servizi per l’impiego, così come lei correttamente li disegna, dovrebbero essere personalizzati al massimo, pur dovendosi inserire in una rete di conoscenze digitalizzate o digitalizzabili. Allora, se ci vuole una persona preparata, attenta, partecipe, che possa non soltanto pigiare dei bottoni ma, soprattutto, scegliere quali bottoni pigiare, dopo aver colloquiato con il diretto interessato e averlo informato delle diverse possibilità di lavoro, derivanti dall’intersezione delle sue capacità/disponibilità, comprese le competenze conseguibili con opportune, valide iniziative formative, e il mercato del lavoro circostante o più lontano, e se questa persona non si trova già all’interno della pubblica amministrazione, che cosa possiamo fare?
A prima vista è semplice rispondere. Possiamo acquisire le collaborazioni personali necessarie dal mercato, come hanno fatto finora i centri per l’impiego già provinciali; possiamo fare delle convenzioni con soggetti privati commerciali o no profit, come si sta facendo o si farà; ma tutto ciò sarà comunque legato alle disponibilità del bilancio pubblico che, come sappiamo bene, è oggi asfittico. Quindi, perché non vogliamo nemmeno porci il problema che questi servizi possano essere acquistati liberamente su un mercato, che sia ben disciplinato e controllato? Gli imprenditori privati possono già offrire ai loro dipendenti in esubero, come del resto avveniva prima, servizi di outplacement; Manageritalia offre, da qualche tempo,  ai dirigenti che perdono l’impiego un servizio di questo genere; ma perché un lavoratore qualsiasi non può comprare, pagando di tasca sua, se nessun soggetto terzo, di qualunque natura, paga per lui, un servizio del genere? Lei che ne pensa? Del resto si è aperto da qualche tempo un dibattito, per la verità poco praticato, sulla gratuità in relazione alla donazione del sangue e uno, ancor più delicato, sulla donazione degli organi da vivente a soggetti terzi e, di là da qualunque considerazione etica, ci sono pareri discordanti sulla maggiore efficienza di un  mercato della salute nel quale sia lasciata la libertà, a certe condizioni e con adeguati controlli, a persone ben informate di scegliere come gestire la propria vita e il proprio corpo. Oltre tutto, come sappiamo troppo bene, quando si nega la possibilità di esistere regolarmente a un mercato che è necessario si rischia che si crei un mercato nero, con tutto quello che ciò comporta.
Cordialmente
A. M. Orazi

La questione posta da questa lettera merita di essere approfonditamente discussa. Con l’auspicio che una discussione si apra, e al suo servizio, propongo soltanto tre osservazioni preliminari, rispettivamente di ordine giuridico, economico e di attualità legislativa.
1. La convenzione O.I.L. n. 181/1997, nel delineare una nuova disciplina internazionale della materia dei servizi per l’impiego aperta al contributo delle agenzie private, ha posto una regola generale di gratuità dei servizi stessi per i lavoratori che ne usufruiscono (art. 7, c. 1); essa ha però contestualmente ammesso deroghe a questa regola da parte delle legislazioni nazionali “per alcune categorie di lavoratori e per servizi specificamente identificati” (c. 2). In proposito va ricordato anche l’articolo 1, c. 3, della Parte II della Carta Sociale Europea, che contiene l’obbligo per gli Stati ad essa soggetti di fornire ai lavoratori un servizio di collocamento gratuito (questa disposizione non vieterebbe, però, dove non si applicasse la regola posta dalla convenzione O.I.L. n. 181, che altri servizi fossero offerti ai lavoratori da operatori privati a titolo oneroso).
2. La scienza economica insegna che il gravame imposto su di una delle parti del contratto da una regola come quella posta dalla convenzione n. 181/1997 di cui si è appena detto (imposizione sul datore di lavoro dell’intero costo della mediazione) finisce coll’essere di fatto sopportato da entrambe le parti, per effetto di una corrispondente variazione compensativa del corrispettivo del bene o servizio oggetto del contratto, che finisce col determinarsi automaticamente. Se, ciononostante, la norma internazionale conserva la propria ragion d’essere, è perché l’imprenditore tipicamente dispone di una informazione molto più compiuta sul mercato del lavoro e la disponibilità e qualità dei servizi in esso operanti, rispetto a quella di cui dispone il lavoratore: quest’ultimo è dunque molto più esposto, su questo terreno, a frodi o pattuizioni squilibrate. E l’esperienza pratica ci dice che il rischio di frode o di contrattazione squilibrata, su questo terreno, è effettivamente molto elevato, a tutte le latitudini e longitudini.
3. L'”assegno di ricollocazione” che sta per essere istituito dal decreto sui servizi per l’impiego, in corso di pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale proprio in questi giorni, costituisce un corrispettivo per il servizio specialistico di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, reso sotto il controllo pubblico da operatori accreditati liberamente scelti dagli utenti interessati, il cui costo lo Stato si accolla in favore di tutte le persone che si troveranno a essere disoccupate da più di quattro mesi: un tentativo di contemperare le ragioni della cautela contro le frodi con le ragioni del mercato che A.M. Orazi sottolinea, secondo un modello che nei Paesi Bassi sta funzionando bene.     (p.i.)
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