SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI: SINDACATI, NON ASPETTATE IL MINISTRO

PER DIFENDERE L’AUTONOMIA COLLETTIVA DALL’INGERENZA DELLO STATO OCCORRE UN SISTEMA DI RELAZIONI INDUSTRIALI FORTE, CAPACE DI PRODURRE BUONI ACCORDI NEI TEMPI NECESSARI. FINORA NON SEMBRA IL NOSTRO CASO

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 17 ottobre 2008

          Al Governo che intende intervenire con una legge sullo sciopero la Cgil contrappone il suo ormai consueto secco “no”, mentre Cisl e Uil temperano il loro rifiuto in un “ni”. Ma se l’una e le altre volessero, il modo per impedire l’intervento legislativo lo avrebbero, ed efficacissimo: basterebbe che fossero loro a regolare incisivamente la materia nell’accordo interconfederale con le associazioni imprenditoriali, il cui negoziato langue da mesi. Anzi, avrebbero già dovuto averlo fatto molti anni fa: non perché tirate per i capelli, ma di propria iniziativa e nel proprio prioritario interesse. Vediamo perché.

            In questi ultimi mesi la vicenda Alitalia ha reso particolarmente evidenti i difetti del nostro sistema di relazioni industriali nel settore dei trasporti pubblici: un sistema che premia la frammentazione sindacale, garantendo uguali diritti di assemblea, permessi retribuiti, numero di rappresentanti in azienda e diritto di proclamare scioperi a tutti i sindacati, da quello che rappresenta la maggioranza dei dipendenti dell’azienda a quello che ne rappresenta il 2%.
         
A fare danno è soprattutto l’attuale disciplina dello sciopero, che non soltanto consente al sindacatino ultra-minoritario di proclamare l’agitazione contro il contratto collettivo validamente stipulato dai sindacati maggiori, ma consente anche ‑ caso unico al mondo – ai lavoratori che hanno aderito a quel contratto, e ne godono i benefici, di partecipare allo sciopero proclamato contro di esso: secondo la giurisprudenza e la cultura sindacale dominanti, la clausola di tregua non li vincolerebbe in alcun modo. Risultato: da un quarto di secolo in qua, mediamente uno sciopero al mese in ciascun comparto dei trasporti, anche pochi giorni dopo il rinnovo del contratto, al livello nazionale come a quello locale.
         
Questa è una delle ragioni per cui nel corso degli ultimi venticinque anni Cgil Cisl e Uil hanno perso sempre più terreno nei trasporti pubblici (ma non soltanto in questo settore): qui gli “autonomi” hanno avuto troppo sovente la possibilità di bloccare ‑ talvolta addirittura ridicolizzare ‑ le scelte contrattuali compiute dalle confederazioni maggiori e “moderate”, proclamando scioperi tanto più efficaci quanto più dannosi per la collettività, così accreditandosi agli occhi dei lavoratori come sindacati più aggressivi e più capaci di promuovere gli interessi specifici degli addetti al servizio. Salvo poi rischiare, con l’esercizio sconsiderato del loro potere di veto, di portare l’azienda al fallimento. È quanto ha rischiato di accadere all’Alitalia; ma, mutatis mutandis, a storie non dissimili assistiamo in molte altre aziende di servizi pubblici: ultimo il Teatro alla Scala, tenuto in ostaggio da un sindacato autonomo minoritario, contrapposto alle confederazioni maggiori che rappresentano la maggioranza assoluta dei dipendenti.
         
Siamo, con la Francia, l’unico grande Paese europeo dove manca il requisito del consenso maggioritario dei lavoratori per la proclamazione dello sciopero nei servizi pubblici: regole di questo genere si applicano da molti anni, per esempio, in Gran Bretagna, Spagna, Germania e Grecia. Ora il ministro Sacconi preannuncia un disegno di legge volto ad allineare l’Italia a quei Paesi. A parte alcune disposizioni oscure e alcuni difetti tecnici, ben suscettibili di essere corretti in Parlamento, l’unico argomento pregiudiziale che potrebbe essere portato contro questa iniziativa legislativa del Governo è che la nostra legge attuale sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali già prevede una procedura che consentirebbe ai sindacati maggiori di negoziare con gli imprenditori regole efficaci per togliere ai sindacati minoritari il potere di veto: regole che poi, una volta ratificate dalla Commissione di Garanzia, diventerebbero vincolanti per tutti. Questa soluzione avrebbe l’evidente vantaggio di non espropriare il sistema delle relazioni industriali del potere di regolare la materia, di consentirgli di modulare e aggiustare la disciplina secondo le esigenze reali (per esempio, limitandola sperimentalmente al settore dei trasporti). Senonché, nonostante le mille e mille umiliazioni patite nel settore dei servizi pubblici per mano del sindacalismo autonomo, Cgil, Cisl e Uil non hanno avuto fino a oggi la lucidità e lungimiranza necessarie per utilizzare incisivamente questo strumento. Così ora il ministro ha buon gioco a proporre l’intervento legislativo, facendo valere il principio di sussidiarietà. Le confederazioni maggiori vogliono impedirlo? Firmino subito con Confindustria la parte dell’accordo interconfederale sulla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, integrata con poche disposizioni chiare e nette sui vincoli procedurali alla proclamazione dello sciopero nei servizi pubblici.
         

Per difendere l’autonomia collettiva dalle ingerenze del legislatore occorre un sistema di relazioni industriali forte, cioè capace di produrre buoni accordi, nei tempi necessari. Finora non è stato il nostro caso.

 

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