IL SÌ, IL NO E QUEL CHE NE PENSANO GLI USA

DAVVERO È PIÙ DEMOCRATICO IGNORARE CIÒ CHE UN GOVERNO ESTERO PENSA DI NOI?

Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 406, 19 gennaio 2016 – Sul contrasto pro-global/no-global come nuovo spartiacque fondamentale della politica in tutto il mondo, v. il portale dedicato a questo tema da poco on line su questo sito  

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L'ambasciatore USA John Phillips con la consorte

L’ambasciatore USA John Phillips con la consorte

Da Gasparri a Bersani, da Calderoli a Di Maio, dal Giornale al Manifesto, immediata e compatta è scattata l’alzata di scudi delle forze di opposizione e della minoranza Pd contro la dichiarazione dell’ambasciatore USA Phillips, secondo cui il successo del “No” nel referendum di novembre determinerebbe una gelata nel flusso degli investimenti dal nuovo mondo verso l’Italia. Non capisco. In un mondo sempre più interconnesso, nel quale ciò che accade in un Paese produce effetti in tutti gli altri, perché mai questi ultimi non potrebbero esprimere, anche per bocca dei rispettivi governi e ambasciatori, le proprie opinioni in proposito? Quando poi gli “altri” sono parte di una alleanza strategica importante come quella atlantica, perché mai un Paese alleato dovrebbe preferire essere tenuto all’oscuro delle loro preoccupazioni o preferenze circa i possibili effetti delle scelte politico-istituzionali che si accinge a compiere? Perché il loro silenzio dovrebbe considerarsi più rispettoso del suo sistema democratico, quando invece proprio l’informazione e la libera circolazione di tutte le idee, da qualsiasi parte provengano, costituiscono un presupposto essenziale della democrazia? Nel caso specifico, poi, a ben vedere, l’ambasciatore Phillips si è limitato a proporre un’osservazione di sua specifica competenza, riguardando essa gli interessi e i comportaenti degli operatori economici statunitensi: ci ha detto che questi preferiscono investire e operare in un Paese i cui governi abbiano una vita media superiore a quella dei governi italiani negli ultimi settant’anni (13 mesi e 11 giorni). Perché mai dovremmo considerare questa osservazione, chiunque ne sia l’autore, come un attentato alla nostra democrazia? La vera questione semmai è un’altra: vista l’aria che tira nei confronti della finanza internazionale, non pensa l’ambasciatore USA che, se davvero voleva aiutare il fronte del “Sì”, sarebbe stata tattica migliore stare zitto?

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