ANCORA SUL DIRITTO DEL LAVORO COME VARIABILE INDIPENDENTE

Una parte rilevante dei giuslavoristi italiani manifesta nostalgia per una sorta di “diritto naturale del lavoro”, cui solo negli anni ’70 il nostro ordinamento si sarebbe conformato, indifferente all’evoluzione tecnologica e soprattutto all’economia.

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Editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 437, 22 maggio 2017 – In argomento v. anche la replica della professoressa Maria Vittoria Ballestrero, membro del Comitato direttivo della rivista Lavoro e Diritto, e il mio editoriale telegrafico della settimana precedente, La Cgil e il diritto del lavoro come variabile indipendente      .
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La rivista Lavoro e Diritto, voce di una parte rilevante della scuola giuslavoristica bolognese, celebra il proprio trentennale con un mega-fascicolo di 560 pagine, intitolato “Autonomia e subordinazione DEL diritto del lavoro” (v. foto qui accanto). Ciò da cui la rivista rivendica l’autonomia della materia è l’odiata economia, alla quale invece il diritto del lavoro attuale si sarebbe sciaguratamente subordinato. La polemica investe indistintamente il diritto scritto, cioè le riforme legislative succedutesi in questo campo nell’ultimo quarto di secolo, e la cultura giuridico-economica che lo avrebbe ispirato: a un indebito “assoggettamento dei valori al mercato” si imputa la perdita della purezza e della perfezione raggiunte dal nostro diritto del lavoro nei gloriosi anni ’70. Dalla maggior parte degli scritti raccolti nel numero celebrativo della rivista emerge una inconsolabile nostalgia per una sorta di “diritto naturale del lavoro”, cui solo in quegli anni il nostro ordinamento si sarebbe conformato: un modello insensibile, nella sua perfezione, agli sviluppi economici e all’evoluzione tecnologica. Da questa nostalgia emerge quella stessa idea del diritto del lavoro come variabile indipendente del sistema economico, cui – come abbiamo visto la settimana scorsa – sembra ispirarsi la proposta della Cgil di una Carta dei diritti universali del lavoro: diritti “universali”, appunto, come quelli sanciti da ogni “diritto naturale” che si rispetti. Che poi questi “diritti universali” abbiano trovato applicazione soltanto nel nostro Paese, alcuni decenni fa, e in nessun altro al mondo, per i loro fautori è un dettaglio del tutto trascurabile. Nella loro visione, quel diritto naturale del lavoro avrebbe da solo il potere di curare tutti i mali del mercato del lavoro, a cominciare dalla precarizzazione dilagante. Non una parola, negli scritti di questi novelli giusnaturalisti, sui disastri accaduti nella storia del mondo tutte le volte che il diritto ha preteso di ignorare l’economia.

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