LA REPLICA DI MARIAVITTORIA BALLESTRERO SUL DIRITTO DEL LAVORO COME VARIABILE INDIPENDENTE

“L’autonomia del diritto del lavoro che rivendichiamo non è dall’economia, ma dalle dottrine economiche e in particolare dalla dottrina neo-liberista, che, insieme a tante altre conseguenze nefaste, ha esercitato una pesante influenza sul legislatore, le parti sociali, i giudici e i giuristi”

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Lettera di Maria Vittoria Ballestrero, professoressa di diritto del lavoro nell’Università di Genova e membro del Comitato Direttivo della rivista
Lavoro e Diritto, in risposta al mio editoriale telegrafico Ancora sul diritto del lavoro come variabile indipendente, 22 maggio 2017 – Ringrazio Maria Vittoria di questo intervento e, con la sua autorizzazione, lo pubblico subito molto volentieri, invitando tutti i colleghi giuslavoristi a intervenire in questo utilissimo dibattito – Per chi volesse prendere conoscenza di alcuni dei miei scritti sull’utilità di una collaborazione stretta fra i giuslavoristi e gli economisti, non solo sul piano della politica del lavoro e dello ius condendum, ma anche per il discorso de iure condito, cioè per lo svolgimento migliore della funzione peculiare del giurista di interpretazione del diritto vigente, segnalo, in ordine cronologico, Il diritto del lavoro e i modelli economici, (anche in Lavoro e Diritto, 1998, pp. 309-322); Il dialogo tra economia e diritto del lavoro (anche in Riv. it, dir. lav., 2001, I, pp. 165-201);  I giuslavoristi e la scienza economica: istruzioni per l’uso, (anche in Arg. dir. lav., 2006, pp. 454-469); ma raccomando anche il saggio di Riccardo Del Punta, L’economia e le ragioni del diritto del lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2001, 3; infine, sulla ragion d’essere sostanziale dell’autonomia del diritto del lavoro dal diritto civile, la mia relazione su Il percorso tortuoso del diritto del lavoro tra emancipazione dal diritto civile e ritorno al diritto civile (anche in Riv. it. dir. lav., 1912, I, pp. 59-107) .
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Caro Pietro,

Maria Vittoria Ballestreroho letto il tuo commento al fascicolo del trentennale di Lavoro e diritto e ti confesso che, per quanto le tue opinioni – di cui peraltro tempestivamente ci informi – mi siano ben note, mi ha lasciato sconcertata.

Anzitutto penso che avrebbe meritato una lettura meno affrettata e meno condizionata dal pregiudizio il lavoro nel quale, con molta serietà, il nostro gruppo si è impegnato per festeggiare i trent’anni di una rivista, alla quale anche tu vorrai certo riconoscere il merito di aver svolto un ruolo non secondario nel panorama degli studi giuslavoristici. Forse, se avessi prestato un po’ più di attenzione ai contenuti del fascicolo, e non avessi già deciso prima di leggere che dal nostro gruppo ci si può attendere solo la stanca riproposizione nostalgica dei fasti degli anni settanta, ti saresti accorto che ciò di cui abbiamo voluto discutere non è la subordinazione del diritto del lavoro all’economia e ciò che auspichiamo non è l’autonomia dei diritto del lavoro dall’economia.

Facci almeno credito di avere un bagaglio sufficiente di letture (quelle di alcuni classici sicuramente le condividiamo con te) per evitare qualunque tentazione di concettualizzare un “diritto naturale del lavoro”. Ma come è estranea alla nostra cultura ogni idea di “diritto naturale”, così è estranea alla nostra cultura – ma ho ragione di pensare anche alla tua – l’idea che l’economia sia una scienza esatta. E poi, Pietro, non ti pare che rivendicare l’autonomia del diritto del lavoro dall’economia non avrebbe senso, specie per chi ha avuto l’avventura di imbattersi nel filosofo di Trier, foss’anche nella sola volgarizzazione della sua opera? E non ti pare che tutti noi – te compreso, s’intende – siamo cresciuti quel tanto che basta per evitare di incorrere nel banale errore di confondere l’economia, cioè i fatti economici, con una dottrina economica, che è al contempo una dottrina normativa e una falsa rappresentazione?

Insomma, ciò su cui abbiamo lavorato e di cui abbiamo discusso non è la subordinazione o l’autonomia del diritto del lavoro rispetto all’economia – come affermi commentando il nostro lavoro – ma la subordinazione o l’autonomia rispetto alle dottrine economiche; in particolare, et pour cause, alla dottrina economica neo-liberista alla quale si devono, tra le tante nefaste conseguenze prodotte dal suo predominio europeo, anche i mutamenti nei contenuti e nella stessa funzione dell’insieme delle regole che disciplinano il mercato del lavoro, per la pesante influenza esercitata su tutti gli attori coinvolti: legislatore, parti sociali, giudici e giuristi.

In ogni caso, non solo di questo ci siamo occupati. Nel mio lavoro su evoluzioni e involuzioni della giurisprudenza nell’arco di un trentennio, ad esempio, ho cercato di fare emergere, attraverso una serie di esempi, la connessione tra l’aria del tempo che i giudici respirano e i contenuti delle loro decisioni: contenuti variabili, anche in ragione della circostanza che l’aria sia respirabile o mefitica. Ti sembra questo un modo di considerare il diritto del lavoro “una variabile indipendente”?

Un saluto affettuoso

Maria Vittoria

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