GLI ANZIANI CHE LAVORANO PIU’ A LUNGO NON PORTANO VIA IL LAVORO AI PIU’ GIOVANI

AL LIVELLO DI SISTEMA, GLI ANZIANI CHE LAVORANO PIU’ A LUNGO NON PORTANO VIA LAVORO AI GIOVANI. L’AUMENTO DEL TASSO DI OCCUPAZIONE DEGLI ANZIANI, OLTRE A MIGLIORARE IL BILANCIO PENSIONISTICO, AUMENTA LA PRODUZIONE DI RICCHEZZA, GENERANDO COSì UN INCREMENTO DI DOMANDA DI BENI E SERVIZI E INCIDENDO POSITIVAMENTE ANCHE SULLA DOMANDA DI LAVORO PER I GIOVANI
Lettera pervenuta il 18 agosto 2009 – Segue la mia risposta

Caro professore,
               sono una sua estimatrice ormai da lungo tempo, la politica mi appassiona da tempo ormai, e i temi del lavoro sono i miei preferiti. Dopo la laurea in giurisprudenza e un master in diritto sindacale, sono infatti responsabile del personale di un’azienda di medie dimensioni. Sono dunque lavorativamente felice, e i miei 32 anni mi fanno ritenere fortunata rispetto ai miei coetanei.
Condivido sempre le sue iniziative legislative e le sue battaglie politiche, la sua newsletter è fonte di prezioso aggiornamento. Però le devo dire che quest’ultimo ddl sulla prosecuzione dell’attività lavorativa per coloro che hanno raggiunto l’età del pensionamento mi lascia molto perplessa.
            Si parla di una richiesta dell’Unione Europea, ma la strategia di Lisbona non pone il problema dell’occupazione degli over 55? In questo disegno di legge si parla invece della fascia 60-75…non rischiamo di trattenere a lavoro chi lavora già e non chi è uscito troppo giovane per cause di forza maggiore?L’equilibrio del sistema pensionistico impone che ci siano meno uscite in questi anni. Ciò significa che i nostri “capi” oggi o domani non andranno in pensione, ma che ci andranno dopodomani (addirittura le aziende che rifiuteranno verranno penalizzate!). Con la conseguenza che noi “giovani” verremo promossi ancora più in là nel tempo e che la nostra pensione, basandosi sul sistema contributivo, ne risentirà. Quindi non solo calcolo della pensione più sfavorevole rispetto ai “capi”, ma anche carriere più piatte. Possibile che il problema dell’INPS sia proprio tutto nostro?
              Si parla di evitare il lavoro nero. Ma c’è già stata l’abolizione del divieto di cumulo e se questo non è sufficiente perchè non pensare di agire sulla possibilità di unificare i contributi da collaborazione con la pensione ordinaria? Perchè non prevedere forme incentivate di part time per i lavoratori anziani in modo che possano trasferire know how alle nuove generazioni come fosse una forma di tutoraggio? Parlando con il cappello dell’azienda mi viene in mente, ora che siamo in tempi di definizione del budget 2010, che in assenza di grandi sgravi in fase di ingresso (ad eccezione dell’apprendistato), la base da cui partire per prevedere le assunzioni è senz’altro il numero delle uscite. Il trattenimento in servizio di questi o il dover retribuire un’indennità di risoluzione del rapporto, avrebbe l’effetto di far slittare queste nuove assunzioni. Senza dimenticare che la riduzione delle finestre per le pensioni di anzianità da quattro a due, e la conseguente copertura aziendale del perido di vuoto, ha di fatto già attivato questo slittamento. E poi questo non limiterebbe l’autonomia delle aziende private di scegliersi chi far restare, imponendo invece che restino al lavoro tutti, fannulloni e non ? quelli che grazie ai doppi regimi introdotti dai CCNL degli ultimi anni si portano dietro degli “zainetti” pesantissimi e producono molto meno di un neo laureato aggrappato ad un contratto a progetto?
Sono sicura che mi saprà spiegare e dare delle risposte. Grazie mille
C.S.

Dobbiamo superare l’automatismo tra raggiungimento dell’età pensionabile e licenziamento del lavoratore: ogni azienda deve valutare serenamente, caso per caso, se il mantenimento in servizio di un sessantenne o sessantacinquenne le conviene, oppure no. I casi possono essere di tre tipi:
1. se si tratta di un fannullone, non possono esserci dubbi: può e deve essere licenziato;
2. se si tratta di persona che produce quanto (o anche meno) di un giovane, ma costa molto di meno, anche qui non ci possono essere dubbi: è bene che scatti il licenziamento;
3. se invece si tratta di persona che può dare ancora molto all’azienda e che non verrà sostituita facilmente da una più giovane, allora è utile che resti in azienda.
Ora, se il mio disegno di legge verrà approvato, l’azienda avrà una piccola penalizzazione (fino al massimo di due mensilità) nei casi 1 e 2, mentre avrà una riduzione di costo nel caso 3. L’idea è che, se i casi 3 fossero un terzo del totale, lo sgravio contributivo relativo ai casi 3 (il cui rapporto prosegua) per un anno ripaga ampiamente l’azienda delle penalizzazioni sui casi 1 e 2. L’azienda, dunque, ci guadagna; e ci guadagnano anche i “casi” 1, 2 e 3, ovvero i lavoratori che raggiungono l’età pensionabile.
D’altra parte, quei 33 casi su 100 nei quali l’anziano continua a lavorare giovano non poco al bilancio pensionistico. Ci guadagnano dunque anche l’Erario e/o l’Inps.
Resta da discutere se ci perdano i giovani che aspirano a sostituire gli anziani. Ora, gli studi economici su questo punto ci dicono che i Paesi dove gli anziani lavorano più a lungo sono anche quelli dove i giovani incominciano mediamente a lavorare prima e hanno un tasso di occupazione più alto. Questi dati fanno pensare che l’anziano che lavora più a lungo non porti via il lavoro ai giovani, ma contribuisca a creare maggiore ricchezza, generando maggiore domanda di beni e servizi, col risultato di aumentare la domanda di lavoro anche a vantaggio dei giovani.
Ovviamente, Lei non percepirà questo fenomeno dall’osservatorio di quello che accade nella Sua azienda, o in un singolo ente pubblico, dove ben può accadere che il pensionamento di un anziano apra uno spazio per un giovane. Ma Lei deve chiedersi quali effetti si producono nel sistema economico nel suo complesso, quando un anziano va in pensione (smettendo di produrre ricchezza e incominciando a gravare sulla spesa pubblica con il suo trattamento), e quando un anziano invece decide di continuare a lavorare.
Tutto, comunque, ovviamente, è molto discutibile: non vi sono certezze, ma soltanto tentativi. Non per nulla il disegno di legge ha dichiaratamente carattere sperimentale: vediamo quali effetti produce, misuriamoli, e poi decidiamo se proseguire su questa strada o cambiare. Il pragmatismo impone di procedere così, sulla base di ipotesi plausibili e relative verifiche empiriche.   (p.i.)

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