“LA CASA NELLA PINETA” E LE VITE PARALLELE

La storia di una famiglia borghese del Novecento raccontata nel libro fa emergere una serie di somiglianze e affinità impressionanti con alcune altre, tra le quali questa di Foligno: come se quel modello di famiglia fosse stato una sorta di struttura portante della storia del nostro Paese nel “secolo breve”

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Lettera pervenuta il 7 aprile 2021 – Tutte le altre lettere su
La casa nella pineta sono facilmente raggiungibili attraverso la pagina web dedicata al libro
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Angelo Mancini coi suoi figli oggi

Caro professor Ichino, mi sento obbligato ad esprimerti la mia gratitudine per avermi consentito, tramite la lettura del tuo interessantissimo libro (La casa nella pineta), di ripercorrere la mia esistenza che per alcuni aspetti è corsa parallela alla tua. Scusami se mi permetto di darti del tu, ma sento di non poterne fare a meno, per vari motivi.

Anche io sono nato nel 1949, esattamente nove mesi dopo di te, secondogenito di quattro fratelli, due maschi e due femmine, la più grande nata circa dieci mesi dopo tua sorella più grande, per cui tra me e mia sorella il lasso di tempo è  più o meno lo stesso di quello che esiste tra tua sorella maggiore e te. L’altro mio fratello è nato nel settembre 1952 e l’altra sorella nel 1955, pertanto, tranne che per l’ultimo figlio i nostri genitori hanno rispettato quasi gli stessi tempi di concepimento, i tuoi anticipando i miei solo di alcuni mesi.

Altro motivo, più valido, che mi spinge a rivolgermi in maniera confidenziale è costituito dal fatto che anche io sono avvocato, anche se solo avvocato, a differenza di te con i tuoi ulteriori titoli conseguiti in più campi lavorativi. Ed ancora, mio padre è stato avvocato, come il tuo, stimatissimo civilista non solo nella sua città, ma praticamente in buona parte della regione, essendo gli avvocati  folignati destinati a fare i pendolari tra le località umbre sedi di tribunale sin da epoca molto lontana, da quando, addirittura nel diciottesimo secolo, lo Stato Vaticano per ritorsione a seguito dell’assassinio di un suo importante rappresentante da parte di un folignate, privò Foligno del tribunale. Anche mio padre, nato a Foligno il giorno antecedente a quello di tuo padre di cinque anni prima,  ha dovuto sacrificare alcuni anni della propria giovinezza (1939- 43) alla Patria, trascorrendoli con il grado di ufficiale al fronte greco-albanese, senza però subire i gravi traumi riportati dal tuo genitore.

Coerentemente alla longevità materna, mio padre è vissuto sino ad oltre i 101 anni, poco più della madre, cessando la sua presenza alla scrivania del proprio studio legale solo dopo aver oltrepassato i 90 anni, rimanendo sino alla fine lucidissimo nella mente ed efficiente nel fisico (oltre 50 gradini per accedere al proprio appartamento più di una volta al giorno sino ad oltre i 100 anni). Mia madre, nata a Foligno e coetanea di tuo padre, ha vissuto i suoi primi 23-24 anni a Milano dove, dopo aver frequentato la facoltà di Scienze presso la Regia Università, sì è laureata con il massimo dei voti nel marzo 1943. Il motivo per cui mia madre visse quegli anni lontano da Foligno lo conoscerai più avanti. Anche il matrimonio dei miei genitori fu celebrato presso la Parrocchia della famiglia della sposa, circa quattro mesi dopo il matrimonio dei tuoi, e anche il loro da considerarsi “un matrimonio ancora da tempo di guerra” con sobrio ricevimento nel giardino della casa del nonno materno (vedovo) con la partecipazione di pochi parenti ed amici.

La prima auto di famiglia fu una Topolino, seguita, mano a mano che crescevamo di numero, da una Giardinetta e quindi anche noi, al quarto figlio, dalla Fiat 1100;  le vacanze estive, molto più brevi delle tue, non oltre 20-25 giorni di luglio, almeno per me sino ai 18 anni, ininterrottamente a Senigallia, dove aveva vissuto la famiglia di mia nonna paterna trasferitasi nel penultimo decennio dell’’800 da Jesi dopo che al nonno di mio padre, notaio, venne assegnata la sede alle foci del Misa, e dove ancora vivevano parenti di mio padre. Anche noi si partiva dopo aver ben riempito il “baule verde”, per noi uno era sufficiente, i fratelli maschi con l’auto del padre e le sorelle con la madre in treno insieme al baule, anche noi disciplinatamente, almeno sino ai 15-16 anni, solo con il bagno del mattino e con la presenza del padre solo nei fine settimana.

In famiglia la televisione è arrivata prima che nella tua, grazie alle Olimpiadi del 1960, consentendomi così di godermi in diretta il glorioso sprint vincente di Berruti nei duecento metri, il cui ricordo tuttora mi fa venire i brividi. Nonostante la televisione, mio padre ci consentì di farci vivere un po’ di atmosfera olimpica direttamente a Roma, ove, ospiti nella casa del fratello di mio padre, dipendente della Banca Commerciale di Via del Corso, fummo spettatori delle finali di basket e di equitazioni, gli sport che mio padre ebbe modo di praticare da giovane, insieme alla atletica (400 metri), ed infine fummo tra i centomila che allo stadio Olimpico improvvisarono la fiaccolata nel corso della cerimonia di chiusura della XX Olimpiade. Lo sport ha avuto una invadente presenza nella mia gioventù e non pochi sono stati gli stimoli che hanno sin dai primissimi anni trovato in me terreno fertile in quanto naturalmente dotato, ho trovato poi nella competizione anche la soluzione vincente per venir fuori dalla mia timidezza e per sopperire ad una carente autostima  per cui l’attività sportiva è stata per me come una dipendenza psichica che insieme alla passione mi ha spinto a praticare a livello agonistico sia il calcio, sia il tennis. Non nascondo che la pratica sportiva mi ha poi consentito un mio più agile inserimento nei diversi ambiti cui dover accedere  nel corso degli anni.

Arrivato al liceo, venivo subito inserito dagli studenti del quarto-quinto anno quale titolare nella squadra (vincemmo un torneo tra tutte le scuole di Foligno), iniziati gli studi universitari venivo subito cooptato come capitano nella squadra della facoltà di giurisprudenza e in quella dell’università negli incontri con la vicina università di Macerata, alla presenza sugli spalti del più giovane rettore d’Italia, Prof. Pietro Perlingieri, mio grande tifoso, infine, appena conseguita la laurea in giurisprudenza, venivo immediatamente convocato dagli avvocati perugini ed anche da alcuni giudici perché prendessi parte al torneo nazionale tra i vari fori d’Italia. Ricordo una finale dove perdemmo ai supplementari contro la squadra dei colleghi del Foro di Milano, capitanati dal possente centravanti, ma non particolarmente dotato, Dott. Ferdinando Pomarici.

Anche io sono cresciuto attorniato da avvocati, tra cui uno zio ed un cugino di mio padre, uno  zio e un cugino di mia madre, una mia cugina ed infine, nello studio legale paterno, mio fratello e poi mia moglie, conosciuta nel periodo di praticantato quando lei era ancora studentessa di giurisprudenza. Senza poter azzardare alcun paragone con un giuslavorista del tuo valore, anche io  ho avuto a che fare con il Diritto del Lavoro, prima, da studente universitario avendo scelto per la mia tesi l’allora recente Statuto dei Lavoratori ed in particolare “I sindacati cosiddetti di comodo e lo Statuto dei Lavoratori” […]. Ho recentemente tirato fuori l’impolverato testo della tesi dove, rileggendolo, incontro alcuni personaggi evocati nel tuo libro, quali Giuseppe Pera, Massimo D’Antona,  Gino Giugni, Giuseppe Federico Mancini, Carlo Smuraglia, Tiziano Treu, dai quali ho tratto argomenti utili per la mia tesi.

Anche nel corso della professione, per circa quindici anni, ho collaborato con mia moglie, incaricata dalla Filt-CGIL di Foligno di assistere i propri iscritti, tra cui un consistente numero di dipendenti delle ferrovie. All’epoca, tra gli anni 80-90, solo la Officine Grandi Riparazioni di Foligno (una delle otto esistenti in Italia e, nata nel 1911, la prima ad essere attrezzata ad operare su locomotive elettriche) contava oltre tremila dipendenti (attualmente ridotti a qualche centinaia), la maggior parte dei quali iscritti alla CGIL, in un periodo intenso di rivendicazioni sindacali.

Condivido con te altri due aspetti importanti delle nostre esistenze, il primo dei quali è l’essere cresciuto in un ambiente religioso, anche se i miei genitori, condizionati dall’essere vissuti in un ambiente provinciale tipico della piccola città, a differenza dei tuoi genitori, non erano dotati di quella libertà di pensiero necessaria a conseguire la stessa emancipazione maturata dai tuoi cari.

Il secondo riguarda l’orientamento politico, a cui tu hai molto presto aderito coerentemente all’ambiente dove sei cresciuto e a seguito di incontri per te determinanti tra cui in particolare quello che ti ha “marchiato a fuoco” (don Milani), mentre io, cresciuto in un ambiente familiare ove gli unici partiti votati erano quello Liberale e la Democrazia Cristiana, convincendomi invece che i valori cristiani spesso evocati dai miei stessi genitori coincidessero con quelli  sostenuti dai partiti di sinistra,  ho dagli anni universitari maturato l’idea, corroborata dagli studi e dalle letture, oltre che dalle frequentazioni al di fuori della cerchia del mio stesso ambiente di provenienza, che la parte migliore della società è quella sostenitrice di posizioni di sinistra, fortemente convinto della attuale validità e persistenza dei due contrapposti orientamenti di origine settecentesca.

Ho altresì in comune con te l’uso quotidiano della bicicletta, vivendo anche io in una città situata in pianura, sicuramente meno caotica di Milano, dove per ogni bambino la prima conquista è la pedalata libera sin dai tre-quattro anni. Anche io ho come te due figli, un maschio ed una femmina, sicuramente più giovani delle tue figlie, il primo trentacinquenne, vive da circa sedici anni a Milano ove, dopo la laurea in giurisprudenza presso l’Università Bocconi e dopo aver superato l’esame di Stato, è iscritto all’Ordine di Milano e lavora ora presso uno studio legale, mentre la seconda, rimasta in Umbria, è prossima laureanda in medicina.

I genitori di Angelo Mancini il giorno del loro matrimonio (1947); a fianco della sposa suo padre, avvocato Luigi Muziarelli, all’epoca appartenente all’Ufficio Legale della Banca Commerciale Italiana

Ti spiego, infine, il motivo della presenza a Milano di mia madre nel corso della  prima parte della sua vita. La sua famiglia, composta dai miei nonni e da mia zia più grande di mia madre, ha vissuto gran parte della prima metà del 900 a Milano, ove mio nonno, l’avvocato Luigi Muziarelli, si era trasferito con la moglie nel 1912 assunto alla Banca Commerciale Italiana ove ha lavorato ininterrottamente sino al 1948 quale componente dell’Ufficio Legale di detta banca, non so con precisione sino a quale livello, forse anche di Direttore del medesimo ufficio, certamente in Piazza della Scala. E’ certo che mio nonno abbia frequentato lo studio legale Brugnatelli Giussani Pellizzi,  tenendo rapporti di amicizia di sicuro con l’avvocato Vermondo Brugnatelli, come risulta dalla lettera datata 16 Giugno 1948 con la quale quest’ultimo, tra l’altro, comunica a mio nonno, in procinto di andare in pensione, che “Nell’adunanza consigliare d’oggi l’amico (ritengo comune) Avv. Giussani, quale Presidente della Comit, ti ha segnalato con parole di simpatia nel comunicare il tuo distacco dalla banca”.

Risulta, altresì, l’amicizia tra mio nonno ed il figlio del Presidente della Comit, Carlo Giussani, dal quale ebbe in dono il testo De Rerum Natura curato dal padre Camillo, con tanto di dedica All’amico Avv. Muziarelli con viva cordialità e che conservo nella mia libreria. Sicuramente mio nonno deve aver conosciuto anche tuo nonno Carlo e forse anche tuo padre, molto probabilmente incontrandoli nello studio di via Bigli 21 o presso gli uffici della Comit.

Ti sarei molto grato se mi potresti indicare qualche testo o rintracciare qualche documento che riguardi la Comit ed in particolare l’Ufficio Legale negli anni in cui vi lavorò mio nonno (1912-1948).

Mi viene da considerare che ci saremmo forse potuti incontrare da giovani a Milano nel caso in cui mio nonno avesse continuato a vivere a Milano, magari unito, essendo lui rimasto vedovo sin dai primi anni 30, con qualche signora milanese. Invece mio nonno, rimasto fedele al suo grande primo amore, è stato altresì sempre fortemente legato alla città natale e alla sua bella casa, dove poi anche io sarei nato e vissuto per trentatre anni (al piano superiore a quello del nonno), con corte costituita da un giardino ed orto di oltre mille metri quadrati, il tutto posizionato a non più di trecento metri dalla piazza principale di Foligno, dove si affacciano come dirimpettai, l’imponente palazzo Comunale, ora dotato del nuovo “torrino” in sostituzione del vecchio abbattuto dal terremoto, e la più ricca delle due facciate del Duomo. È in questa stessa piazza che Giovanni da Pietro di Bernardone, chiamato poi Francesco dal padre, in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna, fece nel 1205 il suo storico gesto della vendita dei suoi panni e del cavallo. Sicuramente Foligno merita di essere visitata, in particolare da parte dei milanesi, i quali, tra l’altro, vi potranno ammirare i 649 disegni dell’Architetto folignate Giuseppe Piermarini riproducenti tante delle stupende opere realizzate proprio a Milano e in altre località della Lombardia.

Ora mi taccio, mi scuso se mi sono prolungato, anche se solo dell’un per cento delle pagine del tuo apprezzatissimo libro. Mentre mi accingo ad inviare questo scritto, cercando via internet un tuo indirizzo mail, mi capita di leggere quanto da te riferito in ordine alla recente dipartita di tua moglie, di cui non avevo notizia. Molto mi è dispiaciuto e mi dispiace. Consentimi un abbraccio.

Angelo Mancini

 

 

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