IL MIRACOLO NASCOSTO DI DON MILANI

È consistito nel far scaturire una immensa quantità di bene dal male inflittogli da una gerarchia ecclesiastica sorda, avara e matrigna

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Intervista a cura di Manuela Plastina, pubblicata sui quotidiani La Nazione, Il Giorno e  Il Resto del Carlino il 13 gennaio 2024 – In argomento v. anche la mia ampia intervista pubblicata sulla rivista Giustizia Insieme nel settembre 2024, Un bilancio del dibattito sull’eredità di don Milani  

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Professor Ichino, come ha conosciuto Don Milani?
Lo incontrai per la prima volta a 10 anni, nell’aprile 1959, quando venne a Milano ospite dei miei genitori insieme ai suoi primi sei allievi, per far conoscere loro la grande città. Per quella settimana i miei mi tolsero da scuola per consentirmi di partecipare alla visita sotto la sua guida e con il suo commento.

Come e quanto ha cambiato, questo incontro, la sua vita?
Ha inciso molto. Don Lorenzo mi fece percepire l’entità del privilegio di cui godevo per il fatto di appartenere a una famiglia colta, in una casa piena di libri. Lui mi disse: “Fino alla maggiore età tutto questo non è peccato; ma da quando la compi, se non restituisci tutto diventa peccato”. E per lui “restituire” significava principalmente dedicarsi all’insegnamento, o alla difesa dei diritti dei lavoratori più poveri. È quello che mi proposi poi di fare.

Che cosa è rimasto della Scuola di Barbiana?
L’esperienza della Scuola di Barbiana ha segnato una svolta molto rilevante per l’intera scuola media italiana. Fino ai primi anni ’60 questa era stata una scuola fortemente selettiva, di fatto classista. Chi non aveva alle spalle una famiglia colta difficilmente riusciva ad accedere alla scuola media inferiore e, soprattutto, a superarla. La riforma della scuola media si ispirò molto all’idea milaniana della scuola come strumento principale di pareggiamento delle dotazioni di partenza dei cittadini.

Le cose, però, poi non sono andate esattamente così.
Il difetto della riforma è consistito essenzialmente nell’inadeguatezza della formazione degli insegnanti e ancor più nel difetto di controllo sul modo in cui adempivano il loro compito importantissimo. Don Milani sosteneva che il voto doveva essere dato agli insegnanti, che essi dovevano essere responsabilizzati circa i risultati dell’insegnamento.

Don Milani paragonava l’amore degli insegnanti per gli studenti a quello dei genitori per i propri figli. Crede che nella scuola di oggi esista ancora questo legame affettivo così forte?
In molti casi sì: non è raro vedere insegnanti che praticano la “diligenza” dovuta intesa proprio come amore per i propri allievi. Ma nella maggior parte dei casi l’impegno personale degli insegnanti è assai meno coinvolgente; talvolta decisamente carente. E la struttura è incapace di valutare e distinguere.

Alla vigilia di importanti appuntamenti elettorali, il motto I care dovrebbe essere ancora un monito per chi vuole fare politica?
Anche non alla vigilia! Dovrebbe essere il principio ispiratore di tutta la politica.

Professore, qual è il “miracolo sconosciuto di Don Milani”?
Barbiana, quando lui vi venne esiliato, era una pieve sperduta in mezzo alla montagna, senza luce, senza gas, senza neppure una strada carrozzabile per arrivarci. Ma, appena arrivato lì, lui acquistò lo spazio per la propria tomba nel piccolo cimitero sotto la chiesa: aveva già deciso che lì avrebbe trovato il senso della sua vita. Quindici anni dopo, Barbiana era già un faro di luce per il mondo intero. Se ha un senso parlare di “miracoli” oggi, ecco: questo è il miracolo compiuto da don Lorenzo Milani: aver fatto scaturire una grande quantità di bene da quello che poteva apparire come un male, inflittogli da una gerarchia ecclesiastica sorda, avara e matrigna.

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