LA LEZIONE NASCOSTA DI DON MILANI

Quando ti accade qualche cosa che ti appare come un male, non piangere, perché non puoi sapere se è davvero per il tuo male oppure invece per il tuo bene; anche perché se è per il tuo male o per il tuo bene, a ben vedere dipende soprattutto da te

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Postfazione del libro a cura di  Francesca Capetta, Lorenzo Milani e Gian Paolo Meucci. Indagine su un’amicizia nelle pagine di un carteggio (1949-1956), appena uscito per i tipi della Casa Editrice Olshki (2024, pp. 64, € 25) – In argomento v. anche la mia ampia intervista pubblicata dalla rivista Giustizia Insieme nel settembre 2023, Un bilancio del dibattito sull’eredità di don Lorenzo Milani

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Con Lorenzo Milani ancora poco più che adolescente mia madre era entrata in contatto negli anni tra il 1939 e il ‘42 quando lui, prima al Liceo Berchet poi all’Accademia di Brera, si era legato di un’amicizia stretta con Carla Sborgi, che di mia madre era cugina. Poi, con la scelta di Lorenzo di farsi sacerdote, nel 1943, mia madre lo perse di vista e non ebbe più né contatti né notizie di lui per circa un quindicennio.

Entrambe le famiglie avevano radici culturali e spirituali ebraiche. Quella di mia madre sul versante materno: lei e Carla erano figlie rispettivamente di Paola e di Jole Pontecorvo, cugine a loro volta di Bruno e Gillo, dei Sereni e dei Colorni. Di questa comune radice della mia famiglia materna e di quella di don Lorenzo Milani mi parve di cogliere una manifestazione in una coincidenza sorprendente, della quale tento di dare conto in queste pagine.

Paola Pontecorvo e suo marito Carlo Pellizzi, negli anni ’60

La nonna Paola era solita dire a noi suoi nipotini che, quando qualche cosa ci andava storto, non dovevamo lamentarci troppo perché non potevamo sapere se quel che ci era accaduto fosse per il nostro male o per il nostro bene: anche perché – aggiungeva – se quel che ci era accaduto era destinato a essere per il nostro male o per il nostro bene dipendeva, in realtà, essenzialmente da noi. Intendeva dire che la vita è sempre ricchissima di possibili contenuti positivi, dei quali per lo più siamo capaci di cogliere soltanto una piccola parte; un evento negativo, una porta che ci si chiude davanti, una perdita che ci fa soffrire, possono essere proprio ciò che ci spinge ad aprire gli occhi su tutti gli aspetti positivi che prima non avevamo visto, sulle nuove porte che si aprono, sui beni di cui continuiamo a poter godere e quelli che la nuova situazione ci offre in aggiunta. E non è detto affatto che quanto abbiamo perso sia più di quanto possiamo guadagnare per effetto di quella perdita. Mia madre ci diceva che questa lezione esistenziale impartitaci dalla nonna nasceva direttamente dalle radici ebraiche della sua famiglia ed era alla base di un certo “titanismo” caratteristico dell’ebraismo: mai piangersi addosso, essere sempre convinti della propria capacità di dominare gli eventi, di governare il proprio destino. Ma noi ragazzi accoglievamo quella lezione con una buona dose di scetticismo.

Non fu dunque senza sorpresa che le mie sorelle e io ritrovammo quella lezione – non più enunciata, ma attuata nel modo per noi più stupefacente – nel comportamento di don Lorenzo Milani di cui fummo diretti testimoni, a partire dal 1959, quando la sua vita tornò a incrociarsi con quella dei nostri genitori.

Era accaduto che la zia Carla Sborgi, rimasta in contatto epistolare con lui nonostante la rottura del loro legame affettuoso, nel 1957 aveva ricevuto da lui il libro Esperienze Pastorali, fresco di stampa; dopo averlo letto, lei lo aveva passato ai miei genitori, i quali lo avevano anch’essi apprezzato moltissimo; al punto che, facendo essi parte di diversi gruppi di cattolici progressisti (la Corsia dei Servi animata da padre Davide Turoldo, il gruppo di Adesso che  faceva capo a don Primo Mazzolari, il gruppo del Gallo attivo sull’asse tra Genova e Milano, Rinascita Cristiana), decisero di acquistare direttamente dalla Libreria Editrice Fiorentina un paio di centinaia di copie del libro, per distribuirle in quei gruppi. L’Editrice informò l’Autore di questo acquisto di dimensioni inconsuete, lui chiese nome e indirizzo degli acquirenti e così si ristabilì tra di loro il contatto che si era perso. Don Lorenzo spiegò loro quello che era accaduto: il libro non era piaciuto per nulla alla gerarchia ecclesiastica fiorentina, che aveva deciso di punirlo assegnandolo a una parrocchia di fatto non più esistente, una pieve di montagna da tempo dimenticata da Dio e dagli uomini; lì lui aveva incominciato a fare scuola ai figli dei montanari e dei contadini che vivevano nei dintorni. I miei genitori gli chiesero che cosa potessero fare per dargli sostegno; e lui chiese loro per prima cosa di ospitare la sua “classe” per una visita di una settimana nella grande metropoli milanese: ciò che avvenne poco dopo, nell’aprile del 1959. Dopo quel primo incontro con don Lorenzo Milani e i suoi primi sei allievi, i miei vollero che fossimo noi a fare visita a loro a Barbiana: cosa resa possibile in giornata, anche per noi Milanesi, dalla recentissima apertura del (allora avveniristico) tratto Bologna-Firenze dell’Autostrada del Sole.

Arrivammo con la nostra Fiat 1100 fin dove la strada sterrata, pur difficoltosamente, lo consentiva, per poi proseguire a piedi lungo la mulattiera che portava alla minuscola pieve nascosta sulle pendici boscose del monte Giovo, priva di elettricità, gas, acqua corrente e telefono. Nel corso della giornata trascorsa a Barbiana, don Lorenzo ci condusse al minuscolo cimitero sito poco sotto la chiesa e ci indicò uno spazio vuoto, dicendo di averlo acquistato per la propria tomba. Sulla via del ritorno, noi ragazzi ascoltammo i genitori che si dicevano sorpresi di questa sua scelta: come era pensabile che una persona così giovane e piena di vita, ancora capace di dare e insegnare così tanto alla Chiesa e non solo, accettasse di rimanere relegata per il resto dei suoi giorni in un posto come quello, totalmente isolato dal mondo civile?

La pieve di S. Andrea, a Barbiana

La risposta non avremmo tardato ad averla: già pochi anni dopo la scuola di Barbiana era diventata un punto di riferimento per l’intero Paese e anche al di fuori di esso. Quel “non luogo” era diventato una fonte di luce per il mondo intero. Fin dall’inizio del suo “esilio” a Barbiana, don Lorenzo aveva saputo vedere tutto il bene che dalla punizione subìta poteva derivare; e aveva poi avuto la forza di coltivarlo, farlo germogliare e farlo trionfare sul male apparente della pena che gli era stata inflitta. Da quel “non luogo” aveva fatto sgorgare il senso dell’intera sua esistenza. Era stato lui a decidere che quella punizione dovesse trasformarsi in una opportunità positiva straordinaria; e così poi sarebbe accaduto davvero.

Le mie sorelle e io, adolescenti, assistemmo in quegli anni – per così dire “in diretta” – al compiersi progressivo di questo miracolo. E toccammo così con mano quanta sapienza fosse racchiusa nell’insegnamento che la nonna Paola ci aveva trasmesso e che presumibilmente anche don Lorenzo Milani aveva attinto dall’eredità ebraica cui anche la sua famiglia aveva attinto:  quando ti accade qualche cosa che ti appare come un male, non piangere, perché non puoi sapere se è davvero per il tuo male oppure invece per il tuo bene; anche perché se è per il tuo male o per il tuo bene, a ben vedere dipende soprattutto da te.

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