PERCHE’ IL MINISTRO INSABBIA IL DISEGNO DI LEGGE SULLA PARTECIPAZIONE?

UN ANNO FA SACCONI CHIESE E OTTENNE DA SINDACATI E CONFINDUSTRIA UN “AVVISO COMUNE” PER LA SOSPENSIONE DI UN ANNO DELL’ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE UNIFICATO SUL QUALE SI ERA REGISTRATA UN LARGHISSIMO CONSENSO IN SENO ALLA COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO; ORA L’ANNO STA PER SCADERE, MA IL MINISTRO INSISTE NELL’OPPORSI ALLA RIPRESA DELL’ITER PARLAMENTARE DEL PROGETTO

Interrogazione presentata alla Presidenza del Senato il 15 settembre 2010

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA n. 4-03669
al Ministro del lavoro e delle politiche sociali

presentata dei senatori Ichino, Morando, Tonini, Ceccanti, Negri
al ministro del Lavoro e del Welfare

Premesso che
– nell’autunno 2009 fu il ministro del Lavoro, sia pure in modo informale, a sollecitare dalle parti sociali l’Avviso comune – poi effettivamente sottoscritto da Confindustria, Cisl e Uil – al fine di bloccare la discussione in Commissione Lavoro al Senato del testo unificato dei disegni di legge sulla materia, sul quale si era svolta con esito positivo una approfondita consultazione delle stesse parti sociali e si era raggiunto un amplissimo consenso tra maggioranza e opposizione;
– quel testo legislativo non prevede l’imposizione di alcuna forma di partecipazione in azienda, ma si limita a indicarne nove possibili e a promuovere il confronto tra modelli diversi, prevedendo comunque in ogni caso la necessità dell’accordo tra le parti in azienda, mediante il contratto collettivo istitutivo;
– il 2 settembre scorso lo stesso ministro, in una lettera al quotidiano il Foglio, ha manifestato il proprio perdurante intendimento negativo circa la ripresa dell’iter parlamentare di quel progetto, motivandolo con la necessità di non interferire con l’autonomo funzionamento del sistema delle relazioni industriali;
si chiede di sapere:�
– se alla scadenza dell’anno di sospensione chiesto dall’Avviso comune del dicembre 2009 il ministro intenda consentire che l’iter del disegno di legge riprenda, o invece intenda sollecitare le parti sociali a pronunciarsi per un ulteriore rinvio;
– considerato che la partecipazione dei lavoratori nell’impresa, nelle sue versioni più avanzate, comporta sempre, in qualche misura, un aumento della parte della retribuzione variabile in relazione a produttività o redditività dell’azienda, rispetto alla parte fissa, e che questo mutamento della struttura della retribuzione comporta sovente una deroga rispetto alla struttura della retribuzione prevista nel contratto collettivo nazionale, si chiede altresì se il ministro non ritenga che il potenziamento della contrattazione aziendale in materia di partecipazione richieda una disciplina chiara, che oggi fa difetto nel nostro ordinamento, dei rapporti tra contratti collettivi di diversi livelli;
– se il ministro non ritenga che, fino a quando tale disciplina non sia posta da un accordo interconfederale sottoscritto da tutte le associazioni sindacali e imprenditoriali maggiori, debba essere la legge a porla, sia pure soltanto in via sussidiaria e provvisoria;
– considerato che il testo unificato all’esame della Commissione Lavoro all’articolo 5 contiene anche una disposizione che regola in modo preciso le condizioni e i requisiti di validità delle deroghe al contratto collettivo nazionale negoziate in sede aziendale in funzione di piani industriali innovativi – cioè proprio quella disposizione la cui mancanza si è fatta pesantemente sentire nella vicenda della Fiat di Pomigliano –  si chiede se il ministro sia favorevole o contrario a questa soluzione, e, in caso contrario, quale soluzione diversa egli proponga per questo problema cruciale, in attesa che il sistema delle relazioni industriali riesca a darsi le regole necessarie;
– considerato, infine, che una disciplina tributaria speciale è indispensabile per favorire la sperimentazione di forme di partecipazione azionaria dei lavoratori in azienda, si chiede se il ministro sia favorevole o contrario a questa agevolazione fiscale, e, nel caso in cui egli sia favorevole, come egli pensi che essa possa essere disposta, se non mediante un atto legislativo.

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