TRENTO PUO’ ESSERE LA CAPOFILA NELLA SPERIMENTAZIONE DELLA FLEXSECURITY

È NELLA NATURA STESSA DEL FEDERALISMO LA POSSIBILITÀ CHE SI DETERMININO DELLE DIVERSITÀ TERRITORIALI NELLA QUALITÀ E QUANTITÀ DEI SERVIZI OFFERTI, QUINDI ANCHE NELL’ATTRATTIVITÀ DI PROVINCE E REGIONI PER LE IMPRESE E PER I LAVORATORI; MA QUESTO NON È UN MALE: È BENE CHE MODELLI DIVERSI DI GOVERNO REGIONALE POSSANO CONVIVERE E COMPETERE TRA LORO

Intervista a cura di Simone Casalini per il Corriere del Trentino (dorso regionale del Corriere della Sera) pubblicata il 12 dicembre 2010

Professor Ichino, quale bilancio possiamo trarre del pacchetto Treu e della legge Biagi a distanza di alcuni anni dalla loro approvazione?
Entrambe le leggi sono intervenute soltanto “al margine”, cioè sui rapporti di lavoro cosiddetti “non standard”. Entrambi gli interventi hanno svolto un ruolo complessivamente positivo; ma non hanno inciso sulla questione centrale del nostro mercato del lavoro, che è il regime di apartheid tra protetti e non protetti.

Cosa dovrebbe essere cambiato a suo avviso?
Occorre ridisegnare un diritto del lavoro che possa davvero applicarsi a tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente che si costituiranno da qui in avanti, superando l’attuale contrapposizione tra gli inamovibili e i precari. Salvi i casi classici di contratto a termine, d’ora in poi tutti a tempo indeterminato, tutti ben protetti contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. E le imprese che licenziano devono essere responsabilizzate per il sostegno del reddito e un buon servizio di outplacement ai lavoratori che perdono il posto. Per i dettagli devo rinviare al mio sito: www.pietroichino.it.

Il precariato è uno dei temi che più spesso vengono associati alla condizione moderna delle nuove generazioni. Opportunità o limite?
In ogni rapporto di lavoro, oggi, è indispensabile una fase iniziale di due o tre anni in cui il costo del licenziamento sia modesto, per garantire la necessaria fluidità nell’incontro reciproco in un mercato del lavoro in cui domanda e offerta sono sempre più personalizzate. Questo giova anche ai giovani lavoratori, come giova loro una prospettiva di progressivo aumento della stabilità del rapporto col crescere dell’anzianità di servizio.

Qual è la diffusione del cosiddetto precariato in Italia rispetto agli altri Paesi europei e non?
La quota dei rapporti a termine rispetto al totale, in Italia oggi, non è maggiore rispetto alla media degli altri Paesi industrializzati, in termini “di stock”. Ma c’è una forte differenza nel grado di protezione tra i nove milioni di lavoratori dipendenti cui si applica il diritto del lavoro nella sua interezza e gli altri nove milioni a cui esso non si applica per niente o si applica soltanto per una parte modesta. E il problema è che oggi a due lavoratori su tre che entrano nel tessuto produttivo si dà accesso soltanto alla parte non protetta.

Alcune analisi sociologiche parlano delle generazioni nate dal 1970 al 1985 come quelle con un deficit di opportunità e che fanno più fatica a costruire un proprio percorso autonomo di vita (vanno via di casa a 35 anni, concepiscono figli in età alla soglia dei 40 anni, eccetera). Che cosa ha causato questo fenomeno?
Rispetto a quarant’anni fa, quando è stato emanato lo Statuto dei lavoratori, nel tessuto produttivo è cambiato tutto. Allora era normale che un ventenne entrasse in un’azienda con la prospettiva di restarci per tutta la vita svolgendo lo stesso tipo di lavoro per trenta o quarant’anni. Oggi il ritmo di obsolescenza delle tecniche applicate e degli stessi prodotti, quindi anche di avvicendamento delle strutture produttive, è enormemente più rapido di allora. Ma il diritto del lavoro è rimasto lo stesso. Quindi i nuovi rapporti di lavoro tendono a collocarsi fuori di un ordinamento che non è più adatto ai tempi. Inoltre mancano i servizi di orientamento scolastico e professionale, che sono invece diventati indispensabili nel nuovo mercato del lavoro.

La Provincia autonoma di Trento ha assunto dallo Stato – mediante un accordo con i ministri Tremonti e Calderoli – le competenze sull’università e gli ammortizzatori sociali. I prossimi due passaggi saranno l’approvazione della norma di attuazione dello Statuto di autonomia su questi due temi e la elaborazione di due leggi provinciali. In campo di ammortizzatori sociali quale suggerimenti darebbe?
La Provincia autonoma di Trento è, fra le province italiane, quella con la migliore tradizione di servizi al mercato del lavoro. Potrebbe dunque essere la prima a sperimentare, con successo, il modello di flexsecurity che ho proposto l’anno scorso, insieme a 50 altri senatori, con il disegno di legge n. 1481.

Che cosa prevede il progetto?
Le aziende vengono esentate dal controllo giudiziale sul licenziamento per motivi economici od organizzativi, a condizione che si facciano carico di un trattamento complementare di disoccupazione che garantisca ai lavoratori licenziati un sostegno del reddito di durata e livello scandinavi, collegato a un buon servizio di outplacement scelto e governato dalle aziende stesse. Così le imprese saranno incentivate a fornire ai lavoratori servizi molto efficienti di ricollocazione, per ridurre i costi.

Che ruolo potrà avere la Provincia in questo nuovo sistema?
Potrà offrire servizi efficienti, condividerne con le imprese il costo, prevedere programmi speciali di sostegno per i lavoratori che risulteranno “difficilmente collocabili”.

Questo finirà per produrre anche una differente offerta di misure di intervento sociale nel Paese: in prospettiva anche di un assetto politico federale, questo potrà risultare un problema?
È nella natura stessa del federalismo la possibilità che si determinino delle diversità territoriali nella qualità e quantità dei servizi offerti, quindi anche nell’attrattività di province e regioni per le imprese e per i lavoratori. Ma questo non è un male: è bene che modelli diversi di governo regionale possano convivere e competere tra loro.

Un’ultima domanda: che cosa pensa della riforma dell’Università approvata dalla Camera dieci giorni fa?
L’opposizione drammatica e indiscriminata che è stata fatta contro la riforma è nata dalla confusione tra i tagli di Tremonti, sbagliati perché attuati senza distinzioni, e i contenuti del disegno di legge Gelmini, che mi sembra si muovano complessivamente nella direzione giusta.

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