COME SI LAVORA IN PARLAMENTO

AI MOLTI FONDATISSIMI MOTIVI DI ALLARME DELL’OPINIONE PUBBLICA PER I COSTI DELLA POLITICA LA STAMPA NON DEVE AGGIUNGERNE, PER SUPERFICIALITÀ, ALTRI CHE NON HANNO ALCUN FONDAMENTO

Lettera sul lavoro pubblicata il 27 luglio 2011 sul Corriere della Sera – In tema di riduzione dei costi indebiti della politica v. anche il mio intervento in Senato del 22 giugno 2011: L’eredità dei partiti defunti


Caro Direttore, sono molte e incisive le risposte che vanno date alla richiesta di riduzione dei costi della politica espressa dal Paese. La prima è la riduzione drastica del numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali. Un’altra è la sostituzione di ognuno dei consigli provinciali con l’assemblea dei sindaci della provincia. Per continuare con la soppressione dei privilegi ingiustificati e con l’imposizione della trasparenza totale delle amministrazioni degli organi legislativi, dove invece oggi si rilevano troppe zone di opacità. La stampa, però, dovrebbe essere più attenta a non aggiungere ai molti motivi fondatissimi del risentimento popolare contro il ceto politico anche motivi che fondati davvero non sono.
Uno di questi è l’idea che il lavoro dei parlamentari si misuri sul numero dei giorni in cui il Parlamento si riunisce ogni settimana. È come tacciare di pigrizia un avvocato perché sta in udienza soltanto due o tre ore la mattina e neppure tutti i giorni; oppure un professore universitario perché tiene soltanto sei ore settimanali di lezione. Possono occorrere molte ore per preparare una lezione universitaria o un’udienza giudiziale; lo stesso vale per una sessione di commissione o d’aula in Parlamento, così come per una intervista o una trasmissione televisiva. Oltre a studiare gli atti legislativi, un parlamentare deve discuterne con associazioni e singoli cittadini, partecipare a dibattiti pubblici e a riunioni interne del proprio partito, rispondere ogni giorno a un gran numero di messaggi di posta elettronica.
Accade frequentemente anche di sentir deplorare che durante una discussione nell’aula di Montecitorio o di Palazzo Madama sia presente soltanto uno sparuto drappello di poche decine di parlamentari, o anche meno. Questo accade in tutti i parlamenti del mondo ed è in larga parte inevitabile, se si considera che nella maggior parte dei casi la funzione della discussione in aula è essenzialmente notarile, di registrazione a verbale delle posizioni di ciascuna forza politica. Il vero dibattito, dove maturano le idee e le convergenze o le divergenze, si svolge prima. Per altro verso, in ciascuno degli studi dei parlamentari un monitor consente di seguire quello che avviene in aula: molti ne approfittano per seguire con un orecchio i lavori svolgendo contemporaneamente altro lavoro non meno importante. Ho conosciuto in passato un deputato che era sempre in aula dall’apertura alla chiusura di ogni sessione, non perdeva un solo intervento e tanto meno un voto; ma il suo contributo alla politica nazionale era nullo.
Ci sarebbe da ridire, semmai, sull’inefficienza di certe lunghissime sessioni d’aula nelle quali si discutono e si votano centinaia di emendamenti agli articoli di un disegno di legge. Lì, in genere, i parlamentari sono presenti in percentuali molto elevate, appunto perché si vota; ma nove su dieci non conoscono la materia di cui si discute; pertanto leggono, scrivono o comunque pensano a tutt’altro e votano seguendo meccanicamente le indicazioni del proprio gruppo. Il risultato è che anche la migliore argomentazione ha ridottissime possibilità di convincere l’avversario. Per evitare questo enorme spreco di tempo e questa disfunzionalità del dibattito parlamentare occorrerebbe che una riforma dei regolamenti e della prassi consentisse di discutere e approvare in commissione una percentuale di leggi molto maggiore rispetto a quanto accade oggi.
Detto questo, va anche detto che alcuni parlamentari lavorano effettivamente poco: sono in genere quelli che contano meno nei rispettivi gruppi e si tengono defilati. Per ridurre il peso di questi peones pocofacenti, però, la ricetta è una sola ed è ancora quella di cui si è detto all’inizio: ridurre di molto il numero dei deputati e dei senatori. Anche della metà: perché il numero attuale venne determinato quando la competenza legislativa era interamente attribuita al Parlamento nazionale, mentre ora metà di essa è attribuita a 20 Consigli regionali.
Sia Montecitorio sia Palazzo Madama pullulano di giornalisti, i quali tutte queste cose le sanno bene. Perché, invece di raccontarle come sono, preferiscono alimentare la protesta più superficiale e quindi meno utile?

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