IL MATTINO: RIFORMA ALL’ULTIMO MIGLIO, ROTTURA IN VISTA?

NON PARLIAMO PIÙ DI TABÙ, A PROPOSITO DELL’ARTICOLO 18: LA RIFORMA COMPORTA EFFETTIVAMENTE UN CAMBIO DI EQUILIBRIO GENERALE, SUL QUALE È BEN COMPRENSIBILE CHE CI POSSANO ESSERE DEI DISSENSI ANCHE MARCATI; MA QUESTO PASSAGGIO È IMPORTANTISSIMO E URGENTE

Intervista a cura di Pietro Perone, pubblicata sul quotidiano il Mattino di Napoli il 19 marzo 2012

Si va alla stretta finale sulla riforma del lavoro, ma resta il “tabù” dell’articolo 18: crede che vi siano ancora margini di trattativa?
Non è un tabù. La riforma che il ministro Fornero propone segna una svolta importante per il nostro Paese, un cambio di equilibrio. È ben comprensibile che questa scelta possa non essere condivisa, comunque che ci possano essere resistenze, sia da sinistra, sia da destra.

In che senso lei parla di un “cambio di equilibrio”?
La regola della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro è sostanzialmente una property rule: dello stesso tipo, per intenderci, della regola che impone l’abbattimento dell’opera costruita abusivamente dal vicino, in violazione del diritto di proprietà. La regola dell’indennizzo è invece sostanzialmente una liability rule, cioè una norma che consente all’obbligato libertà di scelta, obbligandolo a indennizzare chi subisca un pregiudizio per effetto della sua scelta. Il problema attuale, nel mercato del lavoro italiano, è proprio quello del passaggio da un regime di job property del lavoratore a un regime di liability dell’impresa, nel quale sia protetta la sicurezza economica e professionale di chi deve cercare una nuova occupazione, ma non la sua inamovibilità rispetto al vecchio posto di lavoro.

Altrimenti?
Il rischio è quello che il diritto di proprietà del lavoratore sul posto di lavoro si trasformi talvolta in una sorta di manomorta, che impone la conservazione di strutture obsolete, di rami secchi, dando luogo nei casi limite a posizioni di sostanziale rendita parassitaria, impedendo la necessaria evoluzione del tessuto produttivo.

Il nodo rimasto sul tappeto sembra essere quello del reintegro del lavoratore licenziato sui cui gli stessi sindacati hanno posizioni diverse. In una situazione di crisi come quella italiana è davvero questo l’ostacolo che si frappone a possibili nuove assunzioni?
È proprio in una situazione di grave incertezza economica che le imprese sono più riluttanti ad assumere a tempo indeterminato, se l’eventuale futuro aggiustamento degli organici sarà troppo difficile o costoso. Per questo la riforma è necessaria ora più di quanto non lo fosse cinque o dieci anni fa.

Ma il vero problema non è piuttosto la crescita del Paese al di là del reintegro o meno del lavoratore licenziato?
Gran parte delle nostre speranze di rimettere in moto la crescita del Paese sono riposte nell’apertura agli investimenti stranieri, ai quali esso oggi è drammaticamente chiuso. A questa chiusura concorrono diversi fattori; tra questi, in primo piano, c’è anche il netto disallineamento della nostra legislazione del lavoro rispetto a quella dei maggiori partners occidentali, soprattutto in materia di licenziamento per motivi economici od organizzativi.

Una riforma dell’articolo 18 limitata ai neo assunti non crede possa prestare il fianco a problemi di costituzionalità visto che si verificherebbe una disparità nei diritti tra lavoratori?
Problemi di costituzionalità no; forse di opportunità. Questo è proprio il motivo per cui anche Cisl e Uil si sono espresse, al tavolo del negoziato, per una riforma che riguardi anche i rapporti di lavoro già costituiti. La legge contenente la riforma potrebbe prevedere che la nuova disciplina incominci ad applicarsi subito ai rapporti nuova, mentre ai vecchi incomincerebbe ad applicarsi fra un anno e mezzo o due, quando ci saremo messi la recessione alle spalle.

Fa bene il governo a procedere anche senza accordo con le parti sociali?
Il metodo della concertazione può costituire la “marcia in più” di cui un Paese dispone, particolarmente in un momento difficile come il nostro attuale. Ma questo metodo funziona soltanto quando tra il governo e le associazioni sindacali e imprenditoriali c’è una visione comune circa i vincoli da rispettare e gli obiettivi da raggiungere. Dove questa visione comune fa difetto, e il sistema delle relazioni industriali non è in grado di autoriformarsi, il principio di sussidiarietà impone che il governo proceda, anche senza l’accordo delle parti sociali. Con una marcia in meno e senza compiacersene affatto; ma deve andare avanti lo stesso.

Il Pd ha dato via libera a Monti ma ieri da Parigi Bersani limitava il campo dell’azione del governo a una “ristrutturazione”: la spinta riformatrice dei democratici frenata dalla Cgil?
La riforma che il governo sta progettando è tutta costruita con materiali prodotti dal dibattito interno al Pd, e prima ancora all’interno delle forze di centrosinistra: dai disegni di legge di Franco Debenedetti del 1997 a quello di Tiziano Treu del 2000, fino a quelli presentati nel 2009 da me e nel 2010 da Paolo Nerozzi. Il fatto che nessuno di questi sia stato fatto proprio ufficialmente dal Pd, a ben vedere, non è stato un male: questo forse ha facilitato il compito del ministro del Lavoro.

Abbiamo ricordato in questi giorni Marco Biagi, assassinato a Bologna proprio il 19 marzo di dieci anni fa. Lui avrebbe detto a Monti di andare avanti comunque?
Nessuno deve appropriarsi della memoria di Marco, né pretendere di farsene portavoce.

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