FAR CRESCERE BENE I BAMBINI: È L’INVESTIMENTO PIÙ PRODUTTIVO

SE RITENIAMO NECESSARIO ESENTARE DAL VINCOLO DI BILANCIO LE SPESE DI INVESTIMENTO, LA PRIMA SPESA DA ESENTARE È QUELLA PER L’ASSISTENZA E L’EDUCAZIONE DELL’INFANZIA: IL NERBO DELLA SOCIETÀ CIVILE DI DOMANI

Intervento per la Nwsl n. 201, 21 maggio 2012, di Andrea Tardiola e Pietro Ichino – Seguono i link al Dossier Save the Children e ad un importante saggio sullo stesso argomento di Frank Vandenbroucke, Anton Hemerijck e Bruno Palier The EU Needs a Social Investment Pact, pubblicato su OSE Paper Series, Opinion paper No. 5, maggio 2011 – In argomento v. anche le note bibliografiche sullo stesso tema per la Nwsl n. 201

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Quando discutiamo di mercato del lavoro, disoccupazione giovanile, relazioni industriali, sistemi pensionistici, discutiamo di impiego di capitale umano, la più importante risorsa di cui disponiamo.
Nei meeting internazionali di questi giorni, che vedono i capi dei governi alla ricerca di una soluzione che persegua sia gli obiettivi di crescita sia di governo del debito, si discuterà di quali priorità per un rilancio dell’economia in tempi stretti. Tuttavia, come già ricordava Giavazzi nel suo editoriale sul Corriere della Sera di sabato scorso, anche le scelte che occorre compiere in tempi rapidi devono vivere dentro una prospettiva di medio e lungo termine. In altri termini quelle decisioni devono rispondere anche alla domanda: come vogliamo progettarci tra dieci, venti o trent’anni. Per tornare al punto di partenza: di quale capitale umano vogliamo costruire di qui ad allora e quali programmi dobbiamo mettere in campo per realizzare l’obiettivo?
Uno stimolo a porre la questione in questa prospettiva ce l’ha offerto la scorsa settimana il lancio della campagna di Save the Children, intitolata “Ricordiamoci dell’infanzia”, che denuncia come in Italia, “il 22,6% dei bambini è a rischio povertà, quasi 1 su 4, con uno spread rispetto agli adulti dell’8,2%, uno dei più alti in Europa”.
Queste informazioni riportano l’attenzione sulla drammatica condizione di violazione di diritti e, di conseguenza, sull’inefficacia del nostro sistema di welfare, specie per quanto riguarda il settore dei servizi dedicati a famiglie e minori. Per richiamare solo uno degli indicatori, riprendiamo quanto riporta il dossier di Save the Children: “malgrado alcuni miglioramenti negli ultimi anni, la percentuale di presa in carico dei bambini 0-2 anni ad opera degli asili nido è ampiamente al di sotto dell’obiettivo del 33% fissato dal Consiglio europeo nel 2000: su scala nazionale solo il 13% dei potenziali utenti può accedere al servizio, ma in quasi tutte le regioni del Sud, la copertura non raggiunge il 6%”.
Se questo stato di cose rimane costante non si va lontano. Poiché è ampiamente dimostrato da numerosi studi empirici (si pensi a quelli del premio Nobel per l’economia James Heckman), che le carriere scolastiche e professionali sono condizionate dal successo dell’intervento educativo nei primi anni di vita, occorre invertire la tendenza il più rapidamente possibile. Fortunatamente, per farlo non occorre scoprire formule sconosciute. Sappiamo quali sono gli interventi da mettere in campo, anche perché in alcune aree del Paese questi sono già una realtà avanzata: gli stessi asili nido, il tempo pieno a scuola, sono modelli di buone politiche soprattutto nel centro-nord Italia, mentre costituiscono ulteriori manifestazioni dello squilibrio territoriale che caratterizza il Paese.
Cosa fare dunque? Paradossalmente, l’esigenza di agire dentro vincoli economici, che obbliga a ridurre il numero delle priorità praticabili, induce a selezionare quelle a maggiore rendimento. Quello nel medio lungo periodo può essere realizzato con investimenti sull’infanzia per sostenere la costruzione del capitale umano dell’Italia dei prossimi decenni. La discussione dei leader europei sulla possibile introduzione della cosiddetta golden rule, cioè l’esclusione dal vincolo di pareggio di bilancio delle risorse destinate agli “investimenti a maggiore moltiplicatore economico” viene incontro a questa esigenza. Dobbiamo necessariamente pensare che gli investimenti siano  solo quelli fisici in infrastrutture materiali, oppure possiamo valutare in che forma e intensità aprire il ragionamento anche agli interventi sulle persone nella prima fase del ciclo di vita? Con la consapevolezza che questo ci restituirà un capitale umano più robusto, più capace di adattarsi nel futuro di profonde trasformazioni economiche che ci attendono e di meglio resistere e reagire alle crisi che potranno presentarsi in futuro.  Per non dire del ritorno in termini di tessuto sociale e civile migliore, che pure costituisce un mandato ineludibile per liberare il Paese da certi limiti congeniti che caratterizzano la sua vita pubblica. Vantaggi di lungo periodo ai quali si aggiungono quelli di breve, vista la dimostrata efficacia degli interventi di cura al fine di aumentare la domanda di lavoro femminile, sia per la domanda di lavoro che si genera nel settore dei servizi, sia per gli effetti di conciliazione dei tempi di vita. Aspetti, questi ultimi, sui quali Maurizio Ferrera ha scritto molte volte sul Corriere.
Occorre coraggio; e saper modificare certe mappe mentali (o contabili): siamo così convinti di dover continuare a trattare come ordinaria “spesa corrente” quella per il personale dedicato a progettare e sviluppare le capacità cognitive, emotive e relazionali dei nostri bambini e ragazzi?
Un’ultima ragione a favore di questa scelta: viviamo un momento drammatico nel quale viene chiesto un alto sacrificio agli italiani. È un patto per uscire dalla crisi. Sarebbe un forte arricchimento di questo patto poter dire che i sacrifici stanno già permettendo di destinare impegni e risorse per i figli di oggi, il nerbo della società civile di domani.

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