SE ENRICO LETTA ACCUSA RENZI DI “ESSERE DIVISIVO”

IL RESOCONTO DI UNA DISCUSSIONE INTERNA  SULLE CANDIDATURE ALLE PRIMARIE, CON LA PARTECIPAZIONE DEL VICE-SEGRETARIO, OFFRE L’OCCASIONE PER ALCUNE RIFLESSIONI SUI RISCHI ATTUALI PER L’UNITÀ DEL PARTITO (CHE NON SONO QUELLI DERIVANTI DALLA CANDIDATURA DEL SINDACO DI FIRENZE)
 
Messaggio pervenuto il 22 settembre 2012 (e qui pubblicato a seguito di espressa autorizzazione da parte della mittente) – Seguono la mia risposta e una replica di Enrico Letta
 
Egregio dottor Ichino,
oggi abbiamo tenuto una riunione con il dottor Enrico Letta ed il senatore Galperti per quanto riguarda le primarie. È inutile dirle che moltissime voci si sono dette pro Renzi, e si sono lamentate del comportamento di Bersani che sembra tornare indietro. Adamoli è stato una delle espressioni più vicine alla perplessità che serpeggiava in tutta la riunione. L’intervento di Letta si è chiuso ricordandoci che Matteo Renzi se vincesse avrebbe l’effetto di spaccare il Pd e non quello di tenerlo unito. Che se guidasse lui, Enrico, non sarebbe accettato da tutto l’insieme, e dunque per lui è importante sostenere Bersani che secondo lui non tornerà indietro dall’Agenda Monti, ma nel contempo terrà unità la parte storica del Pd. Tenga conto che Enrico è un prodiano e che tende a non isolare mai la sinistra storica ma a trascinarla nel cambiamento.
È una strategia, certo; lui dice che questa volta bisogna votare con la testa e non con il cuore. È inutile dirle che mi ha convinto solo in piccola parte. Su Matteo Renzi concordo con buona parte dei suoi progetti, ma non riesco a giudicare la sua capacità di guidare un partito con tante anime. Temo molto che si riveli un poco come Veltroni, bravo a parlare ma poi incapace di farsi accettare. Se guidasse lei voterei subito, perchè lei ha le spalle ed il carico dell’insieme se lo prenderebbe, Matteo non saprei.
Mi dia un parere e soprattutto vorrei capire se oltre alle idee lei si è fatto un’idea precisa della persona. Non è cosa di poco conto. Sulla persona di Matteo non riesco ad avere un giudizio di merito. Su Veltroni invece nonostante avesse detto cose che condividevo, me la sono fatta eccome, da subito non l’ho votato perchè l’ho ritenuto  inidoneo a guidare un partito così composito. Lei viene da sinistra e proprio per questo voglio avere il suo parere prima di votare Matteo solo perchè dice cose più vicine a me ed a lei. Il dottor F. P. si è detto anche lui perplesso su chi votare.
Le chiedo lumi, dottor Ichino.
Sara Finzi
 
Pubblico (con l’autorizzazione della mittente) questa lettera perché essa offre uno spaccato molto interessante del modo in cui la base del Pd sta vivendo la competizione tra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi per la leadership del centrosinistra nella prossima legislatura. Rispondo agli interrogativi che mi vengono posti proponendo sette brevi riflessioni.
. 1. C’è effettivamente un problema di tenuta dell’unità del Partito democratico. Non da ora, e non in conseguenza delle posizioni assunte da Matteo Renzi. Il problema ha incominciato a porsi con l’uscita dal partito del gruppo che fa capo a Francesco Rutelli, poi di Nicola Rossi; e torna ogni tanto a manifestarsi quando alcuni esponenti del vertice del Partito assumono posizioni che ricordano da vicino quelle del vecchio PCI (così contraddicendo la stessa ragion d’essere del Pd), oppure si spingono addirittura a forme di vero e proprio settarismo, arrogandosi il diritto di porre veti, stendere cordoni sanitari e lanciare scomuniche nei confronti di posizioni a loro sgradite.
. 2. Anzi, in un certo senso possiamo dire che l’
unità del Pd in qualche misura si è già rotta, se pensiamo ai sondaggi che attribuiscono allo stesso Pd un consenso elettorale di circa dieci punti inferiore rispetto al 33 e mezzo per cento delle elezioni del 2008. Dove è finito quel dieci per cento degli italiani che alle elezioni politiche di quattro anni fa si erano riconosciuti nel Pd? Proprio perché essi sono ancora in larga parte privi di rappresentanza politica possiamo considerarli come un pezzo del Pd originario staccatosi dal tronco principale, che potrebbe essere recuperato se riuscissimo a ricucire la spaccatura che si è determinata. Il Pd oggi è incapace di rappresentare questo dieci per cento di italiani. Ma è incapace, a maggior ragione, di offrire rappresentanza al quindici per cento di italiani che oggi non si riconosce più nel PdL. Dieci più quindici fa venticinque: un quarto dell’intero elettorato. La rinuncia a rappresentare questo enorme insieme di elettori senza partito, e non ancora catturati da Beppe Grillo, segna una rottura rispetto alla concezione originaria del nostro partito. Che pure è ancora la concezione condivisa da molti suoi dirigenti e militanti.
. 3. Se questo è il quadro, affermare che “la candidatura di Matteo Renzi è divisiva” non può non lasciare perplessi. In che cosa la candidatura di Renzi sarebbe più “divisiva” del settarismo cui ho accennato poco sopra? Se davvero l’unità del Pd è al vertice delle preoccupazioni di Enrico Letta, perché non ha mai fatto sentire la sua voce contro quei veti e quelle scomuniche?
. 4. Entriamo un po’ di più nel merito dei contenuti, delle proposte: il dialogo vero costituisce il metodo migliore per capirsi, innanzitutto, e quindi anche per evitare le divisioni. È forse “divisivo” chiedere che si applichi la regola statutaria del limite massimo di tre mandati parlamentari? Se Bersani è contrario, perché non propone alla prossima Assemblea nazionale del Pd di cambiare quella regola? Se non è quello il problema, che cosa c’è di così drammaticamente “divisivo” nella bozza di programma presentata da Renzi a Verona il 13 settembre? E poi, qualcuno ricorda una sola edizione delle primarie del Partito democratico americano che non abbia visto comportamenti dei candidati assai più “divisivi” di quelli del sindaco di Firenze? Non sarà che, sotto sotto, chi usa questo argomento non ha ben capito il valore delle primarie come strumento per rendere veramente contendibile la
leadership?
. 5. Davvero Enrico Letta non ha argomento migliore per contrastare la candidatura di Matteo Renzi, se non la preoccupazione per l’unità del Pd? Non si rende conto che questo costituisce uno straordinario, ancorché implicito, suo
endorsement per ogni altro aspetto di questa candidatura e in particolare per gli indirizzi programmatici che la accompagnano?
. 6. Non pensa Enrico Letta che sia, alla lunga, assai più “divisiva” per il Pd la linea del vertice attuale del Pd, che in Parlamento appoggia le riforme del Governo Monti, ma non sembra capace di assumere l’impegno chiaro e netto di porre la strategia europea di Mario Monti al centro del proprio programma per la prossima legislatura (come invece fa Renzi in modo molto esplicito)?
. 7. Non so se Matteo Renzi sarà davvero capace di coniugare la sua straordinaria capacità di parlare ai delusi dalla politica con il perseguimento degli indirizzi rigorosi e per nulla demagogici indicati nel suo programma. Non so se saprà far vivere già nelle prossime settimane, nel vivo della sua campagna elettorale, alcune scelte coraggiosissime che in quel programma sono indicate (una per tutte: la trasparenza totale, intesa come immediata accessibilità di tutti i dati e documenti di una amministrazione; ma anche di un’attività politica, come la campagna elettorale). Starò a vedere, pronto a criticarlo severamente, se non ci riuscirà; e sarà una grande occasione perduta. Ma se saprà farlo, credo che tutto il partito ne trarrà nuova linfa vitale; e ne deriverà il profondo rinnovamento di un gruppo dirigente che per alcuni aspetti assai rilevanti non ha dato buona prova in questi anni. Per esempio sul terreno della sobrietà della politica: i dirigenti e gli eletti del Pd non avranno forse speso il denaro del finanziamento pubblico in suv, diamanti e ville private, come i vari Fiorito, Belsito, Lusi & simili; ma come lo abbiamo speso quel denaro? Come mai non siamo in grado di mettere
on line ogni mandato di pagamento, ogni contratto stipulato, gli organici dei gruppi parlamentari e consiliari, i loro trattamenti, ogni altra voce di spesa? E perché nessuno, neanche tra i nostri presidenti e tesorieri dei gruppi parlamentari e consiliari, ha mosso un dito per ridurre l’entità di quei finanziamenti, neppure quando il Paese è stato sottoposto ai terribili tagli necessari per far fronte a una crisi finanziaria gravissima, fino a quando l’enormità di quel fiume di denaro non è stata messa a nudo dalle inchieste giudiziarie? Oggi, a torto o a ragione, due terzi degli elettori si pongono queste domande: sottovalutarne la portata può essere assai più pericoloso per il Pd di qualche intemperanza verbale del Sindaco di Firenze.   (p.i.)

 

LA REPLICA DI ENRICO LETTA
Caro Pietro,
sono esterrefatto dalla scorrettezza con la quale mi costruisci, artatamente e maliziosamente, una operazione quale quella che riporti questa mattina sul tuo sito. Un’operazione che, credendo di conoscerti, mi stupisce: nello stile e nello sostanza.  È vero che non si finisce mai di imparare.
Utilizzi parole riportate in modo confuso e di seconda mano per mettermi in bocca cose che evidentemente ti sono utili solo per tuoi fini. Se mi avessi chiesto cosa penso sul tema delle primarie, ti avrei risposto semplicemente con quel che penso. E cioè che sono state una grande scelta. Una salutare, sacrosanta, occasione di democrazia e partecipazione che renderà più forte il PD rispetto ai nostri avversari e rispetto all’antipolitica.
Penso che ogni candidato contribuirà in modo determinante a quest’esito. E ritengo che – dal momento che stiamo facendo non un congresso, ma una consultazione per la designazione del candidato premier di questo Paese – oltre alla competenza del candidato stesso sia prioritario scegliere chi è in grado di unire, di coinvolgere, di costruire alleanze che garantiscano governabilità all’Italia in uno degli snodi più drammatici della sua storia. E questo perché, alla fine, attorno alla persona che sceglieremo dovranno raccogliersi più del 50 per cento dei consensi e delle forze vive del Paese.
Ritengo che quella di Bersani, sia in quanto leader del partito più grande, sia per la sua naturale capacità inclusiva, sia la candidatura migliore per la premiership. Lo credo per la sua storia personale, per la passione con cui insieme abbiamo condiviso molti passaggi della costruzione del centrosinistra italiano, per la straordinaria responsabilità con cui ha fatto sì che il Partito Democratico sostenesse negli ultimi 10 mesi, e senza mai un cedimento oggettivo, l’azione di risanamento del governo Monti. Un’azione che, com’è noto, ho accolto con grande convinzione fin dal principio, ma che innegabilmente è stata faticosa sul piano della  tenuta sociale del Paese e della risposta al disagio di tanti italiani.
Considero Renzi, Vendola, Tabacci, Puppato e gli altri candidati di cui si discute in queste ore più divisivi che inclusivi. Chi di loro dovesse vincere – a mio parere –  faticherebbe non poco ad unire, ad allargare, a coinvolgere quelle forze indispensabili per arrivare alla maggioranza necessaria a guidare il Paese.
Questa è la sintesi. Poi avremo modo tutti di spiegare meglio il senso delle nostre convinzioni: la campagna è ancora lunga. Mi auguro, tuttavia, che il confronto possa avvenire su un profilo di correttezza. Così faremo il bene non tanto dei democratici quanto dell’Italia che, senza un PD forte, unito e vincente, non potrà mai uscire dalla crisi. E su questo spero non ci siano dubbi.
Enrico Letta
 
L’amicizia e la stima che mi legano a Enrico Letta mi inducono a chiedergli preliminarmente scusa se con la pubblicazione di questa lettera e della mia risposta lo ho irritato, e soprattutto se con questo ho davvero commesso una scorrettezza nei suoi confronti. Mi chiedo, però in che cosa consista la scorrettezza, dal momento che mi sono limitato a pubblicare – con l’autorizzazione scritta della mittente – un messaggio che riferisce non di cose della vita privata, ma di una discussione politica svoltasi in una sede di partito. Ora prendo doverosamente atto della rettifica che lo stesso E.L. propone, riguardo a quanto riportato dall’autrice della lettera: quando ha parlato dell’effetto “divisivo” di una eventuale vittoria di Matteo Renzi alle primarie il vicesegretario del Pd non si riferiva al partito, ma alla coalizione che intorno ad esso vogliamo costruire. Osservo soltanto che questa precisazione non fa che rendere ancora più pertinenti le mie riflessioni proposte sopra. In particolare, come può non rendersi conto E.L. dell’ipoteca gravissima sull’unità della futura coalizione derivante dalle posizioni assunte da alcuni dirigenti di vertice del nostro partito e da Nichi Vendola, nel senso della necessità di “rinegoziare” gli impegni dall’Italia nei confronti dei propri partner europei, o di disfare quello che ha fatto il Governo Monti in materia di pensioni e di mercato del lavoro? Forse che su queste basi può essere recuperata la fiducia di quel dieci per cento di italiani che hanno abbandonato il Pd in questi ultimi quattro anni? E di quel quindici per cento di italiani che hanno abbandonato il PdL? Sarei felice che E.L. chiarisse come e perché, a suo modo di vedere, sulla linea tenuta da Pierluigi Bersani il Pd dovrebbe essere in grado di recuperare un dialogo con questa parte decisiva dell’elettorato, con la quale negli ultimi anni ha perso totalmente i contatti, o verso la quale non ha comunque avuto alcuna capacità di attrazione. Se questo chiarimento venisse e fosse convincente, l'”incidente” mediatico della pubblicazione di questa lettera finirebbe col rendere un servizio utilissimo a tutti noi, nella nostra battaglia comune per un successo del centrosinistra alle prossime elezioni.  (p.i.)
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