SETTE QUESTIONI CRUCIALI PER IL RILANCIO DI SCELTA CIVICA

CI SIAMO UNITI PER DAR VITA A UN POLO RIFORMATORE CAPACE DI SFIDARE I CONSERVATORISMI DEL CENTRO-DESTRA E DEL CENTRO-SINISTRA, MA POI ABBIAMO DATO L’IMPRESSIONE DI UNO SLITTAMENTO DELLA NOSTRA ATTENZIONE DAI CONTENUTI DELL’AGENDA MONTI ALLE MANOVRE PARLAMENTARI E ALLE SCELTE DI SCHIERAMENTO

Intervento svolto il 16 maggio 2013 all’Assemblea costituente di Scelta Civica – In argomento v. anche il documento presentato alla stessa Assemblea con altri 35 parlamentari, ampiamente ripreso nella relazione introduttiva di Mario Monti alla stessa Assemblea

Vi propongo una riflessione su sette punti, sette questioni scomode. Potremmo essere tentati di accantonarle, in tutto o in parte, perché “divisive”; ma è solo affrontandole apertamente che eviteremo gli scogli sui quali la nostra barca potrebbe incagliarsi. Del resto, è destino di tutti i veri riformatori quello di essere, in qualche misura, divisivi.
1.    Ciò che ci ha mossi alla nostra impresa politica, nel dicembre scorso, è l’ “Agenda Monti”: un insieme organico di cose da fare, con un appello a unirsi solo sulla base del loro contenuto e dell’obiettivo fondamentale, la riforma europea dell’Italia, indipendentemente dalle posizioni di origine di ciascuno e persino delle vocazioni politiche di ciascuno. Per dirla all’inglese, ci siamo uniti sul terreno delle policies, più che su quello del politics. Ci siamo uniti per dar vita a un polo riformatore capace di sfidare il conservatorismo del centro-destra e quello del centro-sinistra, che si sorreggono a vicenda. Dopo di allora, però, abbiamo dato l’impressione di uno slittamento della nostra attenzione e della nostra azione dalle policies al politics, alle manovre, alle scelte di schieramento. Se non fermiamo subito questa deriva, verrà meno la ragion d’essere originaria del nostro unirci.
2.    Ritornare alla nostra ragion d’essere originaria, ai contenuti fortemente incisivi dell’“Agenda Monti”, è indispensabile se vogliamo esercitare un’influenza politica positiva sulla gravissima crisi in atto nel PD. Dobbiamo costituire l’interlocutore principale per la parte più interessata a recuperare lo spirito originario di quel partito, perché essa a sua volta diventi nostra interlocutrice sul nostro programma. E a questo programma dia una gamba in più per camminare (di gambe, programmi politici difficili come il nostro non ne hanno mai troppe!).
3.    Quanto alla questione del nostro rapporto con l’UDC, concordo totalmente sul punto sottolineato da Mario Monti, cioè che essa non può essere risolta sulla base di “prevenzioni antropologiche”. Sarebbe davvero contraddittorio se proprio noi, che ci proponiamo di unire tutti i riformatori sulla base della sola loro condivisione dei contenuti, avessimo delle difficoltà a convergere con chi a Mario Monti è stato più vicino nell’anno del suo governo e della nascita della sua “Agenda”. È invece proprio l’impegno concreto su quest’ultima che può e deve costituire il criterio decisivo per risolvere la questione. Per chiarire quello che intendo dire, propongo questo esempio: uno dei capitoli dell’“Agenda Monti” è costituito dall’incentivo fiscale all’occupazione delle donne come azione positiva mirata a raggiungere l’obiettivo di Lisbona del tasso di occupazione femminile al 60 per cento (dal 48 per cento attuale); un primo passo per spostare il nostro Paese dall’ “equilibrio mediterraneo” che lo caratterizza a un equilibrio di tipo nord-europeo.  Questa scelta di politica del lavoro è diametralmente opposta a quella del cosiddetto quoziente familiare, che – così come viene oggi presentata – ha invece l’effetto di disincentivare il secondo reddito di lavoro nel nucleo familiare, cioè quasi sempre quello della donna. È su questo terreno che dobbiamo ragionare con l’UdC. Io sono convinto che un’intesa possa essere trovata, che salvi le valenze positive delle due misure; ma l’intesa può essere trovata solo se condividiamo il disegno di spostare il Paese dall’equilibrio mediterraneo a quello centro- e nord-europeo. Non se vogliamo coltivare la secolare peculiarità italiana su questo terreno.
4.    Un’altra questione che dobbiamo discutere con grande urgenza – e che può essere decisiva per la nostra divergenza o convergenza con l’UdC – è quella che riguarda la riforma istituzionale e la riforma elettorale: intendiamo affrontare questi due punti dell’agenda guardando essenzialmente alla grande riforma di cui il nostro Paese ha bisogno, oppure invece guardando essenzialmente al nostro interesse contingente, come se fossimo un partitello di centro che si propone soltanto di svolgere il ruolo di ago della bilancia tra destra e sinistra (a rischio di ridursi a mosca cocchiera)?
5.    La spending review e la profonda trasformazione delle amministrazioni pubbliche costituiscono un capitolo centrale nell’“Agenda Monti”. Ma non sembrano avere costituito una nostra preoccupazione prioritaria nella negoziazione per la formazione del nuovo Governo, visto che abbiamo rinunciato alla possibilità – che pure ci era stata offerta – di guidare il dicastero della Funzione Pubblica. Anche questo è un terreno sul quale dobbiamo recuperare un ritardo grave: tanto più grave in quanto questo dovrebbe costituire un capitolo importante del programma del Governo Letta e comunque il capitolo primo e decisivo nella strategia che noi proponiamo.
6.    Dobbiamo assumere con decisione un’iniziativa di dialogo e confronto con la galassia dei gruppi, associazioni e movimenti dell’area liberal-democratica e di quella radicale (nel senso in cui è radicale Emma Bonino, per intenderci), che chiedono – e oggi stentano a ottenere – rappresentanza politica. Non deve trattenerci dall’assumere questa iniziativa la preoccupazione per le divergenze tra queste formazioni e quelle di ispirazione cattolica e popolare, che pure hanno in noi un referente politico, sul terreno dei diritti civili: il riferimento agli standard proposti su questo terreno dagli ordinamenti europei può e deve – a mio avviso – costituire la bussola per arbitrare la questione nell’ambito di una formazione politica quale è la nostra, che nell’integrazione dell’Italia in Europa e al tempo stesso nell’unione di tutti i sostenitori della riforma europea dell’Italia vede la propria ragion d’essere fondamentale.
7.    Sul piano organizzativo, infine, dobbiamo chiarirci le idee circa il modello di partito a cui pensiamo: partito pesante o leggero, partito delle tessere o partito-rete? La questione è strettamente collegata a quella del finanziamento pubblico. E anche qui torna in rilievo la nostra fedeltà all’“Agenda Monti” e a due suoi capitoli in particolare: quello relativo alla drastica riduzione dei costi della politica e quello relativo alla trasparenza totale nelle amministrazioni pubbliche. Come potremmo candidarci a introdurre e praticare la full disclosure nelle amministrazioni pubbliche, se non incominciassimo a praticarla nella nostra stessa amministrazione? Devo dire invece che qui le cose si svolgono ancora nel segno di una prevalente opacità.
Questi sono solo sette dei molti punti sui quali credo che dobbiamo recuperare urgentemente lo spirito originario che ci ha mossi cinque mesi fa alla nostra impresa politica. Se non lo facciamo, temo che la nostra impresa avrà vita breve. Ma se ci riusciamo possiamo aspirare a diventare il fatto nuovo più importante della Terza Repubblica.
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