UN COMMENTO A CALDO ALLA SENTENZA DELLA CONSULTA SULLA RAPPRESENTANZA SINDACALE IN AZIENDA

LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULL’ARTICOLO 19 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI NON AVRÀ PROBABILMENTE EFFETTI PRATICI RILEVANTI, MA SEGNALA LA NECESSITÀ DI UN INTERVENTO LEGISLATIVO DI SISTEMAZIONE DELLA MATERIA, IN ADERENZA AI CRITERI ADOTTATI CON L’ACCORDO INTERCONFEDERALE DEL 31 MAGGIO

Intervista a cura di Paolo Griseri, pubblicata da la Repubblica il 4 luglio 2013

Ora sarà davvero necessario un intervento legislativo su questa materia, sostiene il professor Pietro Ichino, giuslavorista e senatore di Scelta Civica.

La sentenza della Corte Costituzionale rompe il criterio che lega la titolarità della rappresentanza alla scelta di un sindacato di sottoscrivere un accordo con l’azienda.
Non lo rompe del tutto. Se prima il criterio era quello della sottoscrizione dell’accordo, ora è quello della partecipazione al negoziato.

Come valuta questa decisione?
Per valutarla sul piano del diritto costituzionale occorre attendere la motivazione. Sul piano pratico, non mi sembra un gran criterio: rischia di dar luogo a un notevole contenzioso. Perché la firma sotto un contratto o c’è o non c’è; ma la “partecipazione a un negoziato” è una nozione molto più sfuggente.

Può spiegare meglio?
Se un sindacato ha presentato una piattaforma rivendicativa e l’impresa gli ha chiuso la porta in faccia, si può dire che c’è stato negoziato, oppure no? Se optiamo per il “sì”, qualsiasi sindacato potrà vantare di avere il requisito. Se optiamo per il “no”, gli effetti pratici della sentenza della Consulta saranno ridottissimi.

Si rende necessaria a questo punto una nuova legge?
Che fosse necessaria una legge su questa materia lo sostengo da tempo. E ora, dopo l’accordo interconfederale del 31 maggio scorso, l’intervento legislativo è più facile: si tratterà di tenersi il più possibile aderenti ai criteri di quell’accordo. Scelta Civica sostiene fin dalla sua nascita una soluzione sostanzialmente rispondente a quei criteri, inserita nel “Codice del lavoro semplificato”: la si può anche scorporare dal Codice e farne un provvedimento legislativo a sé stante.

Uno dei principi sostenuti dai legali della Fiat di fronte alla Corte è quello di una specie di sistema premiale: è giusto che più un sindacato collabora con l’azienda più diventa titolare di diritti di rappresentanza.
La Fiat ha sostenuto la legittimità costituzionale dell’articolo 19 dello Statuto, nel testo modificato dal referendum del 1995. Paradossalmente, un referendum sostenuto dalla sinistra politica e sindacale, Fiom in testa. La norma risultante da quel referendum introduceva nel nostro ordinamento uno schema, per il quale il sistema di relazioni industriali si basa soltanto sul contratto; il diritto alla rappresentanza nasce soltanto dall’essersi conquistata la qualifica di controparte contrattuale dell’impresa. La stessa Corte costituzionale lo aveva ritenuto compatibile con la Costituzione in almeno due sentenze precedenti. Però è vero che era un sistema poco coerente con la tradizione sindacale del nostro Paese.

A quale condizione è possibile ripristinare in Fiat un sistema di relazioni industriali normale, senza esclusioni e senza fughe dalle responsabilità?
Un sistema di relazioni industriali funziona se tra le parti contrapposte c’è una visione comune almeno sugli obiettivi da raggiungere e i vincoli da rispettare.

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