SULLA CENSURA DI ECCESSIVA GENERICITÀ DELLA DELEGA LAVORO

IL PARERE DEL COSTITUZIONALISTA CIRCA LA LEGITTIMITÀ DELLA DELEGA IN MATERIA DI LAVORO CONTENUTA NEL DISEGNO DI LEGGE APPROVATO DAL SENATO, SULLA BASE DELLA GIURISPRUDENZA COSTANTE DELLA CONSULTA

Articolo di Stefano Ceccanti, professore di diritto costituzionale nell’Università “La Sapienza” di Roma, tratto dal suo blog – Aggiungo una osservazione a quelle proposte da S.C.: si sono viste in passato deleghe molto più generiche di quella contenuta nel disegno di legge-delega approvato dal Senato il 9 ottobre 2014, la quale indica in modo inequivoco il passaggio dal regime della job property (di cui la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro costituisce la chiave di volta) a un regime ispirato al principio della flexsecurity  .

Già a partire dalla fine degli anni ottanta (la delega sulla riforma del codice di procedura penale) vi è stata da parte parlamentare crescente attenzione per le procedure, sviluppando meccanismi che rafforzano i pareri parlamentari, a fronte di principi e criteri lasciati più generici. Si pensa che sia più efficace vincolare il Governo a pareri parlamentari sui concreti schemi di decreto più che pensare di predeterminare rigidamente gli esiti di contenuto. Il meccanismo più usato è quello del doppio parere (spesso limitato alle parti in cui il Governo non recepisce le condizioni); la legge 42 del 2009 ha previsto per la prima volta un passaggio nelle aule parlamentari in caso di mancato adeguamento: è successo con lo schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale e con quello su Roma capitale, all’inizio della XVII legislatura.
La Corte costituzionale non ha censurato questo trend, come si vede anche dalla giurisprudenza recente. Nella sentenza 280 del 2004, le ricorrenti (regioni) denunciano, tra le altre questioni, la evanescenza dei principi e criteri direttivi della delega contenuta nell’articolo 1, commi 4, 5 e 6 della legge 131 del 2003; la Corte si occupa delle altre questioni, dichiarando l’illegittimità costituzionale dei commi 5 e 6 ma salvando la sostanza della delega (ad adottare decreti legislativi “meramente ricognitivi dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nelle materie previste dall’art. 117 Cost., comma terzo”).
Nelle sentenze 53 e 174 del 2005 e 350 del 2007 la Corte si attiene al principio che il legislatore è libero nella definizione dei principi e criteri direttivi e quindi non è mai intervenuta sulla loro evanescenza.

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