DALLA LEGGE FORNERO AL JOBS ACT

LIMITI E MERITI DELLA RIFORMA DEL 2012 – CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ TRA QUELLA E LA NUOVA RIFORMA CHE STA VEDENDO LA LUCE IN QUESTI GIORNI

Intervista in occasione del meeting promosso da KPMG, Ruling Companies e Studio Ichino-Brugnatelli e Associati a Milano il 1° dicembre 2014 – Il sondaggio a cui si riferisce l’intervistatore è stato svolto da Nando Pagnoncelli per incarico di KPMG su di un campione di imprese circa le loro valutazioni sulla riforma del giugno 2012, le loro previsioni e i loro comportamenti conseguenti.

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Professor Ichino, si aspettava le valutazioni prevalentemente negative delle imprese sulla legge Fornero, che emergono da questo sondaggio?
Sì: corrispondono tutto sommato a come questa legge è stata accolta dall’opinione pubblica generale. Forse, però, sulla distanza, queste valutazioni negative possono essere precisate e circoscritte meglio. E possono essere rivalutati due aspetti molto positivi della stessa legge.

Incominciamo dalla messa a fuoco degli aspetti negativi.
Innanzitutto è una legge scritta nella forma e con il linguaggio divenuti ormai sfortunatamente tipici della nostra legislazione in materia del lavoro: quindi una legge illeggibile per la quasi totalità di coloro che devono applicarla. E questo è un difetto molto grave. Quanto al contenuto, è una legge che ha perso per strada una parte del suo equilibrio originario.

Quale equilibrio?
L’idea originaria era quella, per un verso, di un drastico superamento della rigidità costituita dalla disciplina dei licenziamenti, per l’altro verso di un contrasto efficace agli abusi di forme di contratto di lavoro non standard, come le collaborazioni continuative, o l’associazione in partecipazione. Al dunque, il superamento della vecchia disciplina del licenziamento è stato fortemente depotenziato con la reintroduzione – a seguito del famoso vertice di maggioranza notturno a Palazzo Chigi del 23 marzo 2012 – della reintegrazione per alcune ipotesi di licenziamento disciplinare e di licenziamento economico, che sono poi state interpretate in modo molto estensivo da parte dei giudici del lavoro. E sul terreno del contrasto agli abusi si è verificata una sorta di overshooting: insieme al loglio è stato falciato anche un po’ di grano che non lo meritava.

Il quadro che lei sta tracciando sembra giustificare in pieno la cattiva opinione della legge che è prevalsa nell’opinione pubblica.
Sì. Ma non si possono dimenticare due meriti importantissimi di questa legge. Il primo consiste in questo: essa ha realizzato una riforma degli ammortizzatori sociali – mi riferisco soprattutto a Cassa integrazione e assicurazione contro la disoccupazione – per la quale il Parlamento aveva delegato più volte i Governi nei diciotto anni precedenti, senza che nessuno di essi, né di destra né di sinistra, fosse mai riuscito a cavare neppure un ragno dal buco. Fino al 2012 la generalità dei disoccupati ha goduto soltanto del 60 per cento dell’ultima retribuzione per sei mesi, mentre nel settore manifatturiero il trattamento era dell’80 per cento e poteva durare per più anni, senza essere soggetto ad alcuna condizionalità; la legge Fornero ha disposto il passaggio graduale, che ormai si è compiutamente realizzato, a un trattamento assicurativo unico per tutti: l’ASpI, pari al 75 per cento per i primi sei mesi, poi gradualmente ridotto, per una durata complessiva di dodici o diciotto mesi a seconda dei casi. Si è rafforzata la condizionalità di questo trattamento, anche se su questo terreno l’implementazione è ancora molto indietro. Inoltre si sono poste le basi per il superamento dell’abuso sistematico della Cassa integrazione guadagni, finora diffusamente utilizzata per nascondere la disoccupazione mettendo, per così dire, i disoccupati in freezer per anni e anni senza che nessuno si occupi di loro.

Il secondo merito della legge Fornero?
Ha superato il tabù dell’intangibilità dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Su questo terreno la riforma, come si è detto, è stata soltanto parziale e non ha quindi portato tutti i risultati sperati. Però alcuni risultati importanti si sono avuti, soprattutto sul versante dei licenziamenti individuali per giustificato motivo di natura economica od organizzativa: in precedenza questi non erano di fatto praticabili se non in casi molto limitati; col risultato che l’impresa doveva attendere che maturasse una riduzione di personale di almeno cinque unità per poter dare corso al licenziamento collettivo. Da due anni a questa parte invece essi hanno incominciato a essere possibili; e si è osservato un loro rilevante effetto sostitutivo rispetto ai licenziamenti collettivi. La procedura di esame congiunto preventivo, istituita dalla legge Fornero, ha dato esito positivo in più di metà dei casi. Oggi, comunque, sarebbe molto meno facile arrivare – come stiamo arrivando – al superamento totale dell’articolo 18, se non avessimo alle spalle l’esperienza di questi due anni di applicazione della legge Fornero, con tutti i suoi limiti.

Veniamo dunque all’oggi. A che punto è il Jobs Act annunciato da Matteo Renzi?
Con questa espressione si indica comunemente un insieme di provvedimenti in materia di diritto e di mercato del lavoro contenuti nel programma del nuovo Governo, di cui una parte è già attuata: con il decreto-legge n. 34 del marzo scorso, il cosiddetto “decreto Poletti”, è stata disposta una sostanziale liberalizzazione delle assunzioni a termine, con il limite dei 36 anni complessivi tra primo contratto e proroghe; e il limite del 20 per cento massimo di assunti a termine nella stessa impresa. È stata inoltre disposta una notevole riduzione dei vincoli in materia di apprendistato, anche se su questo terreno si può far ancora molto in termini di semplificazione delle procedure di assunzione.

Quale sarà il prossimo passo?
Il prossimo passo sarà costituito da un decreto legislativo, di cui si prevede l’entrata in vigore già il primo gennaio 2015, che conterrà le linee essenziali della disciplina del contratto a tempo indeterminato “a protezione crescente”, cioè con una disciplina completamente nuova del licenziamento, e da una drastica riduzione del cuneo fiscale e contributivo sulle retribuzioni del personale assunto con questo nuovo contratto, prevista dalla legge finanziaria per il 2015. Seguiranno poi, entro il primo semestre del nuovo anno, almeno tre altri decreti legislativi, contenenti rispettivamente il nuovo testo unico semplificato delle norme sui rapporti di lavoro, ovvero il cosiddetto Codice semplificato, la nuova disciplina degli ammortizzatori sociali, che completerà l’opera avviata con la legge Fornero, e una ristrutturazione radicale del sistema dei servizi per l’impiego.

Andiamo per ordine. In che cosa consistono le novità del “contratto a protezione crescente”?
Essenzialmente nella nuova disciplina dei licenziamenti, che segna il passaggio definitivo da un sistema di protezione centrato su di una regola di sostanziale job property, ispirata al modello dell’impiego pubblico tradizionale, a un sistema di protezione ispirato al modello nord-europeo della flexsecurity. Il filtro delle scelte aziendali in materia di aggiustamento degli organici non sarà più costituito essenzialmente dalle valutazioni imprevedibili di un giudice, ma da un severance cost prevedibile, proporzionato all’anzianità di servizio del lavoratore, di entità minima all’inizio del rapporto: una mensilità per anno di anzianità. Sul versante della security, il nuovo sistema prevede che al lavoratore venga assicurata, insieme al congruo sostegno del reddito offerto dall’ASpI, una assistenza efficace nella ricerca della nuova occupazione.

Ma i servizi per l’impiego in Italia funzionano molto male.
Per questo il disegno della riforma prevede il coinvolgimento delle agenzie specializzate nei servizi di placement e di outplacing, attraverso il nuovo strumento del contratto di ricollocazione, che vedrà il lavoratore libero di scegliere l’agenzia specializzata tra quelle accreditate presso la Regione, ma impegnato poi a cooperare attivamente a tutte le iniziative che questa gli indicherà per il più rapido reinserimento nel tessuto produttivo, sotto pena della perdita del sostegno del reddito. Il servizio reso dall’agenzia verrà retribuito con un voucher regionale pagabile per la maggior parte a risultato ottenuto, in modo da assicurare una riqualificazione automatica della spesa pubblica in questo campo e al tempo stesso una selezione automatica degli operatori in base alle loro capacità. Il disegno di legge-delega prevede anche l’istituzione, senza assunzione di nuovo personale, di un’agenzia nazionale cui saranno affidati i compiti di fissare gli standard di efficienza ed efficacia dei servizi offerti dalle Regioni, controllarne il rispetto e surrogarsi alle Regioni che non siano in grado di garantirlo.

In che cosa consisterà il Codice semplificato?
Consisterà in un testo unico di una sessantina di articoli, brevi e scritti in modo da essere leggibili da parte di chiunque; e facilmente traducibili in inglese. Questi sessanta articoli sostituiranno l’intera legislazione di fonte nazionale in materia di rapporti di lavoro. A parte la riforma dei licenziamenti di cui si è detto, e una modifica incisiva della norma relativa al mutamento di mansioni in azienda, per il resto il nuovo codice non farà altro che “distillare” in forma più semplice e chiara la normativa esistente, eliminandone gli scostamenti più rilevanti rispetto agli standard europei prevalenti.

Il Governo riuscirà a mantenere tutti questi impegni?
In parte, come si è visto, sono impegni già attuati. Quanto al disegno di legge-delega, esso è stato approvato in seconda lettura dalla Camera, e la terza lettura in Senato, ai primi di dicembre, sarà sicuramente rapidissima. Il primo decreto delegato, con la disciplina essenziale del contratto di lavoro a protezione crescente, sarà dunque emanato entro la fine dell’anno per entrare in vigore insieme alla legge di stabilità, con gli sgravi tributari e contributivi, dall’inizio del nuovo anno. Gli altri decreti delegati sono già in fase avanzata di stesura: non vi è motivo di dubitare che arriveranno a ruota anche quelli. Non vi è motivo di dubitarne anche perché tutti sanno quanto pesino questi adempimenti per la credibilità e il potere contrattuale dell’Italia al tavolo di Bruxelles. Ma anche per la riapertura del flusso degli investimenti diretti stranieri nel nostro Paese, che costituisce la premessa più importante per il ritorno dell’economia italiana alla crescita.

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