LA BRIGATA MÉDITERRANÉE E IL REFERENDUM GRECO

VINCESSE IL NO, PER I GRECI SAREBBERO GUAI – NON PER I TIFOSI DI TSIPRAS DI CASA NOSTRA, INVECE, CON I CONTI CORRENTI IN EURO, SOTTO L’OMBRELLO TEDESCO

Articolo di Marcello Esposito, professore di Finanza internazionale nell’Università Cattaneo di Castellanza e segretario del Circolo Pd Econdem Milano Europea, pubblicato su Linkiesta il 5 giugno 2015 (giorno del referendum greco)

Manifestazione pro-Tsipras a Londra (JACK TAYLOR/AFP/Getty Images))

Manifestazione pro-Tsipras a Londra, alla vigilia del referendum greco del 5 luglio 2015 (JACK TAYLOR/AFP/Getty Images)

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 Questa estate, l’unica voce attiva del turismo ellenico rischia di essere quella dei post-rivoluzionari della “brigata Méditerranée”. Nostalgici del pugno chiuso o del braccio teso, incazzati permanenti o depressi cronici stanno affollando i voli per Atene, pronti a sostenere il duo Tsipras-Varoufakis nel loro ultimo show. Un po’ come se si trattasse di una trasferta di Champions League. Tutti ad Atene con il trolley, qualche centinaio di euro e pochi, ma utili consigli da mandare a memoria prima che l’ouzo possa obnubilare le menti. Free hugs per tutti quelli che capitano a tiro e votano giusto. Ma attenti a non dare mai il vero numero di cellulare: non si sa mai che a qualcuno dei compagni greci possa venire la malaugurata idea di venire a cercar lavoro in Italia. E la mattina dopo il voto, una volta che l’aereo sarà rientrato nello spazio dell’Europa della Merkel, «Vaffa… », a chi rimane nell’inferno di Atene, come direbbe il più raffinato tra loro.

Nella Brigata Méditerranée non ci sono solo i compagni dell’estrema sinistra, quelli che come Syriza considerano il Partito Socialista Europeo troppo moderato e compromesso con le logiche capitalistiche. La componente italiana vede schierato tutto l’arcobaleno antagonista e anti-sistema: dalla minoranza Pd a Grillo, da Sel alla Meloni. Con l’appoggio morale della corrente Caterpillar dei (si fa per dire) “moderati” italiani. I vari Brunetta e Salvini, che l’aereo non lo prendono, ma si sentono vicini al popolo greco nel momento in cui l’orologio della storia segnerà l’ora delle decisioni irrevocabili. Oggi come cento anni fa, si è disponibili a sacrificare i propri cittadini, soprattutto i più deboli e i più poveri. Quelli che non hanno avuto la possibilità di trasferire all’estero i propri averi

La retorica dell’orgoglio nazionalistico, del “meglio morire in piedi che vivere accovacciati” quante volte la abbiamo sentita negli ultimi cento anni in Europa? In nome di slogan senza alcun senso, oggi come cento anni fa, si è disponibili a sacrificare i propri cittadini, soprattutto i più deboli e i più poveri. Quelli che non hanno avuto la possibilità di trasferire all’estero i propri averi, quelli che non saranno chiamati ad occupare una cattedra in una prestigiosa università americana, quelli che non saranno ammessi nella patria di Krugman e di Stiglitz perché ritenuti di qualità non idonea agli standard minimi richiesti per la forza lavoro a stelle e strisce.

La Grecia viene incoraggiata dalla brigata méditerranée a spingersi nel baratro di un default che non ha precedenti in un paese sviluppato. Per avere un’idea e non limitarci ai dati finanziari che sono già sotto gli occhi di tutti, facciamo come il ministro Varoufakis e consideriamo l’aspettativa media di vita alla nascita. La Grecia con 81 anni fa parte, come molti altri paesi europei, di un ristretto gruppo di “fortunati” dove si superano gli 80 anni. Questo dipende in minima parte dal clima e dall’alimentazione e in massima parte dalla disponibilità di un sistema sanitario “europeo”, cioè aperto a tutti e finanziato in larghissima parte dai contributi obbligatori e dalla fiscalità generale.

A pochissimi chilometri di distanza dalle coste greche c’è la Turchia, che condivide lo stesso patrimonio genetico e condizioni di vita molto simili, ma non può permettersi (ancora) un sistema sanitario “europeo”: la vita media è di 75 anni. Eppure la Turchia ha un apparato produttivo, una capacità imprenditoriale e un’importanza geostrategica decisamente superiore alla Grecia. La brigata méditerranée sa cosa significa per gli ultra-settantenni, per gli invalidi e i malati cronici, per le mamme e i loro neonati se l’aspettativa di vita inizia a scivolare verso la media del mediterraneo non europeo perché non ci sono più a disposizione i medicinali e le strutture ospedaliere di standard europeo? In Tunisia è di 76 anni, in Albania di 74 anni, in Algeria di 72 anni.

Ma la cosa che fa più rabbia è che tutti questi turisti della rivoluzione lunedì mattina rientreranno in aereo in Italia, con i loro conti correnti intonsi, al riparo dell’ombrello tedesco. Ottant’anni fa, in Spagna, le brigate partigiane andavano a combattere, non a fare testimonianza. Il No, se dovesse prevalere, spazzerà via i risparmi dei pensionati greci in coda ai bancomat. I loro risparmi e quelli dei loro genitori invece continueranno a rimanere denominati nell’euro, la valuta che ha ereditato la forza del Deutsche Mark.

Una postilla finale sui due premi Nobel, Krugman e Stiglitz, che si sono schierati per il No. Mentre Stiglitz appare più un attivista che un economista nelle sue argomentazioni, Krugman tenta di imbastire un discorso più serio. Ma anche lui cade ripetutamente in contraddizioni logiche e mostra una notevole ignoranza della situazione europea nella sua attuale evoluzione. Krugman attribuisce i mali dell’Europa alla rigidità della moneta unica. Ma se credesse veramente che la causa della bassa natalità, della scarsa innovazione tecnologica, della dimensione microscopica del tessuto industriale di molti paesi europei fosse l’euro, dovrebbe avere la forza intellettuale di suggerire di cancellare l’euro e che ognuno torni alla propria valuta nazionale. Siccome non è così stupido da pensarlo veramente, se ne esce con una soluzione molto originale: maggiore flessibilità nell’interpretazione delle regole di bilancio. E così facendo dimostra di non seguire da vicino l’evoluzione della governance dell’euro e di non conoscere gli sviluppi di questi ultimi anni.

Sigle come Omt, Qe e la stessa Ela a favore delle banche greche non sono forse un’interpretazione, forse tardiva ma sicuramente molto elastica dei Trattati europei? Per non parlare sempre delle concessioni che sono state fatte ad Atene in questi anni: la penna d’oro del New York Times sa che Spagna e Francia, per dirne due a caso, non rispettano da anni il parametro chiave di Maastricht, il famigerato 3% sotto il quale dovrebbe tassativamente essere il rapporto deficit/Pil? È a conoscenza del fatto che, per gentile concessione della Merkel, il deficit per cassa dell’Italia non è mai stato al 3% e nonostante questo la Commissione ci ha concesso di uscire dalla procedura di deficit eccessivo? Lo sa che le previsioni del fiscal compact e il pareggio di bilancio sono stati rimandati di qualche anno? E l’Europa ha forse vietato a Renzi di elargire 80 euro a 10 milioni di italiani nonostante le finanze pubbliche italiane non siano certo a prova di bomba?

Comunque, Stiglitz e Krugman non sembrano partecipare al viaggio ad Atene. D’altro canto, avete mai visto un americano, per di più pemio Nobel, a cui rifiutano la carta di credito? Rischieremmo l’intervento della sesta flotta.

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