L’ACCESSIBILITÀ A MUSEI E SITI STORICI COME SERVIZIO PUBBLICO

LE RAGIONI DELLA RICONDUZIONE DEI SERVIZI PER LA FRUIZIONE DEL PATRIMONIO ARTISTICO NEI SERVIZI PUBBLICI, AI FINI DELLA REGOLAMENTAZIONE DELL’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI SCIOPERO

Relazione svolta alla Commissione Lavoro del Senato sul decreto-legge n. 146/2015 il 27 ottobre 2015.

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Relazione alla Commissione Lavoro del Senato sul decreto-legge 20 settembre 2015 n. 146, recante misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione (nel testo approvato dalla Camera dei deputati) e sul disegno di legge di conversione n. 2110, trasmesso dalla Camera dei Deputati il 22 ottobre 2015 

  1. La ragion d’essere del decreto-legge

La legge 12 giugno 1990 n. 146 sullo sciopero nei servizi pubblici comprende fin dall’origine nel suo àmbito di applicazione, in via generale, i servizi di protezione ambientale e quelli di vigilanza sui beni culturali (art. 1, comma 2, lettera a). Una interpretazione non restrittiva di questa disposizione avrebbe consentito di sussumere nella nozione di “servizi di vigilanza” anche quelli svolti dagli apparati preposti alla gestione dei flussi di visitatori degli istituti e luoghi ove i beni culturali sono custoditi; senonché – nonostante che la Commissione di Garanzia abbia ripetutamente manifestato il proprio orientamento in questo senso – non è stata questa l’interpretazione che nell’applicazione effettiva della norma ha prevalso nei venticinque anni in cui essa è stata in vigore.

Fino al 20 settembre 2015, dunque, gli apparati preposti alla gestione dei flussi di visitatori sono stati tenuti distinti da quelli preposti alla protezione e vigilanza, col risultato della loro esclusione dal campo di applicazione della regolazione dello sciopero.

Questa scelta interpretativa è stata tuttavia messa in discussione sul piano delle sue conseguenze da alcuni episodi di chiusura per motivi sindacali di monumenti e siti archeologici (i casi più clamorosi, ma non i soli, sono stati quelli dello sciopero della Galleria degli Uffizi del marzo di quest’anno, nonché quelli della chiusura in pieno periodo estivo, per sciopero o per assemblea sindacale, del sito archeologico di Pompei e del Colosseo a Roma), con conseguente grave disagio per un numero notevolissimo di turisti. Proprio la sproporzione evidente tra gli interessi coinvolti nelle vertenze sindacali e gli interessi generali pregiudicati in questi episodi di blocco del servizio hanno posto in rilievo la duplice natura di servizio pubblico insita nel servizio di vigilanza: esso costituisce servizio pubblico, per un verso, in quanto assicura la conservazione e protezione del bene culturale, per altro verso in quanto consente la fruizione del bene stesso da parte di una popolazione vastissima, costituita in prevalenza da persone che per goderne affrontano viaggi anche transoceanici.

Si osservi come vengano qui in rilievo due interessi pubblici distinti rispetto a quello alla conservazione e protezione del bene culturale, esplicitamente menzionato fin dall’origine nell’art. 1 della legge n. 164/1990: i) l’interesse generale alla tutela dell’immagine e del prestigio del nostro Paese agli occhi degli ospiti stranieri, oltre che dei suoi stessi cittadini, e ii) l’esigenza di evitare di tenere fuori da un sito centinaia o migliaia di visitatori che possono avere già acquistato il biglietto e dei quali molti possono rischiare di perdere la possibilità di effettuare la visita se questa non si svolge nell’orario programmato.

  1. – Il contenuto essenziale del decreto-legge e i motivi della sua urgenza

In funzione del cospicuo e molteplice insieme di interessi di cui si è detto, il decreto-legge 20 settembre 2015 n. 146 – il cui disegno di legge di conversione è stato approvato, con modifiche, dalla Camera dei deputati in prima lettura e trasmesso al Senato il 22 ottobre scorso – amplia d’autorità l’ambito di applicazione della legge n. 146/1990 estendendolo anche ai servizi di apertura al pubblico regolamentata di musei, monumenti e altri istituti e luoghi rilevanti del patrimonio culturale, storico e artistico nazionale.

I motivi di urgenza del provvedimento sono stati ravvisati, per un verso, nel rischio che episodi analoghi a quelli di Pompei e dell’Anfiteatro Flavio si ripetessero a Milano, dove era ed è tuttora in corso la grande manifestazione mondiale Expo 2015, e a Roma dove è imminente l’apertura del Giubileo straordinario.

  1. – La riduzione della portata del provvedimento operata dalla Camera dei Deputati in prima lettura

Va subito osservato, a questo proposito, che la Camera ha circoscritto la portata della nuova norma con l’aggiunta del requisito che gli istituti e luoghi della cultura appartengano a soggetti pubblici, così escludendo musei, pinacoteche, biblioteche, archivi, edifici storici di valore artistico e altri beni culturali appartenenti a fondazioni o comunque a soggetti privati. Questo effetto è stato ottenuto col limitare il riferimento all’articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio emanato con il D. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, al solo comma 3 di quell’articolo, che recita:

  1. Gli istituti e i luoghi di cui al comma 1 che appartengono a soggetti pubblici sono destinati alla pubblica fruizione ed espletano un servizio pubblico.

Il riferimento originario, nel decreto-legge, all’intero articolo 1 del Codice suddetto ricomprendeva tutti i servizi di apertura al pubblico, senza escludere dall’àmbito di applicazione della norma gli istituti e luoghi della cultura appartenenti a soggetti privati. Ora, invece, il richiamo, nello stesso articolo 1 come modificato dalla Camera, del solo comma 3 del citato art. 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio ha l’effetto di limitare l’estensione della disciplina dello sciopero agli istituti e luoghi della cultura appartenenti a soggetti pubblici.

Questa restrizione, ispirata all’intendimento apprezzabile di circoscrivere il più possibile la portata della limitazione del diritto degli addetti ad astenersi dal lavoro per sciopero, presenta una difficoltà di armonizzazione con l’impianto della legge n. 146/1990 sullo sciopero nei servizi pubblici, la quale a) in linea generale non distingue tra servizi pubblici gestiti da soggetti pubblici e servizi gestiti da soggetti privati, e b) in particolare, nell’estendere il proprio àmbito di applicazione ai servizi di protezione e vigilanza sui beni culturali, non distingue tra beni gestiti da soggetti pubblici e privati. Va osservato tuttavia, a questo proposito, che il Codice dei beni culturali del 2004 non impone al soggetto privato titolare di un museo o sito di interesse culturale di aprirlo al pubblico, essendo tale bene oggetto non di un servizio pubblico, ma di un servizio privato di utilità sociale. Questa considerazione consente di superare la censura di incostituzionalità che potrebbe altrimenti essere mossa alla restrizione introdotta dalla Camera, ponendo in luce un profilo di ragionevolezza del diverso trattamento riservato ai musei e siti di interesse culturale in ragione della qualità e natura del loro titolare.

  1. – Le altre integrazioni del testo legislativo apportate dalla Camera

La Camera ha inserito un articolo 01 contenente la precisazione secondo cui – in attuazione dell’art. 9 della Costituzione (che afferma i valori dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica e della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione) – la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale sono attività che rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale[1], nel rispetto degli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale e delle Province autonome e delle relative norme di attuazione.

L’articolo 1-bis del decreto – inserito anch’esso nel testo legislativo dalla Camera – reca la consueta clausola di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica.

 

  1. – Il contenuto essenziale della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici

5.1. La legge 12 giugno 1990 n. 146 – Poiché l’effetto del decreto consiste nell’estensione al settore sopra indicato la disciplina dello sciopero nei servizi pubblici introdotta nel nostro ordinamento dalla legge n. 146/1990, è opportuno riportarne qui, almeno per linee essenziali, il contenuto.

L’intento generale, enunciato dalla suddetta legge (articolo 1, commi 1 e 2), è di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con la tutela dei principali diritti della persona, costituzionalmente riconosciuti: i diritti alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione.

I contenuti essenziali della legge n. 146, nella sua versione originaria, consistono:

  • nell’individuazione dei servizi pubblici essenziali, rientranti nell’àmbito di applicazione della disciplina in esame;
  • nella previsione dell’obbligo di preavviso, da adempiere almeno 10 giorni prima della data dell’astensione dal lavoro;
  • nella definizione, da parte dei contratti (o accordi) collettivi o dei regolamenti di servizio (adottati in base ad accordi con le rappresentanze del personale), delle prestazioni minime, da assicurare in caso di sciopero, e le relative modalità e procedure di erogazione del servizio;
  • nella formulazione di un apparato sanzionatorio per la violazione (da parte dei lavoratori, delle organizzazioni dei lavoratori o dei responsabili, amministrativi o aziendali) delle norme summenzionate in materia di preavviso e di prestazioni indispensabili;
  • nell’istituzione di una “Commissione di garanzia dell’attuazione della legge”;
  • nella previsione – per l’ipotesi di “fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti” – di una procedura di conciliazione e, in caso di esito negativo di quest’ultima, la possibilità dell’adozione, da parte dell’autorità pubblica competente, di un’ordinanza (cosiddetta di precettazione), sorretta da uno specifico apparato sanzionatorio, al fine di imporre adeguati livelli di funzionamento del servizio e/o il differimento dello sciopero. L’autorità competente per l’emanazione delle ordinanze di precettazione è il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato, se il conflitto ha rilevanza nazionale o interregionale, ovvero, negli altri casi, dal prefetto (o dal corrispondente organo nelle regioni a statuto speciale).

5.2. La novella apportata con la legge 11 aprile 2000 n. 83 – La legge n. 146 è stata poi oggetto di varie novelle, in larga misura operate dalla legge n. 83/2000. Tra le principali innovazioni stabilite da quest’ultima, si ricordano:

  • l’estensione dell’àmbito di applicazione della normativa anche alle situazioni di “astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalità” di servizi pubblici essenziali;
  • la prescrizione che i contratti (o accordi) collettivi contemplino altresì procedure di raffreddamento e di conciliazione, obbligatorie per entrambe le parti, da esperire prima della proclamazione dello sciopero (sostituibili, in ogni caso, con lo svolgimento di un tentativo di conciliazione presso determinate amministrazioni pubbliche);
  • la previsione che, qualora le prestazioni indispensabili e le relative modalità e procedure non siano definite dalle fonti contrattuali (ivi compresi i summenzionati regolamenti di servizio, adottati in base ad accordi con le rappresentanze del personale) o – per quanto riguarda i lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori – dai codici di autoregolamentazione, oppure siano valutate inidonee dalla Commissione di garanzia, quest’ultima adotti una provvisoria regolamentazione. Tale novella ha inteso definire due problemi interpretativi, sorti in base alla versione originaria della L. n. 146, rappresentati dal carattere vincolante o meno delle proposte avanzate dalla Commissione e dalla valenza limitata o universale (concernente, cioè, anche i soggetti che non si riconoscessero nel contratto o nell’accordo) del quadro delle prestazioni indispensabili (riconosciuto idoneo dalla Commissione);
  • la definizione, per le prestazioni indispensabili individuate provvisoriamente dalla Commissione, dei seguenti vincoli (fatti salvi casi particolari): il divieto di superamento del 50 per cento di quelle normalmente erogate – con esclusione, tuttavia, dal computo per le fasce orarie di erogazione piena dei servizi che occorra eventualmente garantire -; il ricorso all’impiego (tenuto conto delle condizioni tecniche e della sicurezza) di una quota strettamente necessaria di personale, non superiore ad un terzo di quello impiegato in via ordinaria;
  • il riferimento ai suddetti parametri ai fini della valutazione, da parte della Commissione, dell’idoneità degli atti negoziali e di autoregolamentazione;
  • una revisione dell’apparato sanzionatorio, anche al fine di estendere quest’ultimo agli obblighi introdotti dalla medesima legge n. 83/2000. Successive riformulazioni delle norme sanzionatorie sono state operate dall’art. 8, comma 3-bis, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, e dall’art. 1, comma 522, della legge 24 dicembre 2012 n. 228;
  • la legittimazione, in alcuni casi, per le associazioni degli utenti, ad agire in giudizio, anche al solo fine di ottenere la pubblicazione, a spese del responsabile, della sentenza che accerti la violazione dei diritti degli utenti;
  • la possibilità, per le ordinanze (dell’autorità pubblica competente per la precettazione) che differiscano l’astensione, di disporre anche l’unificazione di scioperi già proclamati;
  • l’introduzione di nuovi poteri della Commissione di garanzia, tra cui quelli di adottare: nel caso di violazioni delle disposizioni relative alle fasi che precedono l’astensione collettiva (preavviso, durata massima, esperimento delle procedure preventive di raffreddamento e di conciliazione, periodi di franchigia, rispetto degli intervalli minimi tra successive proclamazioni, e così via), delibere che impongano la riformulazione della proclamazione in conformità alle regole e il relativo differimento; nel caso di concomitanza tra interruzioni o riduzioni di servizi alternativi in uno stesso bacino di utenza, delibere di differimento per i promotori dell’astensione collettiva comunicata successivamente.
  1. – Primi atti di applicazione della disposizione recata dal decreto

Successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge, la Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, in ottemperanza a quanto previsto dalla legge n. 146/2015, ha invitato le Parti datoriali e sindacali a procedere alla sottoscrizione di un accordo, inteso a individuare le prestazioni indispensabili da assicurare in caso di sciopero nella materia oggetto del decreto, fissando un termine di sessanta giorni, decorrenti dal 24 settembre 2015, entro il quale le Parti devono sottoporre il testo dell’accordo al giudizio di idoneità della Commissione stessa. Con l’avvertenza che, in mancanza di soluzioni concordate entro tale termine, essa dovrà esercitare il proprio potere sostitutivo di regolamentazione della materia.

A tutt’oggi, tuttavia, non risulta che alcun accordo sia stato proposto dalle Parti al vaglio della Commissione di Garanzia.

 

  1. – Il dibattito sul decreto in prima lettura

Nel dibattito svoltosi alla Camera nel corso della prima lettura del decreto-legge è ripetutamente emersa la contestazione del requisito di necessità e urgenza (relazione di minoranza di Silvia Chimienti e intervento di Claudio Cominardi, cui hanno risposto, oltre alla relazione di maggioranza di Alessia Rotta e l’intervento della Sottosegretaria ai Beni Culturali Ilaria Borletti Dell’Acqua, anche quello di Titti Di Salvo), nonché una perplessità circa l’evento della chiusura al pubblico del Colosseo del 18 settembre, che ha costituito secondo alcuni una causa occasionale impropria dell’emanazione del decreto (interventi di Giorgio Piccolo e Giuseppe Zappulla), anche perché in quell’occasione la sospensione del servizio è stata causata non da uno sciopero ma da un’assemblea sindacale regolarmente preannunciata e autorizzata. Ma, come si è visto nel § 1), in realtà non sono certo limitati al caso della chiusura dell’Anfiteatro Flavio gli episodi che negli ultimi mesi hanno posto in evidenza la sproporzione tra gli interessi coinvolti nella vertenza sindacale e l’interesse pubblico leso dalla sospensione del servizio.

È stata pure sottolineata al riguardo la necessità di tenere distinto l’esercizio del diritto di sciopero dall’esercizio del diritto all’assemblea sindacale (intervento di Walter Rizzetto). A questo proposito va detto che la normativa posta a garanzia della continuità dei servizi pubblici essenziali non riguarda soltanto le sospensioni causate da sciopero, ma anche quelle che possono essere causate da qualsiasi altra iniziativa. La materia dell’assemblea sindacale è comunque oggetto del disegno di legge n. 2006/2015, in discussione proprio in queste settimane in questa Commissione.

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Per concludere, osservo che la necessità di conversione in legge del decreto entro il termine costituzionale del 19 novembre costituisce motivo per l’approvazione definitiva del decreto già in seconda lettura, senza integrazioni inerenti alla disciplina dello sciopero e dell’assemblea sindacale, che potranno essere oggetto dell’altro e più complesso provvedimento al quale la nostra Commissione sta da tempo lavorando.

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[1] La determinazione di tali livelli essenziali rientra tra le competenze legislative esclusive dello Stato, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

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