THE ECONOMIST: UN SERVIZIO DAVVERO POCO ACCURATO

L’ARTICOLO DEL PERIODICO BRITANNICO CHE PRENDE POSIZIONE PER IL “NO”, CONTRADDETTO DA UN ARTICOLO COMPARSO SOTTO LA STESSA TESTATA SUBITO DOPO, È POCHISSIMO ACCURATO SUL PIANO DELL’INFORMAZIONE E DEBOLISSIMO NELL’ARGOMENTAZIONE A SOSTEGNO DELLE VALUTAZIONI PROPOSTE

Lettera pervenuta il 25 novembre 2016 – Segue la mia risposta – Altri documenti e interventi sul tema della riforma costituzionale che è oggetto del referendum del 4 dicembre sono contenuti nella sezione Riforme istituzionali di questo sito    .
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Caro Ichino, questa volta l’Economist vi dà contro. Sapendo quanto lei è attento alla parte più autorevole della stampa straniera, mi interesserebbe molto sapere che cosa pensa di questo articolo. Cordialmente
Vito Fabbri

EconomistVa subito detto che già nel numero annuale dell’Economist in edicola oggi, sotto il titolo The world in 2017 (di cui riporto la coopertina qui a destra), compare un articolo di segno opposto rispetto a quello comparso l’altro ieri nel fascicolo settimanale. La redazione del periodico inglese è dunque, evidentemente, divisa sulla questione.

Veniamo all’articolo dell’altro ieri cui V.F. si riferisce. Esso mi è parso decisamente (e sorprendentemente) poco accurato nell’informazione su cui si basano le valutazioni proposte. Per esempio, afferma che con la riforma il Senato “non sarebbe eletto”, col risultato di rischiar di diventare un ricettacolo di politici professionali inamovibili. Il disegno di legge Chiti, proposto dal PD per la legge elettorale del Senato, prevede: a) che gli elettori della Regione scelgano, con una scheda apposita, i consiglieri suscettibili di diventare senatori; b) che il Consiglio regionale, una volta insediato (dunque, quando si conosce la distribuzione dei seggi tra le diverse forze politiche), scelga tra i consiglieri selezionati dagli elettori quelli che rappresenteranno la Regione in Senato, in modo proporzionale rispetto alla propria composizione risultante dal voto degli elettori. La legge elettorale che verrà approvata per il Senato, se vincerà il Sì, potrà anche essere diversa dal disegno di legge Chiti; ma dire che con la riforma si costituisce un Senato “non eletto” mi sembra davvero una informazione di pessima qualità: al contrario, i senatori dovranno subire ben due selezioni elettorali, una diretta da parte di tutti gli elettori e una seconda da parte dei Consigli regionali. 

Quanto alle valutazioni proposte nell’artcolo, l’argomento principale è quello secondo cui il Governo Renzi avrebbe fatto meglio a non baloccarsi con la riforma costituzionale e ad occuparsi invece delle riforme economiche di cui il Paese ha bisogno; come se il Governo Renzi non si fosse occupato di entrambe le cose. E come se la riforma costituzionale non costituisse per molti aspetti una pre-condizione per l’efficacia e la possibilità stessa delle altre riforme necessarie. Proprio la sentenza di venerdì scorso della Corte costituzionale sulla riforma delle amministrazioni ne è una evidentissima dimostrazione; e tutti sanno che, per poter realizzare in anticipo di un anno rispetto alla riforma costituzionale il coordinamento nazionale delle politiche attive del lavoro con il decreto legislativo n. 150/2015 il Governo ha dovuto preventivamente ottenere in seno alla Conferenza Stato-Regioni il consenso di ciascuna delle 20 Regioni.
Un altro argomento centrale nell’articolo è che l’Italia sarebbe un Paese con una eccessiva propensione alla dittatura: è infatti il Paese che ha avuto come propri Capi del Governo Benito Mussolini e Silvio Berlusconi. Donde un giudizio negativo sulla nuova legge elettorale (il c.d.
Italicum), che potrebbe spalancare le porte al dittatore. Ora, anche volendo prescindere dal fatto che il referendum non ha per oggetto quella legge elettorale, la quale è invece soggetta al controllo della Corte costituzionale (se presentasse rischi di dittatura spetterebbe alla Corte costituzionale di bocciarla, in tutto o in parte; e può anche essere che la Corte corregga quella legge con una propria sentenza già prima di Natale), questo argomento dell’articolista dell’Economist mi sembra una sciocchezza, perché di Berlusconi si può dire tutto tranne che sia stato un dittatore. È stato eletto dagli italiani, a torto o a ragione, perché prometteva di ridurre le tasse; ma è stato pur sempre eletto; è stato processato dai giudici italiani; e quando è stato condannato in via definitiva è stato privato anche del seggio senatoriale, come prevede la legge Severino. Quanto a Mussolini, anche la Francia ha avuto un Pétain; eppure si è data un sistema elettorale maggioritario e ha un sistema di governo semi-presidenziale. Se in Francia vincesse le prossime presidenziali Marine Le Pen, non sarebbe l’avvento di una dittatura, come non sarà l’avvento di una dittatura la presidenza Trump negli USA: sarà soltanto una cattiva Presidente, che farà grave danno alla Francia. Per questo motivo alle ultime elezioni regionali francesi destra e sinistra tradizionali si sono unite per impedire il successo del suo partito. E sono convinto che qualche cosa di analogo avverrebbe anche nel nostro Paese, se nel 2017 o nel 2018 si votasse con il sistema del ballottaggio.

Il vero rischio per la democrazia italiana non mi sembra quello di scivolare verso una dittatura, ma semmai quello dell’inconcludenza: è dall’inconcludenza della politica che nasce l’antipolitica. Non è un caso che i sindaci, i quali sono eletti con un sistema maggioritario (premio di maggioranza attribuito con il ballottaggio) analogo a quello dell’Italicum, siano oggi i politici più popolari, più amati dagli italiani. Perché sono responsabili dell’attuazione dei loro programmi: se non li realizzano, non possono dire che è stato loro impedito da questo o da quello.     (p.i.)

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