TREMONTI IN DIFESA DEL MODELLO DEL POSTO FISSO

DIRE, COME FA IL MINISTRO DELL’ECONOMIA, CHE LA SICUREZZA DEL LAVORO E DEL REDDITO E’ UN BENE DELLA VITA E’ UNA OVVIETA’. MA SOSTENERE CHE QUESTO BENE SI DIFENDE RIPROPONENDO COME REGOLA GENERALE QUELLA DEL POSTO FISSO A VITA E’ DEMAGOGIA

Intervista a cura di Antonio Troise, pubblicata da il Mattino, il 20 ottobre 2009

Tremonti si è convertito: ora dice che è meglio il posto fisso. E’ d’accordo?
Se intende dire che la sicurezza del lavoro e del reddito è un bene della vita, dice una ovvietà. Se intende dire, allineandosi con Bertinotti, che questo bene si può ancora proteggerlo, come regola generale, applicando il modello del posto fisso a vita, fa della demagogia.
Perché demagogia?
Perché oggi il ritmo di obsolescenza delle tecniche applicate, ma anche dei prodotti e delle stesse aziende che li producono, non si misura più in decenni, come all’epoca in cui fu disegnato il nostro diritto del lavoro attuale: lo si misura in anni, se non addirittura in mesi. Promettere ai lavoratori una sicurezza fondata essenzialmente sull’ingessatura dei rapporti con le aziende significa ingannarli.
Tremonti, però, parlava ai lavoratori di una Banca, dove in genere il modello del posto fisso funziona.
Se ha inteso dire che quel modello può continuare a costituire la regola generale, si sbaglia di grosso. In realtà quel modello divide in due la forza-lavoro, tra protetti e non protetti, scaricando su questi ultimi tutto il peso della flessibilità di cui il sistema ha bisogno. Ne sanno qualche cosa i giovani che oggi entrano nel nostro mercato del lavoro. Ma non giova neppure a quelli che il “posto fisso” l’hanno conquistato: perché quando arriva una crisi occupazionale anche loro perdono il posto. E allora si accorgono di che cosa significa un mercato del lavoro vischioso, oltre che povero di servizi.
Il ministro dell’Economia sostiene che la mobilità del lavoro è figlia della globalizzazione. Lei concorda?
La mobilità del lavoro è una conseguenza necessaria della dinamicità del sistema produttivo, dell’evoluzione tecnologica. Certo, questa è favorita dall’intensificarsi degli scambi internazionali. Con questi fenomeni, se vogliamo rimanere dentro l’Unione Europea, dobbiamo imparare a fare i conti. Dobbiamo anche imparare a prendere il meglio della globalizzazione, e non soltanto gli effetti negativi.
Più precisamente, che cosa intende dire?
Che dobbiamo imparare ad attirare nel nostro Paese il meglio dell’imprenditoria mondiale, che porta innovazione e in molti settori può valorizzare il nostro lavoro meglio di quanto non facciano gli imprenditori italiani. Oggi l’Italia è il fanalino di coda in Europa per capacità di intercettare gli investimenti nel mercato globale dei capitali. Tra le cause principali del nostro ritardo c’è proprio il nostro sistema di relazioni industriali e questo nostro diritto del lavoro che piace tanto a Tremonti e a Brunetta.
Anche al ministro Brunetta?
Sì: nel maggio scorso si è spinto ad affermare che il nostro mercato del lavoro con le sue regole e i suoi servizi è il migliore del mondo. Poi Sacconi, nel suo Libro bianco, citando Marco Biagi, ha detto invece che è il peggiore d’Europa. Sarebbe il caso che si mettessero d’accordo.
Lei vede una contraddizione tra quel che ha detto Tremonti e la riforma del mercato del lavoro del ministro Sacconi?
In realtà anche Sacconi, pur citando Marco Biagi, sembra avere sposato la linea della conservazione dell’esistente.
Tremonti boccia anche il sistema del welfare americano: quel modello è del tutto irrealizzabile in Italia?
Il modello a cui dobbiamo ispirarci non è quello statunitense. Semmai quello nordeuropeo, fondato sulla coniugazione della massima possibile flessibilità delle strutture produttive con la massima possibile sicurezza per i lavoratori, che devono essere robustamente assistiti nei processi di aggiustamento industriale.
Dal punto di vista politico più generale, non le sembra che la destra si stia appropriando di una posizione che per anni è stata appannaggio della sinistra?
Vedo più che altro, in queste uscite estemporanee dei nostri ministri, la smania di catturare a tutti i costi l’attenzione dei media. È la politica dell’annuncio quotidiano; che poi esso sia poco coerente con ciò che il Governo fa in concreto, per esempio con la politica del Governo di massima espansione dei contratti a termine, di conservazione del regime di apartheid tra protetti e non protetti, a loro importa pochissimo.

 

 

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