UN PAESE ERMETICAMENTE CHIUSO AI GIOVANI: IL CASO DEI CONSERVATORI

NEL SETTORE DELL’ISTRUZIONE MUSICALE UN’INTERA GENERAZIONE E’ STATA ESCLUSA DALL’ACCESSO ALLA DOCENZA DI RUOLO: CHI SIA NATO DOPO IL 1970 NON HA PIU’ AVUTO DI FATTO ALCUNA POSSIBILITA’ DI CANDIDARSI

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera l’8 novembre 2009

            La chiusura del nostro Paese ai giovani si manifesta soprattutto nel sistema dell’istruzione superiore, che ora il Parlamento si accinge a riformare. Ne fornisce un esempio drammatico il settore dell’istruzione musicale, dove la chiusura è più ermetica che altrove: qui l’ultimo concorso a cattedre è stato bandito venti anni fa, nel 1990; e chi non sia stato dichiarato “idoneo” in quel concorso non ha più avuto l’opportunità di candidarsi in un Conservatorio italiano.

            Con il concorso del 1990 le cattedre disponibili furono assegnate per metà ai vincitori, le altre “per sanatoria” a persone che insegnavano già da tempo. In aggiunta, si pensò bene di integrare le liste dei vincitori con lunghe liste di  “idonei”. Dopo quel concorso, per un intero ventennio, non ne è stato più bandito uno solo in cui i candidati fossero sottoposti a prove di esecuzione o comunque a esame. Tutti i posti che via via sono venuti disponibili sono stati assegnati solo per trasferimento, oppure sulla base di quelle liste di “idonei”, sempre più stagionati. Col risultato che, per vent’anni, un’intera generazione di musicisti è stata tagliata fuori dall’insegnamento: fosse anche nato un Mozart, gli sarebbe stato sempre preferito come professore di ruolo un “idoneo” del concorso del 1990, che magari aveva smesso di fare musica da molti anni!
            Questo è il modo in cui il merito e il talento musicali vengono spietatamente azzerati nel Paese di Rossini, Verdi e Toscanini. Vengono azzerati innanzitutto per la chiusura ermetica delle porte della cittadella dell’istruzione musicale nei confronti delle nuove generazioni. Ma concorre ad azzerarli anche il modo in cui sono regolati i movimenti all’interno della cittadella: quando in un Conservatorio si rende disponibile una cattedra per trasferimento, il professore non viene scelto in base alle sue competenze e capacità. Il criterio di scelta obbligato è costituito da una graduatoria nella quale conta soltanto l’anzianità di servizio, il numero dei figli e l’eventuale stato di salute o “necessità familiare”. Questa essendo la regola applicata, nessun Conservatorio è in grado, non dico di scegliere il candidato migliore, ma neppure di praticare la minima pianificazione didattica e artistica.
            Non che prima del 1990 le cose andassero meglio: l’unico concorso precedente nel quale siano state chieste ai candidati prove di esecuzione risale agli anni del dopoguerra. A garantire la chiusura degli accessi hanno concorso per un verso l’inerzia dei governi, per altro verso l’interesse degli insider – cioè degli insegnanti che erano in qualche modo riusciti a penetrare nella cittadella fortificata – a difendere dalla pericolosa concorrenza delle nuove generazioni il proprio diritto esclusivo a dividersi i posti che via via venivano disponibili. Di quest’ultimo interesse, negli ultimi trent’anni, si è fatto intransigente paladino il sindacato dominante: nel settore non si muove foglia che l’Unione Artisti Unams (affiliata alla confederazione Gilda) non voglia.
            Alla questione del reclutamento è strettamente collegata quella del trattamento economico dei docenti. Le retribuzioni pagate dai Conservatori sono assolutamente troppo basse per gli insegnanti che sanno insegnare e lo fanno seriamente; non lo sono per i mediocri; andrebbero tolte del tutto ai troppi che non insegnano affatto. Per questo occorrerebbe che i direttori incominciassero a valutare e distinguere secondo il merito, nel reclutamento come nel trattamento dei docenti; e a rispondere della performance dei rispettivi Istituti, che le tecniche disponibili consentono ormai di misurare con precisione sempre maggiore. Occorrerebbe che un organismo indipendente incominciasse a misurarla sistematicamente (uno dei modi per farlo, ma non il solo, è rilevare i percorsi dei diplomati dopo la fine del ciclo di studi); e che le risorse venissero distribuite secondo i risultati. Occorrerebbe che venissero emanate le nuove norme sul reclutamento e attivati i contratti di insegnamento quinquennali come previsto da una legge sull’istruzione musicale (n. 508 del 1999), che in dieci anni non ha neppure incominciato a essere attuata.
            Valutare e distinguere: è questo il solo modo per aumentare le retribuzioni, eliminare le posizioni di rendita indebita, e al tempo stesso riaprire le porte alle nuove generazioni, in questo come in ogni altro settore. Quello dell’istruzione musicale è soltanto il comparto nel quale chiusura ai giovani e incapacità di valutare e distinguere si sono manifestate in modo più acuto; ma, in maggiore o minore misura, il problema è comune a tutto il nostro sistema scolastico e universitario.

 

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