INTERVISTA SUL “BALLOTTAGGIO PREVENTIVO”

NESSUN SISTEMA ELETTORALE E’ PERFETTO: L’IMPORTANTE E’ CHE QUELLO ADOTTATO RISPONDA ALLE ESIGENZE DEL CONTESTO POLITICO IN CUI SI COLLOCA, MA NON SIA DETERMINATO DALLA CONVENIENZA CONTINGENTE DI UNA PARTE POLITICA CONTRO L’ALTRA

Intervista a cura di Maurizio Melis, in corso di pubblicazione sulla rivista Newton, novembre 2010

Dal punto di vista teorico, un sistema elettorale ideale dovrebbe rispondere a un certo numero di criteri (universalità, monotonicità, non imposizione, non dittatorialità, indipendenza dalle alternative irrilevanti ecc.); è tuttavia stato dimostrato (teorema di Arrow) che un tale sistema elettorale non può esistere. Quale dei criteri sopraelencati non è soddisfatto dal sistema che lei propone, e perché?
Ogni sistema di “ballottaggio preventivo” o “istantaneo” risponde a un principio contrario a quello di “indipendenza delle alternative irrilevanti”, nel senso che intende attribuire un peso – più precisamente: un potere di influenza sulle forze maggioritarie – anche alle forze politiche minoritarie che non possono aspirare a far eleggere il proprio candidato.

In particolare, è possibile un ribaltamento della volontà dell’elettorato, inteso come vittoria della coalizione minoritaria nel Paese?
Sì, è possibile: una particolare distribuzione dei voti nei collegi può determinare questo effetto. E’ un effetto-limite che può prodursi con tutti i sistemi elettorali fondati sul collegio uninominale.

Tra i vari sistemi di voto che prevedono sia espressa più di una preferenza (voto a punteggio, voto per approvazione, voto per preferenza), perché la scelta è caduta sull’uninominale con voto alternativo?
Perché presenta i vantaggi dell’uninominale a turno unico, ma anche quelli del doppio turno: realizza in sostanza un “ballottaggio preventivo” o “istantaneo”, senza la necessità del voto in due tempi. Questo fa sì, oggi in Italia, che su questa scelta possano convergere sia il Pd sia il PdL.

In termini più pratici, l’eterno problema dei sistemi elettorali è quello della mediazione tra rappresentatività e governabilità. Dove si situa, tra i due estremi, l’uninominale con voto alternativo?
Si situa in una posizione intermedia: il collegio uninominale ha una “carica maggioritaria” intrinseca che privilegia l’esigenza della governabilità; ma la seconda preferenza attribuisce agli elettori di minoranza una rilevante capacità di influenza sugli orientamenti e i comportamenti dei rappresentanti della maggioranza.

Corollario: molti cittadini italiani pensano che un cambiamento autentico non arriverà mai dai partiti maggiori, ma che possa invece giungere da formazioni totalmente nuove (es. Mov. cinque stelle). E’ possibile per movimenti nuovi emergere con il sistema elettorale da lei proposto?
Mi sembra sbagliata la premessa: un cambiamento autentico non può che avvenire attraverso l’opera che formazioni totalmente nuove possono svolgere per mutare l’orientamento e i comportamenti dei partiti maggiori. Non è il frazionamento delle rappresentanze parlamentari che può produrre risultati positivi, ma l’interiorizzazione delle istanze nuove da parte dei partiti maggiori, in un sistema bipolare che attribuisce un peso – appunto – anche alle istanze nuove. Il sistema elettorale fondato sul collegio uninominale con voto alternativo – forse è meglio dire “con ballottaggio preventivo” – mi sembra quello che realizza meglio questo obiettivo.

La proposta per un sistema elettorale uninominale con voto alternativo punta a raccogliere consensi trasversali. Attualmente, si contano sostenitori provenienti effettivamente da tutti i partiti?
Proprio tutti no: non abbiamo sostenitori appartenenti all’Italia dei Valori e alla Lega. Ma la proposta è sostenuta in pari misura da parlamentari del PdL, del Pd, di FLI e radicali, oltre a una dell’Udc. E non dispero di avere presto qualche sostenitore anche nella Lega, perché questo sistema elettorale certamente non danneggia una forza politica come quella, caratterizzata da una forte concentrazione soltanto in alcune regioni del Paese.

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