PERCHÉ IL LINGOTTO 2 PUÒ DARE UNA SCOSSA

IL LINGOTTO 2 DELINEA IN MODO CHIARO E PERFETTO IL PROGRAMMA DI CUI L’OPPOSIZIONE OGGI HA BISOGNO PER TORNARE MAGGIORANZA – IL PARTITO DEMOCRATICO SAPRA’ FARLO CORAGGIOSAMENTE SUO?

Editoriale di Michele Salvati pubblicato sul Corriere della Sera il 24 gennaio 2011 – V. anche il discorso tenuto da Walter Veltroni al Lingotto due giorni prima

Se i problemi che frenano le prospettive di crescita del Pd —che spiegano l’incapacità del principale partito di opposizione di accrescere il suo consenso pur in un contesto di crisi economica e di discredito del capo dei governo — potessero essere spazzati via da un bel discorso, essi oggi sarebbero risolti: difficile immaginare una prospettiva più affascinante per il nostro Paese di quella che ha delineato Veltroni al Lingotto, al convegno del Movimento democratico tenutosi a Torino sabato scorso.
Un discorso che ha saldato la carica evocativa e visionaria delle migliori performance oratorie di Nichi Vendola con la concretezza di una linea politica liberal-democratica. Una prospettiva che potrebbe unire gran parte del popolo della sinistra e avvicinare al Pd una parte non piccola di coloro che — pur su posizioni politiche moderate — sono però preoccupati dal declino del nostro Paese, morale e sociale ancor prima che economico. Non era certo un momento favorevole per riaffermare la linea liberal-democratica del primo convegno del Lingotto, tenutosi più di tre anni fa nella stessa sede. Ma come? Una linea liberal proprio ora che gli eccessi deregolativi del liberismo estremo hanno provocato la peggiore crisi economica mondiale dopo quella del 1929? Proprio ora che la globalizzazione costringe ad abbandonare — Pomigliano e Mirafiori insegnano — alcune conquiste sindacali ottenute in circostanze più favorevoli? Eppure Veltroni non solo non l’ha sconfessata, ma, distinguendo nettamente liberalismo da estremismo neo-liberista, l’ha accentuata. L’ha accentuata separando nettamente la linea del partito da quella del sindacato, facendo proprie le proposte di Pietro Ichino in tema di revisione della legislazione sul lavoro. L’ha accentuata affermando che i cittadini più ricchi saranno sì chiamati a contribuire all’abbattimento del debito pubblico, ma dopo che lo Stato avrà fatto la sua parte, riducendo le aree di inefficienza e di spreco diffuse nelle pubbliche amministrazioni Dopo che la crescita della spesa pubblica corrente sarà ridotta a metà di quella del Pii, e non mediante tagli indiscriminati ma attraverso spending reviews che identifichino le zone di inefficienza. Dopo che la politica avrà ridotto la sua aberrante pressione sulle risorse del Paese. Qui non è possibile entrare nel programma di governo che il Modem auspica, esposto con un dettaglio inconsueto in discorsi di questo tipo. Veltroni ha scelto, e adattato alle esigenze del nostro Paese — con una nettezza ancor maggiore che ai tempi del Lingotto 1 — una delle due grandi linee che si combattono all’interno dei partiti di centrosinistra europei, la linea líberal contro quella più tradizionale, più statalista, più vicina al sindacato. Ma chi è Veltroni? E che cos’è il Modem? Il Modem è una corrente del Partito democratico e Veltroni ne è il principale esponente. Quando, nel settembre scorso, si scontrarono a Manchester i due fratelli Nfiliband, essi si contendevano la guida del Labour Party e vinse Edward, esponente della linea più tradizionale, battendo di misura David, esponente della linea liberal: gli elettori britannici ne trarranno le conseguenze. Ma che conseguenze possono trarre gli elettori italiani dall’affascinante discorso di Veltroni?
Contribuirà, questo discorso, a dare al Pd una identità più chiara, qualcosa che riavvicini al partito molti elettori che l’hanno abbandonato e una parte di quelli che non l’hanno sinora votato? Alcuni di questi ricorderanno che, ai tempi del Lingotto 1, Veltroni stava diventando segretario del partito e, nelle elezioni del 2008, pur perdendo contro Berlusconi, condusse il Pd oltre il 33 per cento dei consensi elettorali: un risultato straordinario rispetto ai sondaggi di oggi. Dopo di che, egli non riuscì a far passare la sua linea all’interno del partito, diede le dimissioni e, passati alcuni mesi di segreteria Pranceschini, le primarie videro il successo di Bersani, su una linea che cerca di tener insieme, senza scegliere con nettezza, le diverse posizioni presenti nel Pd: liberal e socialdemocratici, laici e cattolici, sostenitori e avversari delle primarie, presidenzialisti e parlamentaristi, federalisti e nazionalisti, bipolaristi e proporzionalisti, garantisti e giustizialisti e chi più ne ha, più ne metta. Come meravigliarsi se, di fronte a questi conflitti tra posizioni diverse, con una leadership in cui non si vedono ricambi generazionali, l’identità di questo partito risulta sfocata e incerta? È realistico prevedere che, dopo il Lingotto 2, le cose vadano in modo diverso da come sono andate dopo il Lingotto i e l’intero Pd converga sulla linea che Veltroni ha illustrato con tanta efficacia a Torino sabato scorso?

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