LIBERO: INTERVISTA PARALLELA A CAZZOLA E ICHINO SULLA SVOLTA FIAT

DA DUE VISUALI POLITICHE CONTRAPPOSTE UNA VISIONE IN PARTE DISCORDANTE, MA IN PARTE SIGNIFICATIVAMENTE CONCORDANTE, DELLA VICENDA CHE SEGNA UNA TAPPA IMPORTANTISSIMA NELL’EVOLUZIONE DEL SISTEMA ITALIANO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti, pubblicata da Libero il 28 gennaio 2011

Il referendum tra gli operai di Mirafiori ha soddisfatto tutti. Chi ha vinto, perché ha vinto. Chi ha perso, per come ha perso. Ma quale sarà ora il futuro del nuovo contratto di lavoro Fiat, contro il quale la Fiom ha minacciato di ricorrere ai tribunali? E soprattutto, l’esempio  di Marchionne è destinato a rimanere un’eccezione o aprirà la strada a un nuovo modello di relazioni industriali? Lo abbiamo chiesto al giuslavorista Pietro Ichino, senatore Pd, e a Giuliano Cazzola, deputato PdL e vicepresidente della Commissione lavoro della Camera.

Vi ha sorpreso il risultato del referendum di Mirafiori? Non era preventivabile una più netta vittoria del sì?

ICHINO: “Il risultato del referendum non mi ha sorpreso: tutti i sindacalisti torinesi con cui ho parlato nelle due settimane precedenti, sia della Cgil sia della Cisl e della Uil, prevedevano un risultato molto incerto fino all’ultimo”.

CAZZOLA: “Mi aspettavo un risultato più o meno simile a quello di Pomigliano. Mirafiori è uno stabilimento difficile, abituato a bocciare gli accordi. Tutto sommato, considerando la veemenza delle polemiche, la vittoria del sì mi pare sufficientemente netta”.

Ora sono in molti a dire di aver vinto: Marchionne, i sindacati sostenitori dell’accordo, ma anche la Fiom, la cui linea dura in fondo ha intercettato il malessere della metà degli operai torinesi. A uscire sconfitta è solo la minoranza Fiom – e, quindi, la segretaria Cgil Camusso?

ICHINO: “Forse il senso di soddisfazione manifestato in qualche misura dai commenti di tutti nasce dall’esperienza straordinaria di democrazia sindacale cui i lavoratori di Mirafiori hanno dato vita, come già in precedenza quelli di Pomigliano. A ben vedere, un’esperienza di democrazia sindacale come questa è un gioco a somma positiva che giova anche a chi rimane in minoranza: gli consente almeno di far sentire la propria voce”.

CAZZOLA: “Le vittorie hanno sempre molti padri. La setta di visionari che si è impadronita della Fiom  è abituata a trasformare in vittorie le sconfitte. A perdere – sia pure di una certa misura – è stata la Fiom. La Cgil avrebbe potuto approfittarne per portare avanti il confronto dialettico che aveva iniziato con la segreteria della Fiom, ma si è fatta abbacinare dal 46 per cento di no”.

La Fiom preannuncia ricorsi in carta bollata. Ha margini reali per creare qualche grattacapo all’azienda?
ICHINO: “Come ho scritto fin dall’inizio sul mio sito, c’è una unica clausola dell’accordo sulla quale mi sembra che un ricorso della Fiom potrebbe essere accolto: quella che esclude la qualificabilità dell’intera operazione in termini di ‘trasferimento d’azienda’. La questione non influisce sulle posizioni individuali dei lavoratori, cui sono comunque garantiti l’anzianità e i diritti precedentemente acquisiti; ma riguarda la necessità di una procedura preventiva di consultazione sindacale, che non ritarderebbe l’operazione e che la Fiat farebbe comunque bene a esperire”.
CAZZOLA: “Purtroppo sì. I magistrati orientati secondo una particolare cultura giuridica sorda alle istanze della impresa sono tanti. Ma non è detta l’ultima parola. Ricorda il caso di Melfi? Sembrava che Marchionne avesse violato, con la mancata reintegra nel posto di lavoro, tutte le norme vigenti, poi di quella vicenda oggi non parla più nessuno”.

Federmeccanica propone di estendere il modello Fiat (contratto aziendale alternativo a quello nazionale) ma si scontra con la freddezza di Cisl e Uil. Se le parti sociali non la rilanciano, la “rivoluzione Marchionne” non rischia di restare un’eccezione?

ICHINO: “In realtà, il passaggio al ‘modello Fiat’ è già in atto, come dimostrano appunto gli accordi Fiat, ma anche alcune altre esperienze analoghe di aziende che fanno meno notizia. Credo che convenga a tutti – Cgil, Cisl e Uil comprese – fare in modo che questa scelta possa essere compiuta in via ordinaria, nel rispetto di alcune regole minime e rimanendo dentro il sistema nazionale delle relazioni industriali. Se non ci si arriverà con un accordo interconfederale, le associazioni imprenditoriali potranno comunque ottenere lo stesso effetto unilateralmente, con una semplice modifica del proprio statuto, evitando così che si moltiplichino i casi di rifiuto dell’iscrizione da parte di altre imprese. Ma in ogni caso è urgente una legge che garantisca alla coalizione sindacale maggioritaria il potere di stipulare un accordo aziendale efficace nei confronti di tutti e al sindacato minoritario il diritto di rappresentanza in azienda anche se non firma”.

CAZZOLA: “In Italia i cambiamenti sono sempre difficili e contrastati. Ma questa volta si è messo in moto un processo importante”.

Si può ipotizzare che singole aziende seguano in futuro l’esempio dell’ad Fiat?

ICHINO: “Non credo che, nell’immediato, questo esempio verrà seguito da un numero rilevante di aziende a capitale e management italiano. Ma la vicenda Fiat lancia un messaggio che ad altre grandi multinazionali straniere potrebbe interessare. Se questo accadesse, credo che avremmo solo di che rallegrarcene”.

CAZZOLA: “Molte aziende hanno preceduto la Fiat. Bisognerebbe conoscere meglio la realtà. Altre comunque seguiranno l’esempio della Fiat, specie le imprese multinazionali se torneranno ad investire in Italia.”

Si va verso una contrattazione spostata dal centro alla periferia. Quest’ultima, però, non è solo quella aziendale. Secondo alcuni, la contrattazione territoriale è preferibile, perché evita discriminazioni tra lavoratori che svolgono la stessa mansione, abitano a pochi chilometri di distanza, ma, lavorando in aziende diverse, riceverebbero trattamenti diversi.

ICHINO: “Occorre evitare l’errore, molto diffuso tra i sindacalisti vecchia maniera, di confondere la funzione del contratto collettivo con quello della legge. Alla legge compete di dettare regole uguali per tutti e tendenzialmente stabili nel tempo; il contratto, invece, ha per sua stessa natura la funzione di consentire di adattare la regola alle circostanze, alla peculiarità del singolo caso. Sulle materie di competenza della contrattazione collettiva, dunque, è fisiologico – e anche molto sano sul piano macro-economico – che le regole applicabili si adattino alle condizioni ed esigenze di ciascuna impresa, se questa ha la fortuna di avere una controparte sindacale abilitata e disposta a stipulare il contratto come un vestito su misura. Dove la contrattazione aziendale non arriva, lì deve potersi applicare il contratto nazionale o territoriale; ma solo come disciplina di default, applicabile in mancanza di una disciplina validamente contrattata a un livello più vicino al luogo di lavoro. Il contratto nazionale per i metalmeccanici in Germania oggi si applica ancora nella maggioranza dei casi – 1,7 milioni di lavoratori –, mentre in 2500 imprese del settore, per un totale di 320 mila lavoratori, si applica solo quello aziendale”.

CAZZOLA: “Il livello territoriale merita di essere sviluppato adeguatamente, specie a livello di distretto e nelle aree in cui esiste una rete diffusa di Pmi. Ma tutta la contrattazione decentrata influenza il mercato del lavoro di una determinata area, perché contribuisce ad indicare i livelli salariali che i lavoratori possono conseguire in quel particolare contesto. Ricordo poi che il governo ha previsto una tassazione agevolata per le quote di retribuzione collegate alla produttività senza porre la condizione della sussistenza di un accordo sindacale. In sostanza anche le erogazioni unilaterali dei datori sono detassate”.

Si elogia il modello tedesco in riferimento non solo alla contrattazione aziendale, ma anche alle buste paga. Ma fino a pochissimo tempo fa si criticava quel modello perché, troppo concentrato sull’export, deprimeva i consumi interni con la moderazione salariale…

ICHINO: “Se è per questo, il modello tedesco è fatto anche di Mitbestimmung, quella cogestione delle grandi imprese che venne imposta dagli Alleati all’indomani della Liberazione per punire gli industriali corresponsabili dei crimini del regime nazista. Solo la capacità dei tedeschi di fare squadra ha potuto trasformare la punizione in una marcia in più del loro sistema; ma, certo, questa parte del loro modello non è suscettibile di trapianto in Italia, se si escludono alcuni casi particolari. Mi sembrano invece più adatte alle nostre tradizioni e cultura altre forme di partecipazione dei lavoratori in azienda, che possono e devono essere promosse, anche con una legge che elimini alcuni ostacoli normativi e fiscali. C’è in Commissione Lavoro al Senato un testo unificato dei disegni di legge sulla partecipazione che raccoglie consensi bi-partisan: se il ministro Sacconi togliesse il veto, potrebbe camminare molto speditamente”.

CAZZOLA: “In una economia globalizzata le esportazioni costituiscono la chiave di volta dello sviluppo. I tedeschi per giunta hanno un mercato interno ampio, solido e affezionato ai prodotti nazionali, anche perché sono tra i migliori al mondo. Bisognerebbe che venissero sfatate certe convinzioni sulla Germania, un Paese che ci dà delle lezioni non solo sul terreno della occupazione stabile, ma anche su quello della flessibilità e dell’impegno nell’accollarsi dei sacrifici”.

 

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