NUCLEARE: IL MESTIERE DIVERSO DEL POLITICO E DELLO SCIENZIATO

OGGI LO SHOCK DI FUKUSHIMA RENDE POLITICAMENTE OBBLIGATA LA VIA DELLA PAUSA DI RIFLESSIONE – SE POI IL MOTIVO DECISIVO PER IL RIFIUTO DEL NUCLEARE FINIRA’ PER CONSISTERE NEL DIFETTO DI CIVICNESS CHE CARATTERIZZA IL NOSTRO PAESE, QUESTO INDICHERA’ UN’EMERGENZA MOLTO PIU’ GRAVE DI QUELLA ENERGETICA

Editoriale per la Newsletter n. 144, 21 marzo 2011 

     Lo studioso deve saper guardare anche lontano; soprattutto, non deve condizionare quel che pensa e dice alla popolarità, al consenso che può raccogliere. Il politico, invece, svolge un mestiere molto diverso, che consiste per la maggior parte nel raccogliere il consenso: se non nell’immediato almeno a breve termine. Questo è il motivo per cui, dopo una catastrofe come quella che sta accadendo in Giappone, la strada del politico e quella dello studioso, sulla questione dell’energia nucleare, inevitabilmente almeno in parte divergono. Lo shock cui l’opinione pubblica è sottoposta dalle immagini strazianti offerte dalla televisione, dei reattori che stanno per esplodere e dei contatori Geiger che misurano la radioattività dei bambini giapponesi, impedisce alla stragrande maggioranza delle persone una riflessione serena ed equilibrata che tenga conto integralmente dei pro e dei contro di tutti i modi di produrre energia. E poiché viviamo in un sistema democratico, questo conduce necessariamente alla sospensione dei progetti per la costruzione di nuove centrali.
     Ha fatto bene, dunque, l’opposizione a chiedere al Governo una moratoria su questo terreno, in analogia con quanto sta accadendo in Germania e negli USA. E ha fatto bene il Governo ad accogliere questa sollecitazione (anche se nella sua decisione ha pesato soprattutto l’inconfessabile preoccupazione che il referendum di giugno sul nucleare potesse far da traino a quello sul “legittimo impedimento”, rendendo possibile il raggiungimento del quorum necessario per la validità del suo esito, sicuramente negativo per il Presidente del Consiglio in carica). Questo non può, tuttavia, significare l’erezione di un tabù. Gli studiosi, i ricercatori, gli scienziati, devono poter continuare anch’essi a fare il loro mestiere, indispensabile per il progresso dell’umanità almeno quanto quello del politico.
      Il loro mestiere è, certo, trarre insegnamento anche da accadimenti rovinosi come quello di Fukushima; ma mantenendo sempre il contatto con l’intera realtà conosciuta e non soltanto con l’evento che monopolizza l’attenzione dell’opinione pubblica. Oltre alla catastrofe giapponese di oggi, lo scienziato ha sempre presenti anche gli effetti dell’immane inquinamento atmosferico urbano causato dall’uso dei combustibili fossili (carbone e petrolio) e i milioni di malati di tumori prodotti da quell’inquinamento; e ha sempre presenti le devastazioni – cento volte più numerose di quelle di Chernobyl e di Fukushima, ancorché un po’ meno spaventose se prese una per una – prodotte da ogni piattaforma petrolifera che scoppia e da ogni petroliera che si rompe o si incaglia in mezzo al mare; oppure dalle guerre per la conquista dei preziosi giacimenti. Lasciamo che scienziati e tecnici continuino a studiare e valutare i rischi di ciascuna soluzione, in relazione alla loro gravità e probabilità. E che lo facciano tenendo conto dei costi di ciascuna alternativa (per esempio, per sostituire davvero – come da più parti si propone – tutta l’energia di fonte nucleare, che l’Italia oggi acquista da Paesi vicini, con energia prodotta dal sole o dal vento quanta parte del territorio del Bel Paese dovrebbe essere occupata con pannelli solari o torri eoliche?). Tenendo conto, certo, anche del problema dello stoccaggio delle scorie nucleari più voluminose (che perdono rapidamente la propria radioattività) e di quelle che invece richiedono oltre cent’anni prima di esaurire la propria radioattività (ma sono di dimensioni ridottissime). Tenendo conto, infine, non ultimo per importanza, del difetto di effettività della legge e di cultura delle regole degli italiani, che può tristemente costituire un argomento contrario all’insediamento di nuove centrali nel nostro Paese, più forte del rischio di un attacco terroristico.
     Ben venga, dunque, la moratoria nella costruzione di nuove centrali che consenta una pausa di riflessione. Purché però si tratti davvero di una riflessione seria e non dell’irrazionalità  e della demagogia di certi spot televisivi che si sono visti in questi giorni. Moratoria, allora, a tre condizioni:
   – che la ragion politica non prevarichi sulla ragion scientifica: che dunque si continui a investire nella ricerca, anche sulle possibilità di produrre energia dall’atomo in condizioni di massima sicurezza, che si continui a confrontare pragmaticamente i pro e i contro di ogni soluzione, senza fideismi né in un senso né nell’altro;
   – che, se si decide l’inattualità della scelta nucleare in Italia, si individuino con chiarezza, e non sulla base di fughe nell’utopia, i modi in cui si intende colmare il nostro deficit energetico nazionale, rendendo ben visibili i costi economici e ambientali delle soluzioni alternative proposte;
   – che la ragion politica non sconfini nell’ipocrisia: ipocrisia è, per esempio, la scelta – che stiamo praticando da un quarto di secolo – di rifiutare le centrali nucleari sul nostro territorio ma al contempo acquistare quotidianamente dalla Francia energia elettrica prodotta con centrali nucleari collocate a pochi chilometri a ovest dei nostri confini (sul Nord-Italia il vento soffia normalmente dall’Atlantico, proprio da ovest).
     Come dire: noi non siamo capaci di far funzionare una centrale nucleare in condizioni di sufficiente sicurezza: per questo ci rivolgiamo ai nostri vicini di casa, e di loro ci fidiamo a occhi chiusi. Non è una bella immagine dell’Italia, quella che diamo in questo modo al mondo circostante.

 Post scriptum – Può essere che al dunque l’argomento decisivo a favore della scelta anti-nuclearista sia proprio questo: il basso grado di effettività della legge e il difetto di civic attitudes nel nostro Paese. Se, però, questo è il vero motivo del rifiuto del nucleare, dobbiamo stare molto attenti: oltre alle centrali nucleari, ci sono numerose altre attività che è sconsigliabile insediare in un Paese caratterizzato da insufficiente legalità diffusa. Se finiremo col concordare che il vero motivo è questo, ciò dimostrerà quanto sia urgente un grande e incisivo programma per alzare il livello di civicness del nostro Paese al livello di quello del resto d’Europa. Questa emergenza, nel 150° dell’Unità d’Italia, è più grave ancora di quella energetica.

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