REFERENDUM SULL’ACQUA: UN CHIARIMENTO NECESSARIO

CHE L’ACQUA DEI FIUMI E DELLE FONTI SIA E DEBBA RESTARE UN BENE PUBBLICO E’ FUORI DISCUSSIONE: IL QUESITO REFERENDARIO RIGUARDA SOLTANTO LA GESTIONE DEL SERVIZIO DI TRASPORTO DI QUEL BENE DALLA FONTE ALLE NOSTRE CASE

Scambio di messaggi intercorso tra il 5 e il 9 aprile 2011

MESSAGGIO DIFFUSO DA UNA “CATENA DI SANT’ANTONIO”

Ai referendum di domenica 12  e lunedì 13  giugno vota SI per dire NO.
1 – Vota SI’ per dire NO AL NUCLEARE.
2 – Vota SI’ per dire NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA.
3 – Vota SI’ per dire NO AL LEGITTIMO IMPEDIMENTO.
RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM… perchè Berlusconi NON farà passare gli spot ne’ in Rai ne’ a Mediaset.
Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum lo scenario sarebbe drammatico per Berlusconi ma stupendo per tutti i
cittadini italiani:
1 – Se passa il SI per dire NO AL NUCLEARE, BERLUSCONI NON POTRA’ PIU’ FARE ARRICCHIRE I SUOI AMICI IMPRENDITORI CON I NOSTRI SOLDI E LA NOSTRA SALUTE.
2 – Se passa il SI per dire NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA, BERLUSCONI NON POTRA’ FARE ARRICHIRE I SUOI AMICI IMPRENDITORI LUCRANDO SU UN BENE DI PRIMA NECESSITA’.
[omissis]


IL COMMENTO CHE HO INVIATO AGLI AMICI DA CUI AVEVO RICEVUTO QUEL MESSAGGIO

1. Sul nucleare: probabilmente il referendum non si farà, perché il Governo sospende il programma proprio al fine di evitare che quel referendum, facendo “da traino” per quello sul legittimo impedimento (v. sotto, § 3), contribuisca a far raggiungere il quorum.

 2. Sull’acqua: l’oggetto del referendum non è affatto se l’acqua sia “pubblica” o “privata”. E’ pacifico che l’acqua dei fiumi, dei laghi e delle fonti è e resterà un bene pubblico, quale che sia l’esito del referendum; e che quella stessa acqua, dal momento che esce dal rubinetto in casa di qualcuno, diventa di proprietà di quel qualcuno. La questione è soltanto chi debba fornire i servizi necessari per portare l’acqua dalle fonti al rubinetto e quale sia il modo migliore per scegliere l’operatore migliore. Se ho ben capito, rispondere “sì” al referendum significa ritenere opportuno consentire che quei servizi siano gestiti dai Comuni o da loro consorzi, senza necessità di una gara tra operatori diversi, pubblici e privati. Rispondere “no” significa invece ritenere opportuno che – come previsto dalla nuova legge – si debbano svolgere periodicamente delle gare tra gli enti e le imprese candidati a svolgere il servizio e che i Comuni o loro consorzi assegnino la concessione all’ente o impresa che offre le condizioni e garanzie complessivamente migliori. Se le cose stanno così, io sono orientato a votare “No”, cioè contro l’abrogazione di questa legge. Non concordo, infatti, con i sostenitori del “Sì”, i quali ritengono che sia sempre a priori meglio che a gestire la rete di distribuzione dell’acqua sia un ente pubblico: meglio verificare e valutare di volta in volta.

 3. Sul legittimo impedimento: dopo la recente sentenza della Corte costituzionale, la legge ad personam “salva B.” ha perso il 90% del suo contenuto dannoso. Voterò comunque “sì” per eliminare anche quel 10% che rimane. E anche per esprimere la mia protesta contro le leggi ad personam.      (p.i.) 

UNA DISCUSSIONE
Al mio commento sopra riportato ha fatto seguito, nei giorni 8 e 9 aprile, il seguente scambio di opinioni con Francesco Zurlo

FZ – Vorrei rispondere a Pietro Ichino ricordandogli – se non lo sa –  che in alcuni paesi come l’Ecuador e la Bolivia – che noi continuiamo, in buona parte ingiustamente, a considerare Terzo Mondo – è stato addirittura scritto nelle recenti nuove costituzioni che l’acqua è un bene pubblico e inalienabile (e pertanto non privatizzabile in nessuna delle sue “fasi” di erogazione). Io credo che questa sia una grande lezione da cui dobbiamo imparare (come parallelamente dal fallimento di diverse esperienze di gestione privata dell’acqua).
Se in alcuni casi poi il pubblico funziona male, lo si migliora e si corregge, non si passa al privato surretiziamente adducendo come scusa l’inefficienza o la malafede di alcuni amministratori.
L’acqua è un diritto di tutti e deve essere esclusa da qualunque forma di lucro e/o guadagno. Per ragioni etiche inderogabili.
Francesco Zurlo

PI Cerco di spiegare perché dissento da Francesco.
Al pari dell’acqua, anche l’aria è un bene pubblico essenzialissimo. Questo tuttavia non ci impedisce di affidare a un’impresa privata – se necessario, e se l’impresa stessa ci appare la più idonea allo scopo – il compito del condizionamento dell’aria, nel passaggio di questo fluido dall’ambiente esterno a quello interno delle nostre abitazioni o agli uffici di un’azienda. Allo stesso modo, il fatto che l’acqua disponibile in natura sia un bene pubblico essenzialissimo non è davvero incompatibile con l’affidamento a un’impresa privata – sempreché essa risulti essere la più idonea allo scopo – del compito del trasporto del fluido medesimo dalla fonte alla nostra abitazione.
Se quel trasporto, invece che essere affidato a un sistema di tubazioni, fosse affidato ad autocisterne, potremmo forse affermare che solo un servizio di autocisterna gestito direttamente dal Comune sia ammissibile? E se ammettiamo, invece, che possa essere più efficiente e comunque ammissibile l’affidamento del servizio di autotrasporto dell’acqua a un vettore privato, perché non dovremmo poter affidare a un operatore privato – se più efficiente, e comunque sotto il costante controllo del committente pubblico – anche la gestione del sistema di trasporto dell’acqua mediante tubazioni?
Ciò non toglie ovviamente che, in ciascun caso concreto, debba essere la collettività a scegliere lo strumento meglio rispondente allo scopo, nelle condizioni date: dove l’operatore pubblico offra un servizio migliore, la collettività opterà per quella soluzione. Ma non vedo davvero come dall’affermazione secondo cui l’acqua è un bene pubblico essenzialissimo possa desumersi l’affermazione ulteriore secondo cui il servizio di trasporto dell’acqua dovrebbe necessariamente essere affidato a un operatore pubblico. Non conosco il diritto costituzionale Ecuadoregno, né quello Boliviano; ma tenderei ad escludere che le norme costituzionali di quei Paesi citate da Francesco implichino questa conseguenza irragionevole (mentre mi pare molto più plausibile che esse si limitino a escludere l’appropriazione privata delle fonti dell’acqua).   (p.i.)

 FZ Io credo che l’acqua (in tutto il suo ciclo di sfruttamento) debba essere esclusa da qualunque forma di gestione che ne implichi un guadagno (lucrativo o meno). L’acqua è un bene essenziale, anzi di più, è un diritto umano,  e non può essere affidata a chi per forza di cose, non la gestirebbe affatto guidato da uno spirito di servizio alla collettività, ma da un desiderio (pur legittimo) di arrichimento personale. E’ troppo rischioso e intimamente ingiusto affidare all’interesse privato qualcosa che è un diritto di tutti: un’impresa pubblica può (e deve) al limite lavorare anche in perdita – quando condizioni avverse lo richiedano – per garantire un diritto ai cittadini, un privato non lo farà mai; ed è per questo che tale bene/diritto non deve finire sotto il suo controllo.
Anche la questione dell’efficienza è un falso problema (oltre che un’arma a doppio taglio): da una parte con appositi investimenti e le riforme necessarie si può rendere efficientissimo anche il pubblico – e peraltro nel campo idrico il pubblico è stato storicamente sempre più efficiente del privato – dall’altro l’idea che tanto se il servizio pubblico non funziona lo si può privatizzare rischia di fornire un alibi al malfunzionamento del pubblico e servire gli interessi di quei privati che non aspettano altro che di “invadere” anche il campo dei servizi idrici.
Una precisazione anche sulle recentissime (sono state approvate relativamente nel 2008 e 2009) costituzioni di Ecuador e Bolivia. Se l’affermazione nella prima è forse un po vaga, nella costituzione boliviana quest’ultima è piuttosto esplicita e precisa, recitando all’articolo 20/III:
“El acceso al agua y al cantarillado constituyen derechos humanos, no son objeto de concesión ni privatización y están sujetos a régimen de licencias y registros, conforme a ley.”
(trad. – “L’accesso all’acqua e alle fognature costituiscono diritti umani, non sono oggetto di concessioni o privatizzazione e sono soggetti a un regime di licenze e registri conforme alla legge.”)
Tale articolo costituzionale, che sta portando alla de-privatizzazione completa dell’acqua in Bolivia non viene dal nulla. C’è un precedente specifico che la giustifica e spiega. Si tratta della cosidetta “battaglia dell’acqua” di Cochabamba del 2000, quando l’allora Governo boliviano privatizzò l’erogazione dell’acqua nella città andina (la terza per grandezza del paese) affidandola alla azienda Aguas de Tunari, controllata dalle multinazionali Brechtel ed Edison. Queste, seguendo il proprio interesse e non quello della cittadinanza di Cochabamba, alzarono le tariffe di più di tre volte, arrivando a chiedere mensilmente più o meno un quarto dello stipendio di un cittadino della città. Ne sorsero violenti scontri, con però il felice risultato finale della cancellazione del contratto con Aguas de Tunari e il ritorno al pubblico. In Italia fortunatamente non è mai successo niente di simile per ora (seppur il caso di Acea, mutatis mutandis, faccia pensare…). Personalmente spero che non ci sia bisogno di una “Cochabamba italiana” per rendere consapevoli gli abitanti del belpaese che l’acqua è un diritto sacrosanto e fondamentale  e per questo non è privatizzabile, alienabile o esternalizzabile per nessun motivo.
A presto e grazie per l’utile scambio di opinioni!
Francesco Zurlo
P.S. Aggiungo per completezza il passaggio citato della Costituzione ecuadoriana:
“El derecho humano al agua es fundamental e irrenunciable. El agua constituye patrimonio nacional estratégico de uso público, inalienable, imprescriptible, inembargable y esencial para la vida”.
(Trad. – “Il diritto umano all’acqua è fondamentale e irrinunciabile. L’acqua costituisce un patrimonio nazionale strategico di uso pubblico, inalienabile, imprescrittibile, inconfiscabile ed essenziale per la vita”)

PI La replica di Francesco ha il merito di fornirci due documenti molto interessanti circa l’evoluzione più recente del diritto costituzionale di due Paesi sud-americani; mi sembra, però, che nessuna delle due disposizioni riportate escluda la possibilità che un servizio di trasporto dell’acqua sia affidato a un’impresa privata (anche in Bolivia leggo che è ammesso il “regime di licenze e registri”). Lo stesso Francesco, poi, non spiega perché dovrebbe essere consentito affidare a un’impresa privata il servizio di trasporto di acqua mediante autocisterne, o il servizio di condizionamento dell’aria, mentre dovrebbe essere vietato affidare a un’impresa privata la gestione della distribuzione dell’acqua mediante un sistema di tubazioni. Osservo, tra l’altro, che per il godimento dell’acqua potabile occorrono anche altri servizi, quali quello delle analisi chimiche e batteriologiche, o quello della manutenzione delle tubazioni: anche questi, secondo il ragionamento di Francesco, doverbbero poter essere affidati soltanto a un ente pubblico?
A mio modo di vedere, il punto essenziale che preme a Francesco e preme anche a me è uno solo: che tutti possano godere di questo bene essenziale e che il costo da pagare per il suo godimento sia il più basso possibile. Ma non esiste alcun nesso logico tra questo punto essenziale e la preferenza
a priori per l’affidamento a un ente pubblico della gestione dei servizi necessari per la distribuzione dell’acqua. Per un verso, quei servizi possono essere affidati a soggetti privati senza che la collettività debba per questo rinunciare a controllare la correttezza dello svolgimento del servizio e della tariffa applicata. Per altro verso, può ben darsi che quei servizi, affidati a un ente pubblico, siano svolti in modo scorretto, oppure generino costi eccessivi per gli utenti e rendite parassitarie (Francesco stesso riconosce questa eventualità). Tutta la questione, dunque, si riduce al problema tecnico del modo migliore in cui garantire l’imparzialità nella distribuzione, perseguire l’efficienza e combattere le rendite parassitarie. Un problema tecnico, non giuridico o ideologico. Francesco propone di risolverlo identificando l’ente pubblico come quello che sempre garantisce meglio imparzialità, efficienza ed economicità; a me sembra che l’esperienza induca a preferire la possibilità di una scelta pragmatica tra fornitori pubblici e fornitori privati, secondo le circostanze, possibilmente mettendoli in competizione tra loro e scegliendo di volta in volta quello che offre  maggiori garanzie, migliori risultati e costi più bassi. Un mercato ben regolato, in un servizio pubblico, per lo più garantisce contro il rischio di sprechi e di rendite parassitarie meglio dei meccanismi interni di governo delle amministrazioni pubbliche.   (p.i.)

 

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