LA VOCE DEI BERICI: FACCIAMO IL PUNTO SUL LAVORO DEI GIOVANI

LA SOTTOPROTEZIONE DELLE NUOVE GENERAZIONI NEL MERCATO DEL LAVORO È L’ALTRA FACCIA DELLA SOVRAPROTEZIONE DELLE VECCHIE

Intervista a cura di Andrea Frison per La Voce dei Berici, organo della Diocesi di Vicenza, 29 aprile 2011 – In argomento v. anche, ultimamente, il “botta e risposta” tra Stefano Fassina e me

«I giovani, in Italia, non devono rassegnarsi alla precarietà». Parola di Pietro ichino, giuslavorista e senatore, insignito a marzo del premio “Marco Biagi” del Comune di Milano per avere “studiato i problemi del mondo del lavoro e delle relazioni industriali elaborando possibili soluzioni e rendendole argomento di dibattito per il grande pubblico”.

Lei parla spesso di un sistema di apartheid nel mondo del lavoro che divide lavoratori protetti e lavoratori non protetti. Come si collocano i giovani in questo sistema di apartheid?
Le rispondo con quello che mi dicono i miei studenti: “Il diritto del lavoro che lei ci insegna non ci riguarda: non è quello che troviamo quando entriamo nel mercato del lavoro”. Purtroppo è così: oggi, su dieci nuovi contratti di lavoro che vengono stipulati in Italia, sette sono contratti diversi da quello regolare, a tempo pieno e indeterminato.

Secondo lei, le manifestazioni che si sono verificate a inizio anno contro la Riforma Gelmini e quelle più recenti contro il precariato, segnalano l’inizio di un movimento giovanile “organizzato” per avere un peso nella società italiana?
Ho l’impressione che si tratti di due fenomeni diversi: il primo era un movimento animato prevalentemente da studenti e insegnanti, il secondo è un movimento di giovani lavoratori di serie B, C o D. Non ho l’impressione che stia maturando una saldatura tra i diversi movimenti di protesta contro l’assetto attuale della scuola e contro quello del mercato del lavoro. Anche se un nesso strutturale fra le due questioni c’è, eccome.

La disoccupazione giovanile, in Italia, sfiora il 30 per cento. Chi è il colpevole?
Propongo di distinguere la colpa del tasso di disoccupazione complessivo e del basso tasso della nostra crescita, dalla colpa del fatto che la disoccupazione gravi soprattutto sulle nuove generazioni

Incominciamo dalla prima.
C’è un fenomeno in cui si riassumono tutte le piaghe del nostro sistema economico nazionale: l’incapacità dell’Italia di attirare investimenti stranieri, Vi contribuiscono i difetti di efficienza delle amministrazioni pubbliche, i difetti delle nostre infrastrutture, i costi troppo alti dell’energia e dei servizi alle imprese per difetto di concorrenza nei rispettivi mercati, il difetto di cultura diffusa della legalità e di senso civico, un sistema di relazioni industriali vischioso e inconcludente, una normativa nazionale ipertrofica e caotica, di difficilissima lettura. Se avessimo la stessa capacità di attrarre gli investimenti stranieri di un Paese europeo “di mezza classifica”, avremmo ogni anno un flusso aggiuntivo di poco meno di 60 miliardi di investimenti stranieri, che porterebbero domanda di lavoro, energie manageriali, piani industriali innovativi.

La colpa del fatto che a restar fuori sono soprattutto i giovani, invece?
Anche qui gli imputati sono più d’uno. Innanzitutto il grave difetto dei nostri servizi di orientamento scolastico e professionale: nei Paesi centro e nord-europei questi servizi raggiungono ogni adolescente al termine di ogni ciclo di studi, proponendogli un bilancio delle competenze ben fatto e il panorama delle possibilità effettive offerte dal sistema formativo e dal tessuto produttivo. Se anche da noi le cose funzionassero così, non avremmo tanti giovani che affollano certe facoltà universitarie scelte soltanto erché più facili, ma che comportano poi altissimi rischi di disoccupazione. Poi ci sono i gravi difetti del nostro sistema della formazione professionale, Infine c’è un diritto del lavoro che garantisce iperprotezione a chi è già dentro la cittadella, ma rende la vita
difficilissima per gli outsiders e i new entrants.

I giovani, in Italia, devono rassegnarsi alla precarietà?
Niente affatto. Anche perché questo regime di apartheid tra protetti e non protetti viola gravemente il diritto europeo: in particolare la direttiva n. 70 del 1999. I giovani devono esigere un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi in modo veramente universale almeno a tutti i rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti. Per questo ho presentato, con altri 54 senatori, un disegno di legge (n. 1873/2009) contenente un nuovo codice del lavoro semplificato suscettibile di applicarsi a tutti i nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti.

Come si stanno comportando i sindacati sul tema del lavoro e dei giovani?
Male, perché non li rappresentano: i sindacati rappresentano di fatto soltanto gli insiders, in particolare i lavoratori stabili e regolari del settore pubblico e delle imprese medio-grandi del centro-nord.

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