LA STAMPA: PARLARE DI RICATTO SIGNIFICA RIFIUTARE IL PRINCIPIO DEL CONTRATTUALISMO

UN SISTEMA DI RELAZIONI INDUSTRIALI ISPIRATO AL CONTRATTUALISMO IMPLICA SEMPRE LA POSSIBILITA’ CHE IL CONTRATTO NON VENGA STIPULATO: CIASCUNA DELLE PARTI CORRE IL RISCHIO CHE L’ALTRA RIFIUTI L’ACCORDO

Intervista a cura di Marco Alfieri e Tonia Mastrobuoni, pubblicata su la Stampa il 4 maggio 2011

Il vertice della Fiom dice che occorre votare “no”, i rappresentanti sindacali aziendali della Fiom alla Bertone danno indicazione di votare “sì”. Secondo lei sono conciliabili due posizioni così opposte all’interno dello stesso sindacato?
Alla Bertone di Grugliasco, se davvero la Fiom avesse deciso per il “no”, c’era anche caso che il “no” prevalesse; e dunque la base, responsabilmente, ha finito per votare “sì”; anche perché il vertice nel frattempo si era dileguato: scappato a Brindisi come i Savoia l’8 settembre. Ma se al dunque occorre votare “sì”, perché a Pomigliano e a Mirafiori si è predicato il “no”, tacciando addirittura gli avversari di tradimento? La realtà è che la Fiom ha potuto continuare a predicare il “no” solo finché c’erano i «traditori» che le hanno tolto le castagne dal fuoco votando “sì” e stipulando il contratto.

Ma i dirigenti Fiom negano validità al referendum, perché si sarebbe svolto “sotto ricatto”
La Fiom ragiona come se l’imprenditore fosse obbligato a stipulare il contratto. Ma in qualsiasi sistema di relazioni industriali ispirato, come lo è il nostro, al principio del contrattualismo il contratto non è mai “dovuto”; dove il contratto è dovuto non c’è più vero contrattualismo. Contrattualismo vero c’è solo là dove ciascuna delle due parti negozia correndo il rischio che l’altra rifiuti l’accordo.  E questo è proprio quello che la Fiom non ha mai digerito. Non è un caso che i suoi vertici vagheggino l’intervento statale nell’impresa: quando è lo Stato a garantire il pareggio di bilancio, l’imprenditore può essere obbligato a firmare. Dimenticano un piccolo dettaglio: che l’Unione Europea ha ormai bandito definitivamente quel modello di politica industriale, che essi vorrebbero reintrodurre in Italia.

Che cosa non ha funzionato, in questa vicenda?
Che su di un progetto industriale innovativo ci sia un sindacato favorevole e uno contrario dovrebbe considerarsi del tutto normale, in un sistema di pluralismo sindacale qual è il nostro. Così come dovrebbe considerarsi normale che sull’accordo controverso decida il sindacato che rappresenta la maggioranza, oppure che decidano direttamente i lavoratori, secondo un principio di democrazia sindacale. Quello che non è normale è che il sindacato contrario si proponga – come ha fatto la Fiom a Pomigliano e a Mirafiori – di bloccare il dibattito sul nascere drammatizzandolo in tutti i modi, di squalificare il sindacato favorevole tacciandolo di tradimento, di impedire il referendum tra i lavoratori negandone la legittimità. Salvo poi, alla Bertone, finir col votare “sì” per paura della chiusura dello stabilimento.

Questa vicenda segna la fine della regola dell’inderogabilità del contratto collettivo nazionale?
La logica della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale comporterebbe che si accettasse che le aziende che non rispettano quello standard venissero chiuse e i loro dipendenti si spostassero verso le aziende che lo rispettano. Il voto favorevole all’accordo per la Bertone, con il vertice Fiom che sostanzialmente se ne lava le mani, mostra che neppure la Fiom crede davvero fino in fondo alla logica della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale. Questa vicenda mette in luce una scarsa trasparenza e chiarezza delle posizioni in campo.

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