PRIORITÀ URGENTE: ATTIRARE PIÙ INVESTIMENTI STRANIERI

È L’UNICA LEVA DI CUI DISPONIAMO PER RIMETTERE IN MOTO LA CRESCITA ECONOMICA ITALIANA E AUMENTARE LA DOMANDA DI LAVORO – MA È ANCHE LA GRANDE OCCASIONE PER CURARE LE PIAGHE STORICHE DEL PAESE

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 24 giugno 2011 – In argomento v. anche Che cosa impedisce ai lavoratori di scegliersi l’imprenditore

     L’Italia è penultima in Europa per capacità di attirare gli investimenti stranieri. Se il nostro Paese fosse capace di allinearsi con un Paese europeo come l’Olanda, che si colloca nella zona mediana della graduatoria, avremmo un maggior flusso di investimenti in entrata pari circa a circa 58 miliardi di euro ogni anno. È l’equivalente di 29 volte l’investimento annuo che Sergio Marchionne ci propone nel prossimo decennio con i due miliardi all’anno del suo piano “Fabbrica Italia”. Forse, più e prima che discutere delle condizioni che ci pone l’Amministratore delegato della Fiat per quell’investimento, chi ha a cuore il miglioramento delle condizioni di lavoro in Italia dovrebbe chiedersi che cosa tiene fuori dal nostro Paese quegli altri 29 Marchionne: i loro investimenti varrebbero molto di più di qualsiasi legge o contratto collettivo per la tutela della libertà, sicurezza e retribuzione dei lavoratori italiani. E anche per la loro forza contrattuale al tavolo negoziale con la Fiat.
     Fra le cause di questa pessima performance del nostro Paese nel mercato globale dei capitali vanno annoverati il malfunzionamento delle amministrazioni pubbliche ‑ prima fra tutte quella della giustizia ‑, l’eccesso di burocrazia, la complicatezza e invadenza degli adempimenti fiscali, il costo troppo alto dei servizi alle imprese e dell’energia, i difetti delle grandi infrastrutture di trasporto e comunicazione, il basso livello di senso civico diffuso. Ma tra quelle cause vanno annoverati anche una legislazione del lavoro complicatissima, intraducibile in inglese, per molti aspetti disallineata rispetto agli standard europei, e un mercato del lavoro opaco, nel quale le imprese attingono gran parte della flessibilità necessaria al processo produttivo da pratiche di evasione o elusione degli standard posti dal diritto del lavoro largamente tollerate al punto da divenire normali. Il difetto del know how necessario per operare nell’area dell’illegalità o della semilegalità, di cui dispongono più facilmente gli imprenditori indigeni, costituisce un ostacolo rilevante all’insediamento nel nostro territorio di imprese straniere. Una ulteriore difficoltà è, infine, costituita dai gravi difetti di funzionalità del nostro sistema delle relazioni industriali, che ‑ per mancanza delle regole necessarie a dirimere i contrasti tra le rappresentanze dei lavoratori ‑ appare vischioso e inconcludente in tutti i casi in cui i sindacati maggiori si presentano divisi al tavolo del negoziato su di un piano industriale innovativo. Occorre voltar pagina in fretta.

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