LA STAMPA: LA NUOVA NORMA SEMBRA PUNTARE A SCARDINARE L’ACCORDO DI GIUGNO

CONTRO LE SUE STESSE DICHIARAZIONI, RIPETUTE INSISTENTEMENTE NEGLI ULTIMI MESI, IL MINISTRO DEL LAVORO HA VARATO UNA NORMA CHE NON TIENE ALCUN CONTO DEL CONTENUTO DELL’ACCORDO INTERCONFEDERALE DEL 28 GIUGNO, ANZI SEMBRA FATTA APPOSTA PER IMPEDIRE CHE LA CGIL LO RATIFICHI 

Intervista a cura di Tonia Mastrobuoni, pubblicata da la Stampa il 5 settembre 2011 – In argomento v. anche la mia intervista a cura di Luca Cifoni, pubblicata su il Messaggero

Pietro Ichino, giuslavorista e parlamentare Pd, da sempre un nemico giurato del dualismo nel mercato del lavoro provocato soprattutto dall’articolo 18 – tanto che per superarlo ha presentato un progetto di sostituzione integrale della legislazione vigente con un Codice del lavoro semplificato in 70 articoli applicabile a tutti i rapporti di “lavoro sostanzialmente dipendente” – ha molti dubbi sull’articolo 8 di questa manovra-bis.

Professore, che cosa cambia, in concreto, con questa norma ?
La nuova versione approvata ieri dalla Commissione Bilancio del Senato perfeziona per alcuni aspetti la formulazione originaria, ma la sostanza rimane quella: la riforma del diritto del lavoro viene delegata alla contrattazione aziendale.

Non si rischia una giungla contrattuale?
Direi piuttosto che si rischia un aggravamento del dualismo, nel nostro tessuto produttivo, tra i lavoratori regolari delle aziende medio-grandi, per i quali presumibilmente non cambierà nulla, e i poco o per nulla protetti delle imprese più piccole, che rischieranno di perdere anche il poco che hanno.

Quali sono i limiti posti alla contrattazione?
Ora è stato esplicitato il limite dei principi costituzionali e dei vincoli internazionali ed europei. Ma gran parte del nostro diritto del lavoro non ne è coperto: per esempio l’articolo 18 dello Statuto, in materia di licenziamenti.

È vero, dunque, che l’articolo 18 andrà in soffitta?
Non mi sembra probabile che nelle imprese medio-grandi le rappresentanze sindacali legate ai sindacati confederali siano disposte a rinunciare a questa protezione. Questo potrà accadere più facilmente nell’area delle imprese più piccole, o comunque in quelle oggi non sindacalizzate. Per questo parlavo del rischio di un aggravamento del dualismo attuale del nostro tessuto produttivo.

Ma la Banca Centrale Europea non ci chiede proprio questo, il superamento del dualismo tra chi è protetto contro il licenziamento e i milioni di precari?
Sì; e ci chiede anche, nell’area del lavoro regolare, il passaggio dalla vecchia tecnica protettiva, consistente nell’ingessatura del posto di lavoro, a una protezione nuova del lavoratore, costituita dalla garanzia economica e professionale nel mercato del lavoro. È evidente che la contrattazione aziendale, abbandonata completamente a se stessa, senza neppure qualche linea-guida, non è in grado di produrre una riforma di questo genere e di questa complessità.

Secondo Susanna Camusso è un attentato alla Costituzione, è così?
Non parlerei tanto di attentato alla Costituzione, che è formalmente salvaguardata nella nuova formulazione della norma, quanto piuttosto di una scelta politica profondamente sbagliata: quella di delegare alla contrattazione aziendale una riforma che invece richiede un disegno organico e un legislatore che se ne assuma per intero la responsabilità.

Non è, di fatto, il fallimento della riforma del modello contrattuale?
La cosa curiosa è che nei mesi scorsi il ministro del Lavoro non ha perso occasione per ribadire che non avrebbe proposto alcun intervento legislative se non aderente a un’intesa tra le parti sociali. Ora, in materia di contrattazione aziendale nel giugno scorso si era finalmente raggiunto un importantissimo accordo interconfederale, questa volta sottoscritto anche dalla Cgil. Subito dopo il ministro ha varato questa norma, che ignora quell’accordo, anzi sembra puntare a scardinarlo.

In che senso?
L’accordo è stato siglato, ma non ancora ratificato dalla Cgil. Ora, in conseguenza di questo intervento legislativo, vedo il rischio che la ratifica possa saltare. Forse è proprio quello che Sacconi vuole.

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