QUANDO L’ARTICOLO 18 PRODUCE RENDITE PARASSITARIE

MESSAGGI CHE RACCONTANO I PARADOSSI CUI DÀ LUOGO LA DISCIPLINA ATTUALE DEI LICENZIAMENTI

Lettere pervenute in seguito alla pubblicazione del libro Inchiesta sul lavoro, novembre 2011

UN CALCIO IN FACCIA NON È GRAVE
Lettera del 7 novembre 2011

Chiarissimo Professore, Le segnalo un caso . . .che non è un caso. Un dipendente di una grande industria quattro anni addietro litigò con un suo collega. La lite degenerò e il nostro volle assestare un calcio al suo interlocutore. Per essere sicuro di meglio colpire, salì sul tavolo intorno al quale erano seduti il suo contraddittore e altri colleghi e da lì colpì con lo scarpone la faccia del collega. L’Azienda licenziò l’autore del fattaccio. Il Tribunale rigettò il ricorso presentato dal licenziato. Ultimamente si è svolto il processo di appello avverso la sentenza del primo giudice. La Corte di Appello ha riformato la sentenza sostenendo che una qualche giustificazione andava riconosciuta al protagonista dell’episodio perché vi era una pregressa tensione fra i colleghi del reparto e che, tutto sommato, l’episodio poteva essere sanzionato in maniera adeguata sulla base delle previsioni alternative del Contratto di Lavoro (massimo tre giorni di sospensione!). L’appellante è stato reintegrato nel posto di lavoro e l’azienda condannata a retribuirgli i quattro anni nei quali ha osato di tenerlo fuori. Lascio ai lettori il calcolo del danno economico, ma, sopratutto, il calcolo del quanto di arroganza si accrescerà nel reintegrato e in quelli come lui e quanta umiliazione sarà vissuta, giorno per giorno sul posto di lavoro, dai colleghi e dai capi. Caro Professore, avendo un curriculum di cinquantanni di lavoro, in un primo periodo, come dirigente aziendale nell’ambito della gestione del personale e, in periodo successivo, come avvocato specializzato in controversie di lavoro, apprezzo vivamente il Suo impegno nel voler trovare un rimedio, ma Le dico che il cercare di aggirare norma con norma non vale a nulla. Il primo e fondamentale rimedio da assumersi dovrebbe essere della natura del Decreto Luogotenenziale del settembre 1944 con il quale fu abolito, totalmente e in radice, il sistema corporativo (senza di quel radicale provvedimento, a mio giudizio, non avremmo avuto la miracolosa ricostruzione né l’espansione economica degli anni cinquanta e sessanta); basterebbero due articoli: 1) la legge n. 300/1970 è abrogata; 2) con la presente legge sono abrogate tutte le norme che fanno riferimento o rinvio alle norme della legge n. 300/1970. Solamente dopo avere radicalmente sgombrato il campo dalla malattia, si dovrà, con altra e diversa legge, provvedere a eventuali nuove regolamentazioni.
La saluto distintamente.
G. G. M.

MALATO PER L’AZIENDA, MA NON PER IL BAR DELLA MOGLIE
Lettera del 31 ottobre 2011 

Gentile prof. Ichino,
sono contento che qualcosa si muova nel campo dei contratti di lavoro, e soprattutto secondo i suoi intendimenti, per evitare che i giovani più preparati (a nostre spese) e più intraprendenti vadano a lavorare all’estero. Però anche per i contratti esistenti vi dovrebbe essere una maggiore disponibilità del magistrato e dei sindacati in presenza di forme di disinteresse al lavoro o truffa verso il datore di lavoro.
Le porto due esempi a mia diretta conoscenza.
– Un dipendente di un Comune […] ha effettuato ripetute e lunghe assenze dal lavoro “per malattia”; un giorno, durante una di queste, un vigile del Comune lo ha sorpreso  mentre faceva il cameriere in un bar di proprietà della moglie, in un comune vicino. É scattato il licenziamento: nel ricorso al giudice del lavoro, il dipendente ha sostenuto di soffrire di una forma di depressione che poteva essere curata solo stando vicino alla moglie: ha avuto una sentenza favorevole, con il reintegro e il pagamento di 95.ooo euro per il periodo di assenza.
– Nel 1972 il mio servizio in un Ente pubblico è stato soppresso per fine lavori e i miei collaboratori sono stati destinati ad altri servizi, alcuni in altra sede dell’Ente, nello stesso Comune, ma lontano dal centro. Uno di questi ha invece rifiutato il trasferimento sostenendo di essere stato assunto per quella sede: l’ho visto negli anni seguenti aggirarsi per i corridoi, senza un  incarico e un posto di lavoro, ma con lo stipendio.
Il fatto che il lavoratore sia la parte più debole può causare delle distorsioni qualora non vi sia un giudizio equilibrato: comprendo che la salvaguardia dei contratti esistenti sia un compromesso per poter cambiare, però è destinato a durare altri 40 anni!
Saluti
G. C.

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