LA REPUBBLICA: SULLA QUESTIONE DELLE PENSIONI DI ANZIANITÀ

L’AUMENTO DEL REQUISITO CONTRIBUTIVO PER CHI INTENDE RITIRARSI SENZA REQUISITO DI ETÀ SI GIUSTIFICA SIA SUL PIANO DELL’EQUITÀ TRA GENERAZIONI, SIA IN FUNZIONE DELL’ALLINEAMENTO DEL NOSTRO SISTEMA A QUELLO DEI NOSTRI PARTNER EUROPEI, SIA IN FUNZIONE DELL’AUMENTO DEL TASSO DI OCCUPAZIONE TRA I 55 E I 65 ANNI

Intervista a cura di Annalisa Cuzzocrea, pubblicata su la Repubblica del 1° dicembre 2011

Pietro Ichino non pensa affatto che 40 sia un numero magico, come ha detto il segretario della Cgil Susanna Camusso. Non crede che il diritto ad andare in pensione di chi ha maturato 40 anni di contributi sia intangibile. Anzi, il giuslavorista e senatore pd pensa che il problema da guardare in faccia sia quello dell’equità fra generazioni, e che per farlo il nostro Paese debba adeguarsi al sistema di welfare del nord Europa.

Professor Ichino, il nodo più controverso degli interventi sulle pensioni di cui si parla in queste ore riguarda la possibilità di ritirarsi dopo quarant’anni di lavoro, al di là dell’età. Cosa ne pensa?
«La questione dei 40 anni riguarda persone che hanno incominciato a lavorare all’età di 16 o 18, e che quindi aspirano a ritirarsi a 56 o 58 anni. Qui i problemi sono due: il primo è di equità fra generazioni: stiamo lasciando ai nostri figli un sistema che consentirà loro di andare in pensione, se andrà bene, a 67 o 68 anni, con assegni nettamente inferiori rispetto ai nostri. Davvero vogliamo – oltre a questo – gravarli di un maggior debito pubblico per consentire ad alcuni di noi di ritirarsi prima dei 60 anni? Poi c’è l’Europa».

In che senso?
«In Germania e negli altri maggiori paesi europei la possibilità di pensionamento senza requisiti di età anagrafica non è data a nessuno, eccetto lavori pesanti o usuranti. Non possiamo chiedere ai tedeschi di farsi carico della garanzia per il nostro debito pubblico finché non abbiamo allineato i criteri del nostro welfare al loro. Infine c’è un problema che attiene al mercato del lavoro: se vogliamo tornare a crescere non possiamo continuare a pagare, con denaro pubblico, i cinquantenni perché smettano definitivamente di lavorare».

Ci sono però anche i casi dei lavoratori in mobilità a pochi anni dal vecchio requisito per la pensione.
«Abbiamo sempre detto, e sono certo che il ministro del welfare ha ben presente questa necessità, che la modifica dei requisiti per il pensionamento non deve riguardare i lavoratori in mobilità, o quelli che abbiano effettuato un riscatto contributivo contando sulla vecchia disciplina. Deve essere dettata una disciplina speciale anche per chi ha svolto prevalentemente un lavoro usurante, o chi oggi svolge lavoro manuale».

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