PANEBIANCO: SUL LAVORO MONTI SI GIOCA IL POSTO

SE IL GOVERNO NON MOSTRA SULLA RIFORMA DEL LAVORO LA STESSA DETERMINAZIONE CHE STA MOSTRANDO SULLE LIBERALIZZAZIONI SI ROMPE IL SOTTILE EQUILIBRIO POLITICO SU CUI ESSO SI REGGE 

Fondo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 29 gennaio 2012

     La ragione principale per cui i governi tecnici non esistono è che la politica non va mai in vacanza. Anche il governo Monti è obbligato a contrattare le sue scelte, implicitamente o esplicitamente, con le forze parlamentari dal cui consenso dipendono le sue possibilità di durata e di azione. La condizione di sussistenza del governo sta nella sua capacità di agire, imponendo al Paese i sacrifici necessari, senza dare l’impressione che il loro costo non sia distribuito equamente fra gli elettorati di riferimento delle forze parlamentari che lo sostengono. Può essere, ad esempio, che sia stato un errore non aver varato contestualmente le liberalizzazioni e la riforma del mercato del lavoro. Perché se il governo mostrasse maggiore timidezza nella riforma del lavoro di quella mostrata nel caso delle liberalizzazioni, ne deriverebbe un effetto boomerang: forti tensioni emergerebbero entro la grande coalizione parlamentare e la turbolenza politica potrebbe diventare incontrollabile.
Con le liberalizzazioni sono state toccate, soprattutto, categorie di lavoratori autonomi che rappresentano una componente rilevante del bacino elettorale del Pdl. La riforma del mercato del lavoro, invece, va a toccare interessi che fanno parte della constituency elettorale del Partito democratico.
     Negli ultimi giorni si era diffusa l’impressione che il governo non stesse manifestando nel secondo caso la stessa grinta che, lodevolmente, aveva usato nel primo. Ad esempio, la settimana scorsa, il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero, di fronte alla dura opposizione dei sindacati, sembrava sul punto di ritirare il documento che il governo aveva preparato sulla riforma del lavoro (Enrico Marro, Corriere della Sera, 27 gennaio). Ieri, però, sia il ministro Fornero sia il premier Monti hanno rilanciato con forza il tema ribadendo che si tratta di una priorità assoluta per l’esecutivo.
     Abbiamo certamente bisogno della riforma incisiva (che, come dice Monti, combini flessibilità ed equità, protegga i lavoratori piuttosto che i posti di lavoro) promessa dal governo al momento del suo insediamento. Se però l’iter di riforma si arenasse il guaio sarebbe doppio. Per gli effetti economici negativi. E per le conseguenze politiche destabilizzanti. Se risultasse che al lavoro autonomo vengono imposti prezzi più alti che al lavoro dipendente, in virtù del superiore potere di interdizione di cui dispongono i sindacati, l’equilibrio politico su cui si regge il governo si spezzerebbe. Manca solo un anno alle elezioni e tutti, naturalmente, devono fare i loro calcoli.
     Quella del mercato del lavoro, peraltro, non è l’unica partita politicamente scottante ancora aperta. Le liberalizzazioni hanno fin qui colpito i «piccoli» ma hanno appena sfiorato i grandi, le banche in primo luogo. Si aspetta, con una qualche impazienza, il secondo round.
E poi vale per le liberalizzazioni ciò che vale per il provvedimento di semplificazione burocratica testé varato. Non è solo il Parlamento che può vanificarne gli aspetti innovativi. In Italia sappiamo per lunga esperienza che le innovazioni possono essere neutralizzate o ammorbidite anche dopo l’approvazione parlamentare, quando si passa ai regolamenti attuativi.
     E c’è poi il capitolo, ancora da scrivere, delle privatizzazioni. Delle quali si può dire che oltre al vantaggio di aprire i mercati alla concorrenza, con i benefici collettivi che ne conseguono, hanno anche quello di non poter essere facilmente annullate dall’azione dei governi successivi. E anche questa sarà una partita che farà correre qualche rischio agli equilibri politici.
     Non sappiamo come verrà giudicato in futuro il governo Monti. Probabilmente, sarà considerato l’artefice di una autentica svolta nella storia del Paese oppure solo un intermezzo, a seconda che esso riesca o meno a fare in modo che i frutti della sua azione non assomiglino alla tela di Penelope, che non si possano archiviare con la stessa rapidità con cui sono nati.

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