COSTO DEL LAVORO ALTO, SALARI NETTI BASSI

IL DATO RELATIVO ALLA RETRIBUZIONE LORDA INTERESSA POCO SIA AI LAVORATORI ITALIANI SIA ALLE IMPRESE, PERCHÉ È LONTANO SIA DAL “NETTO IN BUSTA”, SIA DAL COSTO AZIENDALE: OCCORRE RIDURRE IL CUNEO FISCALE E CONTRIBUTIVO CHE TIENE TRA LORO LONTANI I DUE SOLI VALORI CHE CONTANO EFFETTIVAMENTE

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 27 febbraio 2012

 A prima vista, i dati Eurostat sulle retribuzioni del 2009 suscitano sorpresa e allarme. I nostri stipendi lordi sembrerebbero agli ultimi posti nell’area euro, più bassi che in Spagna o addirittura in Grecia. In termini di Pil pro capite non siamo messi così male: come è possibile che i lavoratori dipendenti italiani siano i peggio pagati d’Europa?
La retribuzione media lorda è un valore statisticamente rilevante, ma conta relativamente poco sia per le imprese che per le famiglie. Alle prime ciò che interessa è il costo del lavoro, al lordo delle imposte e dei contributi sociali. Le famiglie guardano invece alle buste paga, al “netto” che entra in casa dopo che l’impresa ha fatto tutti i conteggi; sia quelli col segno meno (le trattenute) sia quelle col segno più (ad esempio, gli assegni familiari). In che condizioni ci troviamo su questi due versanti?
Facciamo parlare, di nuovo, Eurostat, attingendo direttamente alle sue banche dati. I costi medi per ora lavorata nelle aziende con più di dieci addetti sono relativamente alti in Italia: inferiori di circa il 20% a quelli tedeschi, ma significativamente superiori a quelli degli altri Paesi sud-europei e persino della Gran Bretagna (dati 2008). Le imprese italiane sono infatti zavorrate da aliquote contributive fra le più alte in Europa, soprattutto per quel che riguarda la previdenza (che, incluso il Tfr, incide per il 40% circa sulla retribuzione: un’enormità senza pari nella Ue). Le basse retribuzioni lorde evidenziate ieri da Eurostat non si tramutano dunque in un vantaggio competitivo per l’economia italiana, visto che su di esse le nostre imprese devono versare contributi più elevati che altrove.
Ma veniamo alle retribuzioni nette, quelle che interessano direttamente le famiglie. Qui i confronti si fanno più difficili, perché l’effettiva consistenza delle buste paga dipende da vari fattori: la quota parte di contributi sociali, l’Irpef (che a sua volta è commisurata ai livelli retributivi), i carichi familiari e così via. Proviamo allora a soffermarci su due casi tipo. Il primo è quello di un lavoratore dipendente con una retribuzione pari alla media nazionale, con moglie e due figli a carico. Nel 2010 il netto percepito da una famiglia come questa è stato pari a circa 23 mila euro: una cifra decisamente superiore a quella di Spagna (21 mila), Portogallo (16 mila) e Grecia (17 mila), ma inferiore a quella di tutti gli altri Paesi Ue con cui ci confrontiamo, inclusa la Gran Bretagna. A fare la differenza sono essenzialmente l’Irpef e gli assegni familiari. Se il capofamiglia italiano in questione avesse pagato le imposte sul reddito in Francia, il suo netto sarebbe salito da 23 a 24 mila euro. Se avesse ricevuto le detrazioni e le prestazioni familiari dell’Austria, sarebbe salito a più di 27 mila.
Immaginiamo ora un secondo caso: lavoratore con retribuzione media, due figli a carico e moglie che lavora part time, con un salario pari a un terzo di quello del marito. Il netto di questa famiglia è stato nel 2010 pari a quasi 30 mila euro, circa un terzo in più rispetto alla famiglia del primo tipo. L’indicazione interessante che emerge dai dati Eurostat è che in molti altri Paesi l’incremento sarebbe stato ben maggiore in termini percentuali: il fisco e i trasferimenti previsti per figli e madri lavoratrici avrebbero consentito a questa seconda famiglia di disporre di un reddito più elevato, premiando il lavoro del coniuge.
Da questi dati emergono i paradossi già noti del nostro modello di welfare e delle sue modalità di finanziamento. Il costo della protezione sociale grava in misura elevata sulle imprese, mantenendo alto il costo del lavoro. La pressione fiscale sui lavoratori dipendenti resta comparativamente elevata, sicuramente per compensare l’estesa evasione ed elusione di altre categorie occupazionali. Il sistema delle detrazioni e dei trasferimenti alle famiglie è meno generoso che in altri Paesi e, per giunta, tende a disincentivare l’occupazione femminile. Le famiglie di ceto medio-basso si trovano così in difficoltà anche quando c’è un adulto con un lavoro regolare: una busta paga da sola infatti non basta più (come peraltro avviene da tempo in tutto il mondo sviluppato).
Per risolvere il problema dei bassi redditi occorre una strategia ad ampio spettro, che metta al centro il tema della produttività ma che sappia anche fare ordine nella lunga catena di passaggi fra costo del lavoro e busta paga. La riforma a cui sta lavorando Elsa Fornero è il primo importante passo. Ma subito dopo occorrerà occuparsi di fisco, di famiglia e di assistenza. Stiamo meglio di come ci ha dipinti ieri Eurostat, ma il cammino del cambiamento è ancora lungo e difficoltoso.

ggg

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