ANCHE LA SCUOLA HA BISOGNO DI LEADER

IL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO NON FA NULLA PER ATTIRARE IL MEGLIO DELLE NUOVE GENERAZIONI – OCCORRE CHE I DIRIGENTI SCOLASTICI VENGANO RESPONSABILIZZATI MEGLIO E AL TEMPO STESSO RECUPERINO LE PROPRIE PREROGATIVE MANAGERIALI, PERCHÉ POSSANO A LORO VOLTA MOTIVARE PIU’ E MEGLIO GLI ALTRI PROFESSORI

Articolo di Attilio Oliva, presidente dell’associazione Treellle.org, pubblicato sul Corriere della Sera del 5 maggio 2012 – In argomento v. anche i numerosi altri articoli recenti (di Alberto Alesina, Antonio Funiciello, Andrea Ichino e altri), accessibili attraverso il Portale della Valutazione nella Scuola Italiana

Caro Direttore,
in marzo a New York ho partecipato al summit internazionale «Come formare gli insegnanti e far crescere school leaders per il XXI secolo». Erano presenti 15 ministri dell’Istruzione e 18 paesi. Le tesi centrali di Arne Duncan, Usa Secretary of Education, sono le seguenti: «Gli insegnanti non sono trattati come professionisti; non sono compensati o promossi sulla base del loro impegno. Per attrarre i migliori laureati al mestiere dobbiamo creare opportunità di carriera e di leadership e assicurare che le scuole siano guidate da team di school leaders». Queste tesi non sono dissimili da quelle di Andreas Schleicher, Direttore della divisione Éducation dell’Ocse. Si fa poi fatica a credere che un grande sindacato, il Nea (che rappresenta il 30% degli insegnanti Usa), reclami «un nuovo sistema con modelli di carriera differenziati».
La distanza di queste visioni da quelle prevalenti nel dibattito sulla nostra scuola è sgomentante. Da noi, nell’indifferenza generale, lo status degli insegnanti sembra declinare in modo inesorabile. Le cause sono note: il reclutamento avviene tra precari sulla base dell’anzianità di servizio; i trattamenti economici sono uguali per tutti nella finzione che tutti siano ugualmente impegnati; i più apprezzati sono sfiduciati perché nessuno ne riconosce i meriti; il mestiere non attrae i laureati con ambizioni di carriera perché una carriera non esiste.
L’unico sviluppo professionale possibile consiste nel diventare capi di istituto-dirigenti in base a concorsi che privilegiano titoli, anzianità di servizio e conoscenze di tipo manualistico. I dirigenti, così nominati, guadagnano circa il doppio di un insegnante, non sono mai più valutati e sono inamovibili fino alla pensione. In Francia, per citare un caso, per diventare dirigenti bisogna superare un apprendistato di due anni con l’incarico di vice-preside.
In assenza di serie valutazioni delle qualità professionali degli operatori scolastici, riesce difficile fare emergere dirigenti pienamente legittimati. Sennonché, in assenza di school leaders legittimati, mancano proprio i soggetti naturalmente titolati non solo a favorire la crescita professionale dei colleghi insegnanti, ma anche a valutarne punti di forza e di debolezza. Il circolo vizioso è evidente. Chi aspira a una scuola di qualità deve sapere che nessuna scuola può essere migliore dei propri insegnanti e nessuna scuola può fare a meno di school leaders legittimati: la partita si gioca fondamentalmente qui.
Avanzo allora due proposte ai decisori politici: 1) Definire per legge un profilo della professione insegnante (nel nostro Paese curiosamente inesistente) e consentire che, durante il servizio, sia la stessa comunità scolastica (dirigente, colleghi, famiglie e studenti) a individuare e premiare con procedure trasparenti coloro su cui converge l’apprezzamento generale. Si potrebbe così realizzare l’auspicato modello di «leadership distribuita»; 2) definire un profilo professionale dei capi di istituto idoneo alle sfide della scuola autonoma, modificare le attuali inadeguate modalità concorsuali prevedendo una pre-selezione attitudinale alla leadership e un periodo di praticantato sostenuto da una formazione specialistica con relativa valutazione per l’idoneità alla funzione.

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