LIBERO: QUEL CHE IL GOVERNO PUÒ FARE IN MATERIA DI POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO

SPERIMENTARE UN MODO NUOVO DI AFFRONTARE LE CRISI OCCUPAZIONALI, INCENTIVANDO EFFICACEMENTE LE IMPRESE AD ATTIVARE I SERVIZI DI OUTPLACEMENT, E ADOTTARE MISURE INCISIVE PER FAVORIRE LA PERMANENZA E IL REINSERIMENTO DEI SESSANTENNI NEL TESSUTO PRODUTTIVO

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti pubblicata su Libero il 19 ottobre 2012

Il ministro Fornero dice che entro marzo attuerà la delega sulle politiche attive. Cinque mesi di tempo, con la legislatura in scadenza e la necessità di trovare una complicata intesa con le parti sociali e le Regioni. Professor Ichino, le sembra un obiettivo realizzabile?
Certo che sì, purché si valorizzino le risorse realmente disponibili a breve termine e si cambi profondamente indirizzo rispetto alle esperienze fatte fin qui.

Che cosa intende dire?
“Politiche attive del lavoro” significa essenzialmente una cosa: aiutare efficacemente le persone che entrano nel mercato del lavoro, o che il lavoro lo avevano e lo hanno perso, a ritrovarlo, incentivandole alla ricerca. Questa cosa i nostri servizi pubblici di collocamento, salve pochissime eccezioni, l’hanno sempre fatta poco e male, o non l’hanno fatta del tutto. Chi sa farla bene sono le agenzie private che offrono i servizi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, per i casi più facili, quelle che offrono servizi di outplacement, cioè assistenza intensiva e molto qualificata, per i casi più difficili. Occorre puntare su queste.

Come?
Il progetto che ho proposto, come parte del Codice del lavoro semplificato (d.d.l. n. 1873/2009), prevede che le imprese che licenziano per motivi economici od organizzativi siano fortemente incentivate ad attivare un servizio di outplacement per i lavoratori interessati. Il servizio deve mirare all’obiettivo di ricollocarli tutti entro un anno, mediante un “contratto di ricollocazione” che vincoli il lavoratore licenziato a un comportamento ragionevolmente coerente con quell’obiettivo; e a questo comportamento deve essere condizionato il trattamento di disoccupazione. L’incentivo per l’impresa potrebbe essere costituito da un trattamento complementare di disoccupazione, che scatta dall’inizio del secondo anno se il lavoratore non è stato ricollocato.

Ma questo non sarebbe troppo oneroso per le imprese?
Per quel che riguarda il servizio di outplacement, quattro quinti del suo costo standard di mercato potrebbe essere posto, mediante accordi-quadro, a carico delle Regioni, le quali potrebbero attingere per questo senza problemi ai contributi del Fondo Sociale Europeo: oggi li utilizziamo solo per un terzo di quel che potremmo. Quanto al trattamento complementare di disoccupazione, si potrebbe prevedere che l’indennizzo dovuto per il licenziamento ingiustificato si riduca di un importo pari al trattamento che l’impresa si è impegnata a erogare se il lavoratore non sarà ricollocato entro il primo anno. Col che il severance cost, cioè il costo per l’impresa di separazione dal lavoratore per motivi economico-organizzativi, resterebbe pressoché invariato rispetto alla situazione attuale.

Intanto lei ha presentato in Senato un disegno di legge, n. 3515, sul cosiddetto “invecchiamento attivo”. È un insieme di misure che da un lato favoriscono il part-time per i sessantenni, dall’altro incentivano gli stessi quando sono disoccupati – per esempio i cosiddetti esodati non salvaguardati – a rientrarvi e incentivano fortemente le imprese ad assumerli. Misure diverse che partono, però, un principio comune?
Sì: prevedere la possibilità di riduzione dell’orario di lavoro per i sessantenni non è contraddittorio rispetto all’obiettivo fondamentale di aumentare il tasso di occupazione in questa fascia di età: perché è proprio la possibilità di modulare l’orario secondo le condizioni ed esigenze particolari di ciascuna persona che evita in molti casi l’uscita precoce dal tessuto produttivo.

I lavoratori “anziani” che fanno posto ai giovani accettando per sé una riduzione dell’orario di lavoro e magari mettono a disposizione la loro esperienza per formarli è un principio che, oltre che nel suo ddl, si trova nel nuovo contratto dei chimici. Le sembra un buon accordo? Potrebbe condizionare gli altri rinnovi contrattuali o il settore dei chimici fa storia a sé?
Mi sembra un ottimo accordo, non soltanto per questo aspetto. E penso che possa fare da battistrada per altri contratti analoghi in altri settori. Per la parte relativa alla partecipazione dei lavoratori in azienda in funzione di piani industriali innovativi, questo contratto fornisce anche alcune indicazioni utili per l’accordo interconfederale sulla produttività, a cui si sta lavorando in questi giorni.

È troppo presto per valutare gli effetti della riforma Fornero sul mercato del lavoro? Ha ragione o torto chi sostiene che i 75.000 occupati in meno ad agosto sono in parte frutto dei nuovi vincoli sui contratti a tempo determinato?
Imputare a una legge entrata in vigore il 18 luglio una flessione dell’occupazione registrata in agosto sarebbe davvero una sciocchezza. Soprattutto in un momento di recessione grave come questo, che basta e avanza per spiegare quella flessione.

La Fornero si è detta pronta a modificare la sua riforma per decreto, riducendo il tempo di sospensione tra un contratto a termine e l’altro. La sorprende?
No: quella norma non mi ha mai convinto.

Ci sarebbe qualche altra modifica da fare?
Molte. Purché non si torni indietro sui due punti fondamentali: la nuova disciplina dei licenziamenti e degli ammortizzatori sociali.

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