PERCHÉ RIVALUTIAMO L’INNO DI MAMELI

UN’IDEA DI PATRIA INTESSUTA DI SOLIDARIETÀ, DI RESPONSABILITÀ RECIPROCA TRA CITTADINI E SENSO CIVICO

Intervento in Senato di Albertina Soliani nel corso della discussione dei disegni di legge sull’insegnamento dell’Inno di Mameli nelle scuole e su “Cittadinanza e Costituzione”, 7 novembre 2012

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Soliani. Ne ha facoltà.

SOLIANI (PD). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi senatori, due proposte di legge, un’unica domanda: cos’è la Patria oggi, che la si debba celebrare e che la si debba insegnare alle nuove generazioni? È una grande riflessione, quella che stiamo compiendo oggi in Senato; non so se sia la più bella, ma è certamente grande.
Non è un «cero votivo», collega Franco Paolo, è il senso del nostro essere e della nostra vita, che è lacrime, sangue – come si suol dire – e sogno, ieri come oggi. E unisce non divide, con il Paese i territori da cui ciascuno di noi diversamente proviene: l’Italia è i suoi territori, le sue città.
Nel 2011, il Presidente della Repubblica, con una scelta di grande significato morale, culturale e civile, seguita a quella di Ciampi, ha semplicemente posto l’Italia di fronte ai suoi centocinquant’anni anni di storia unitaria, dagli staterelli al Regno d’Italia, dalla dittatura fascista alla Repubblica, alla democrazia, all’Unione europea. Tutto questo noi siamo, perché lo siamo stati: forse non l’abbiamo scelto, ma la storia ci ha così determinato nella vita del mondo e non possiamo rinnegare nulla. Il presidente Napolitano lo ha fatto perché il Paese si riconoscesse nel processo unitario che lo ha costituito e ne ricordasse i fatti, le idee, i protagonisti, ne riscoprisse valori e identità. E perché – penso io – si guardasse allo specchio, oggi, ritrovando la direzione del proprio destino.
Un anno memorabile, questo del centocinquantenario, di cui il popolo, le città, le scuole sono stati partecipi oltre ogni previsione. Le scuole, a cui una scelta miope dei Governi di questi anni – lasciatemelo dire – ha imposto lo studio dell’Ottocento e del Novecento solo a partire dall’ultimo anno della scuola media, non prima: come se i ragazzi italiani fino ai 12 anni potessero essere privati della storia più recente (dalla Rivoluzione francese alla prima e alla seconda guerra mondiale), una storia che coincide con quella delle loro famiglie e delle loro comunità e che è la sola storia che può far nascere una visione del mondo in cui i ragazzi oggi vivono.
Che cos’è la Patria, dunque, che esiste solo se è unita? Il battesimo storico dell’Unità è avvenuto in quel 17 marzo 1861 intorno a cui oggi stiamo ragionando. E qual è il sogno – che vide la luce nell’autunno del 1847 – cantato da Mameli, che lo scrisse quand’era ancora studente ventenne, ma già patriota genovese, e che poi un altro genovese, Michele Novaro, musicò a Torino, nel fervore patriottico che precedette la guerra contro l’Austria, che occupava il Lombardo-Veneto? (Applausi della senatrice Baio).
La Repubblica italiana – come ha ben ricordato il senatore Molinari – ufficializzò l’inno come Canto degli italiani quel 12 ottobre del 1946, quando ancora le macerie ingombravano le strade e le piazze: avevano molto da pensare, ma ci sarà una ragione se hanno pensato a questa cosa! (Applausi dal Gruppo Per il Terzo Polo: ApI-FLI e dei senatori Astore e Garavaglia Mariapia). Un Canto amato, perché con le sue parole – che sono quelle di centocinquant’anni fa – canta inequivocabilmente il ridestarsi dell’Italia e con quel «Fratelli d’Italia» canta la fratellanza degli italiani, chiamati ad essere uniti contro la divisione e l’oppressione. Perché se siamo divisi, siamo oppressi. (Commenti del senatore Bricolo. Repliche dal Gruppo PD. Richiami del Presidente).

PRESIDENTE. Colleghi, presidente Bricolo, è un dibattito davvero molto interessante, perché interromperlo?

SOLIANI (PD). Vi è in questi versi l’animo puro ed entusiasta della gioventù, che allora volle il cambiamento. Ricorda l’inno di Mameli che «dall’Alpi a Sicilia, ovunque è Legnano»: l’epopea dal Carroccio che difende la libertà contro il Barbarossa come epopea nazionale. Sembra oggi incredibile, dopo la stagione politica di questi anni, ma è così: la Lega di allora aveva come obiettivo l’unità nazionale. Mettiamo le cose a posto, almeno nella storia! (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Gustavino).
Mameli morirà il 3 giugno del 1849, a 22 anni, dopo essere stato ferito alla gamba sinistra combattendo in prima linea per la Repubblica romana, dopo aver partecipato alle Cinque giornate di Milano, a capo di 300 volontari. Non foss’altro che per questa vita, per questa giovane vita, dovremmo un grande rispetto alle parole del suo inno, che è diventato l’inno degli italiani.
Voglio ricordare che il 27 gennaio di quell’anno a Roma venne rappresentata al teatro Argentina per la prima volta «La battaglia di Legnano» di Giuseppe Verdi. Capite che tempi? Tra l’altro, la censura costrinse Verdi a modificare parole e toni. «La battaglia di Legnano» si apre con il coro: «Viva l’Italia! Un sacro patto tutti stringe i figli suoi. Esso, alfin, di tanti ha fatto un sol popolo di eroi». Colleghi, questa è l’idea di Patria che l’inno esprime: ciò che fa dei singoli un noi. Ciò che fa dei pezzi una sola cosa, con una identità e una missione di libertà e di unità.
Per questa idea di Patria, giovani generosi scelsero, in epoche diverse, di vivere e di morire: per la libertà, per una convivenza civile libera e prospera, per una appartenenza allo Stato e alle istituzioni di ogni cittadino, senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di condizione sociale.
Questa giornata del 17 marzo, solennità civile, dovrà essere la celebrazione di una cittadinanza protagonista del destino comune, ogni giorno, dentro una storia che, da italiana, si fa sempre più europea e mondiale.
Perché cos’è la Patria se non la casa che ti accoglie, tutela i diritti, ti offre lavoro, futuro, istruzione, salute? E ti chiede solidarietà, doveri, rispetto della legge? Una Patria, l’Italia, in cui ci si chiama, nei fatti, fratelli; una Patria che ti dà certezza nell’incertezza del tempo presente; che non lascia partire i suoi giovani ancora una volta per cercare altrove lavoro e vita.
La Patria è, innanzitutto, responsabilità di ciascuno e di tutti, e in primo luogo della classe politica e dirigente. Una Patria, l’Italia, che è amata e cercata nel mondo. Non possiamo, e non potremmo, spegnere questa luce che nel mondo, da secoli, rappresenta qualcosa di unico.
Che cosa insegnare, dunque, ai giovani se non questo legame, che unisce le generazioni nella fatica e nella speranza? Sono le generazioni che hanno fatto l’Unità d’Italia, quelle che sono cadute in trincea, sul Carso, quelle che hanno riscattato la Patria con la Resistenza. Ma erano tutti giovani, sapete? In tutti i passaggi dell’Italia in cui qualcosa è morto e qualche altra cosa è nata, in cui la Patria è cresciuta, lì c’erano i giovani e sono stati protagonisti. Sono le generazioni che hanno fatto la Repubblica e la Costituzione, e hanno ricostruito le strade, le fabbriche, le scuole. Anche quelle che sono immigrate lungo questi centocinquant’anni portando l’Italia nel mondo: le donne e gli uomini che hanno fatto il nostro Paese. Le donne, presenti in ogni vicenda: dalle Cinque giornate di Milano alla lotta per la liberazione dell’Italia. Quelle sorelle d’Italia che oggi, e solo oggi, vengono finalmente chiamate per nome nella storia.
Questo 17 marzo ci dice, infine, che la Patria siamo noi, oggi, con la responsabilità di ricostruirla, di risanarla, di ripulirla dal fango della corruzione e dell’illegalità, di servirla con disciplina e onore, se siamo nei luoghi pubblici, come dice la Costituzione, di risvegliarla ai suoi compiti storici e di darle fiducia nel domani con la bussola della Carta costituzionale.
La Patria siamo noi, quanti viviamo qui, anche se veniamo da altri continenti, anche se siamo figli di immigrati. Il 2 giugno di qualche anno fa, celebrando la festa della Repubblica ho ascoltato il discorso di un giovane del Punjab. A Novellara, in provincia di Reggio Emilia, ci sono molte associazioni di immigrati e c’è il più grande tempio sikh d’Europa. Questo giovane ha parlato a nome di tutte le altre associazioni di immigrati e ha detto: «Questa è la mia festa, anche perché mio nonno ha combattuto a Montecassino».
Le truppe alleate che arrivarono a liberare noi, al Sud, erano costituite anche dai soldati delle colonie inglesi.
Ma oggi, insieme con l’inno di Mameli, dobbiamo insegnare nelle scuole anche l’Inno alla gioia di Beethoven, che è l’inno dell’Unione europea. In fondo il processo è il medesimo, è un processo di unità, crescente e più ampia nel mondo globale di oggi.
All’Unione europea, di recente, è stato conferito il premio Nobel per la pace, per la sua storia, per il suo esserci nella storia. L’Unione europea, una grande responsabilità per tutti noi, cittadini europei.
Così la Patria è insieme il nostro passato e il nostro futuro ed è il nostro presente; sul quale, lasciatemi dire, pare risuonare di nuovo lo struggente coro del Nabucco «Oh mia Patria, sì bella e perduta».
Che cos’è la Patria per la quale ancora si vive e ancora si muore, in terre lontane di conflitto, e da cui si torna avvolti nel tricolore? Di questo, colleghi, stiamo parlando oggi, un po’ sommessamente, un po’ sbagliando, un po’ cercando di mettere insieme delle parole.
Una bandiera, il tricolore che ci rappresenta nel mondo, nato a Reggio Emilia il 7 gennaio del 1797, su proposta di un tale Giuseppe Compagnoni, per volontà delle popolazioni di Ferrara, Modena, Bologna, Reggio Emilia, i cui rappresentanti hanno proclamato la Repubblica cispadana. Un giorno, anch’esso il 7 gennaio, solennità civile, come stabilito dalla legge.
L’Italia, dunque, è una storia di libertà. La Patria è questa storia di libertà, mai separata dalla storia degli altri popoli, ieri per la costruzione dell’unità nazionale, oggi per la costruzione dell’unità politica dell’Europa. Stato e Nazione, Europa e cittadini: questa è la Patria di oggi ed è a questi ultimi, i cittadini, che oggi è affidata la responsabilità di determinare la coesione della Patria e di alimentarne la democrazia con un nuovo patriottismo (possiamo dirlo?) per dare all’Italia un futuro, un nuovo Risorgimento, per dare una risurrezione, perché Risorgimento equivale a risurrezione.
Questa Patria ha i suoi giorni di solennità civile, ma è la sua anima che deve essere ritrovata con la stessa passione civile dei giorni nei quali una giovane generazione, dal 1848 al 1918 fino poi al 1945, ha fatto il sogno e il sacrificio della storia d’Italia, che oggi è semplicemente la nostra grande storia. (Vivi, prolungati applausi dai Gruppi PD, PdL, Per il Terzo Polo: ApI-FLI e dei senatori Fleres e Gustavino. Molte congratulazioni).
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