PERCHÉ AL SUD POCHI VOTI A RENZI E PERCHÉ POSSONO AUMENTARE

FIN DAL VOTO DEL 2009 BERSANI ERA PIÙ FORTE AL SUD CHE AL NORD; E AL SUD È PIÙ FORTE ANCHE VENDOLA – MA QUESTO SIGNIFICA PURE CHE RENZI ORA AL SUD HA UN MARGINE MAGGIORE DI RECUPERO; E NON È VELLEITARIO DA PARTE SUA PENSARE DI METTERLO A FRUTTO, PERCHÉ IL SUD PIÙ DEL NORD HA BISOGNO DI DISCONTINUITÀ

Intervista a cura di Simona Brandolini, pubblicata dal Corriere della Sera di Napoli il 28 novembre 2012

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Pietro Ichino, giuslavorista, parlamentare Pd, nonché sostenitore di Matteo Renzi che ha inserito la sua proposta di riforma del lavoro nel programma delle primarie. Professore, alcuni vendoliani sarebbero disposti a votare Renzi ma hanno un problema: Pietro Ichino. Adriano Giannola ha detto che Renzi è affetto da “ichinismo”; lo stesso Roberto Esposito si dice perplesso per la posizione di Renzi sulle politiche del lavoro. Perché, secondo lei, i meridionali sono spaventati dalla sua riforma?
Guardi che queste stesse cose le si sentono dire anche al nord. E anche al nord come al sud, il più delle volte, quelli che dicono queste cose non la conoscono affatto, la riforma che propongo. Detto questo, non c’è dubbio che la cultura del “posto fisso” come forma ideale di protezione della sicurezza economica e professionale del lavoratore è più radicata al sud che al nord.

Secondo lei, dunque, non è la sua riforma alla base del fatto che Renzi non sfonda nelle regioni meridionali?
Non lo credo proprio. Anche perché per un giovane che entra nel mercato del lavoro, o per chi il lavoro lo perde, oggi è molto più difficile al sud che al nord trovare un posto di lavoro regolare a tempo indeterminato. In realtà il sud ha ancora più bisogno di una riforma nel segno della flexsecurity di quanto ne abbia il nord. Renzi è andato meno bene al sud per due motivi molto diversi: perché già nelle primarie del congresso del 2009 Bersani risultò molto più forte al sud che al nord; e perché al sud è molto più forte anche Vendola.

È un fatto, però, che soprattutto a Napoli città Renzi arriva terzo dietro Vendola. Come se lo spiega?
Probabilmente l’organizzazione della campagna elettorale di Renzi è stata più debole qui che altrove. Oppure si sono rivelati più forti qui che altrove gli apparati schierati con Bersani e Vendola: non si deve dimenticare che, dei tre, Renzi era l’unico a non avere il sostegno di un intero apparato di partito. Questo, però, significa soltanto che qui a Napoli, e più in generale in tutto il Mezzogiorno, Renzi ora ha uno spazio di possibile recupero maggiore che altrove. Perché il sud, e Napoli in particolare, hanno ancora più bisogno di quanto ne abbia il nord di una netta discontinuità di governo rispetto al passato. E di un centrosinistra con idee e strategie profondamente nuove.

Secondo lei la sua proposta è stata spiegata bene?
Non lo so. So solo che in quest’ultimo anno sono venuto a Napoli tre volte per discuterne, invitato una volta dall’Università, una volta dalla Cisl e una volta dalla Uil. Ci sarei venuto una quarta volta il 15 novembre scorso, per un invito dei giovani Pd, se quell’incontro non fosse stato, all’ultimo, cancellato. Non mi chieda il perché: non lo conosco.

Come convincerebbe i giovani meridionali della bontà della sua riforma rispetto a quella di Bersani?
In materia di lavoro Bersani non propone una riforma, ma soltanto qualche intervento di manutenzione del sistema vigente. Ma è un sistema che sta dando risultati non buoni per quel che riguarda la metà dei lavoratori protetti, perché ha un effetto depressivo sui loro livelli retributivi; e risultati pessimi per i non protetti, la cui area si sta allargando e per i quali, se le cose restano così, le speranze sono pochissime. Il codice del lavoro semplificato che proponiamo Matteo e io prevede invece che tutti i nuovi assunti – salvi i casi classici di lavoro a termine – siano a tempo indeterminato, a tutti siano estese le protezioni essenziali, ma nessuno sia inamovibile. La sicurezza economica e professionale del lavoratore non si costruisce con l’ingessatura del posto di lavoro.

Molti, da Vendola a de Magistris, sono ancora convinti che una politica keynesiana di sostegno all’economia possa essere la soluzione vincente. Qual è la sua posizione?
L’aumento della spesa pubblica è predicato da Keynes come misura congiunturale, per evitare l’avvitamento recessivo. Noi invece, sciaguratamente, l’abbiamo praticato per decenni in modo continuativo: proprio come ora predicano Vendola e De Magistris. Ma un po’ anche Bersani. Per farlo, nell’ultimo quarto di secolo abbiamo speso ogni anno l’equivalente di 30 miliardi di euro prendendoli a prestito. Questa è la causa delle nostre attuali difficoltà drammatiche, conseguenti al rischio di fallimento dello Stato. E questo è il motivo per cui oggi non possiamo permetterci di praticare la terapia keynesiana in un momento di recessione grave, in cui ne avremmo grande bisogno.

Come definisce Renzi: liberale, liberista, socialdemocratico?
Se devo scegliere una delle tre qualifiche, direi liberale; meglio forse liberaldemocratico. Ma sono ancora categorie politiche novecentesche, sempre meno adatte alla realtà del ventunesimo secolo.

Infine è vero che, tranne Vendola, sia Bersani sia Renzi abbiano parlato molto poco di Mezzogiorno. Perché la questione meridionale non esiste più o perché ormai patologica?
Nel caso di Bersani, il motivo è probabilmente che sapeva di averne meno bisogno, essendo già molto forte al sud. Nel caso di Renzi è stato forse un errore, dovuto anche ai tempi stretti di questa campagna elettorale. Ma lo sta già correggendo.

Qual è, secondo lei, il motivo principale per cui uno che ha votato Bersani domenica prossima dovrebbe votare Renzi?
Il fatto che Bersani teorizza l’incapacità del Pd di rappresentare anche il centro, e dunque la necessità della “stampella” di Casini. Queste primarie – e in particolare il voto per Renzi di domenica scorsa – stanno invece dimostrando che il Pd è perfettamente in grado di rappresentare anche il centro, unendolo alla sinistra, e di intercettare i moltissimi orfani di un centrodestra ormai spappolato. Gli elettori di centrosinistra che sono affezionati al vecchio modello del partito di sinistra “puro”, a costo di restare minoranza, continuano a votare Bersani; quelli che vogliono provare davvero vincere, e senza stampelle, come fanno tutti i grandi partiti di centrosinistra dell’occidente avanzato, ora hanno visto che possono farlo, votando Renzi.

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