IL MONDO: A CHE COSA SERVONO I SERVIZI DI OUTPLACEMENT

NEL MIO CODICE DEL LAVORO PROPONGO UN SISTEMA DI FORTI INCENTIVI ALLE AZIENDE AFFINCHÉ UTILIZZINO I MIGLIORI SERVIZI PER RICOLLOCARE I LAVORATORI LICENZIATI

Intervista a cura di Michele Caropreso, in corso di pubblicazione sul settimanale Il Mondo, 3 dicembre 2012

32.542 candidati gestiti, 28.474 dei quali ricollocati nel quadriennio 2009-2011. Tempo medio: 5,8 mesi. Come valuta il lavoro che svolgono oggi le società di outplacement in Italia?
I risultati del lavoro delle società di outplacement dimostrano quello che alla quasi totalità degli italiani è del tutto ignoto: cioè che anche in questo periodo di recessione grave il mercato del lavoro nel nostro Paese produce, eccome, occasioni di lavoro in tutti i settori e per tutti i livelli professionali. Più precisamente, quasi nessuno sa che in Italia nel corso di ciascuno degli ultimi tre anni sono stati stipulati circa due milioni di contratti di lavoro regolare a tempo indeterminato. Il fatto è che oggi a queste opportunità di occupazione si accede quasi soltanto attraverso reti parentali, amicali, politiche o professionali. Il risultato è che chi non ha a disposizione queste reti ha l’impressione che il mercato del lavoro sia un buco nero, o comunque un luogo pericoloso, una trappola infernale.

Qual è e quale potrà essere in futuro l’impatto   [del testo unico e – non so a quale testo unico lei si riferisca qui]   della legge Fornero su questa forma di servizio al mercato del lavoro?
La legge Fornero, n. 92/2012, si limita a enunciare la necessità di un utilizzo sistematico dei servizi di assistenza intensiva per la ricollocazione dei lavoratori che perdono il posto nelle crisi occupazionali. È poco più che una norma programmatica. Nel mio Codice del lavoro semplificato (d.d.l. n. 1873/2009) propongo invece che, per i rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti, l’intero costo del licenziamento, così come determinato dalla legge Fornero, sia destinato a garantire la sicurezza economica e professionale del lavoratore nel passaggio dal vecchio posto al nuovo. Questo è possibile stabilendo che l’impresa interessata, in cambio dell’esenzione dal controllo giudiziale sul motivo economico-organizzativo del licenziamento, sia vincolata ad offrire al lavoratore licenziato un servizio di outplacement; con la clausola che in caso di mancata ricollocazione entro il primo anno graverà sull’impresa stessa un trattamento complementare di disoccupazione per l’anno successivo. In questo modo si attiverebbe un forte incentivo per l’impresa a scegliere l’agenzia migliore; e questa a sua volta svolgerebbe quel controllo sulla disponibilità effettiva del lavoratore, del quale il servizio pubblico oggi è totalmente incapace.

Si parla molto del ruolo che il supporto alla ricollocazione potrebbe avere in un mercato del lavoro che privilegi le politiche attive rispetto a quelle passive. Ma le società italiane del settore sono abbastanza strutturate per svolgere un ruolo da protagoniste in questo mercato?
La mia proposta è quella di incentivare le imprese che licenziano a servirsene. Poi sarà la domanda stessa a produrre l’aumento dell’offerta in questo settore; e sarà la concorrenza tra operatori a garantire la qualità. Se poi le Regioni offriranno di coprire tre quarti o quattro quinti del costo standard di mercato del servizio di outplacement, utilizzando i contributi del Fondo Sociale Europeo di cui oggi non riusciamo neppure a usufruire, il sistema sarebbe perfettamente in grado di andare a regime rapidamente e funzionare in modo eccellente, facendo risparmiare denaro alle casse pubbliche (trattamenti di Cassa integrazione a perdere e di disoccupazione) e alle imprese (trattamento complementare di disoccupazione per il secondo anno, in caso di mancata ricollocazione del lavoratore).

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