LE SCELTE DI SCELTA CIVICA PER IL NUOVO GOVERNO

L’APERTURA DI BERSANI AL MOVIMENTO 5 STELLE PUÒ ESSERE UTILE PER EVIDENZIARE LA SUA NON DISPONIBILITÀ A CONTRIBUIRE AL GOVERNO DEL PAESE SECONDO LA COSTITUZIONE IN VIGORE – L’ERRORE GRAVISSIMO, PER FORTUNA CORRETTO DAL PD, CONSISTEVA NELL’ESCLUDERE QUALSIASI ALTRA SOLUZIONE DELLA CRISI

Testo integrale dell’intervista a cura di Claudio Cerasa, pubblicata dal Foglio l’8 marzo 2013 con alcuni tagli per motivi di spazio

“Le elezioni? Non sarebbero una follia. Un governo con Grillo? A certe condizioni si potrebbe. Se Renzi fosse in campo? Beh, in quel caso…”. L’improvviso anche se non imprevedibile passaggio di Mario Monti dallo status di grande e supremo salvatore della patria a quello di inconsolabile capo di un piccolo partito così piccolo da non essere in grado di svolgere neppure la classica azione-stampella tradizionalmente esercitata da molti piccoli partiti italiani ha contribuito, come è naturale, a far calare l’attenzione attorno al mondo del professore bocconiano. Ma nonostante ciò, e nonostante il magro bottino raccolto alle elezioni dalla Lista montiana (10 per cento, 47 deputati, 19 senatori), si potrebbe dire, galileianamente parlando, che eppur qualcosa si muove. Che ci sia un piccolo anche se impercettibile movimento nell’universo montiano lo dimostrano non solo quelle parole sussurrate mercoledì dal presidente del Consiglio uscente ma anche i molti (e probabilmente ultimi) appuntamenti istituzionali convocati da Monti a Palazzo Chigi. Martedì è stata la volta di Renzi, nelle prossime ore, prima del Consiglio Ue del 14 marzo, sarà la volta di Bersani, di Alfano e probabilmente del “signor Grillo”. Ecco: ma cosa bolle in pentola tra i montiani? Che intenzioni hanno? Cosa progettano? Che governo sognano? Abbiamo girato queste domande al senatore (montiano) Pietro Ichino e ne è venuta fuori una conversazione utile a capire cosa ne sarà, in questa o nella prossima legislatura, di quel 10 per cento incassato alle elezioni.

Primo punto, è vero che l’unico governo al quale votereste la fiducia è un governo formato, oltre che da voi, anche dal Pd e dal Pdl?
Non è così. L’unico governo cui voteremmo la fiducia è quello che tenga ferma la barra del timone sul mantenimento degli impegni assunti dall’Italia in Europa; condizione indispensabile per consentire all’Italia stessa di svolgere un ruolo di protagonista nella costruzione del nuovo sistema di governo dell’economia europea. Potrebbe anche accadere che un governo di questo genere venisse sorretto dal voto di una parte soltanto di una delle forze politiche maggiori in campo. Compreso il M5S.

Non è una scelta doverosa quella di Bersani di rivolgersi al Movimento 5 stelle per tentare di fare un governo?
Dal suo punto di vista sì. E non soltanto dal suo punto di vista: in questo modo Bersani rende a tutti un buon servizio,  costringendo il M5S ad assumersi tutte le proprie responsabilità, mettendo allo scoperto la propria non disponibilità a contribuire al governo del Paese nel quadro costituzionale vigente.

Dunque, un centrosinistra che cerca di giocare di sponda con Beppe Grillo non tradisce i suoi elettori.
Per il motivo che ho appena detto, mi sembra che questa prima mossa di Bersani non sia giusta soltanto dal punto di vista  della parte politica che lui rappresenta, ma anche utile per tutto il sistema politico nazionale, per il chiarimento che essa porta con sé. Lo è, però, soltanto se depurata dell’ultimatum con cui lo stesso Bersani la aveva presentata inizialmente: cioè della indisponibilità del Pd per alcuna altra soluzione possibile della crisi. Quella era davvero una sciocchezza molto pericolosa, che per fortuna è stata  corretta dalla Direzione del Pd di mercoledì.

Perché le elezioni a ottobre, pur essendo uno choc come detto da Monti, sarebbero l’unica soluzione possibile per combattere le pulsioni anti europeiste?
Dar vita a un governo su posizioni incompatibili con la strategia europea dell’Italia costituirebbe la premessa per un disastro sicuro. Meglio, allora, nella speranza di sventare il disastro, ridare la parola agli elettori: questa volta sulla vera alternativa di fronte a cui ci troviamo, cioè pro o contro quella strategia.

Lei sarebbe favorevole a una proroga, anche temporanea, di Giorgio Napolitano al Quirinale?Sì: mi parrebbe un elemento di garanzia e di stabilità del sistema, prezioso in questa situazione di incertezza istituzionale gravissima. Non ci sarebbe bisogno di un suo consenso preventivo formale: potrebbe essere lui, a seguito di un voto del Parlamento a larghissima maggioranza, ad accettare avvertendo che si dimetterà appena superata la crisi.

Nel centrosinistra qualcuno suggerisce in queste ore che una buona soluzione per guidare un governo di larghe intese potrebbe essere lo stesso Napolitano. È un’ipotesi sensata?
È una delle soluzioni di cui disponiamo. Ma se lui fosse disponibile a rimanere in campo, sarebbe meglio che vi rimanesse nel suo ruolo attuale.

Se si dovesse andare al voto a ottobre, Renzi potrebbe essere il candidato giusto per far convergere il percorso di Scelta civica con quello del Pd?
Se questa candidatura si accompagnasse a un programma simile a quello con cui Matteo Renzi si è presentato alle primarie dell’autunno scorso, sì.

Perché non voterebbe la fiducia a un governo Bersani che parte dalle otto proposte presentate ieri?
La fiducia si dà a persone in carne e ossa: le persone contano, sul piano programmatico, molto più delle proposte, soprattutto quando esse sono estremamente generiche, come quelle presentate da Bersani. Tanto generiche, che possono assumere valenze diversissime riguardo alla questione cruciale, cioè alla nostra strategia europea, a seconda del modo in cui le si attuano.

 

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