IL DIBATTITO SULLE PRIME LINEE DI POLITICA DEL LAVORO ANNUNCIATE DAL GOVERNO

RESOCONTO STENOGRAFICO DELL’INTERVENTO DI PIETRO ICHINO SULLE DICHIARAZIONI PROGRAMMATICHE DEL MINISTRO DEL LAVORO E DEL WELFARE MAURIZIO SACCONI – 25 GIUGNO 2008

Signor Ministro, farò alcune osservazioni innanzitutto su due punti rispetto ai quali ritengo di potere esprimere un sostanziale consenso con quanto da lei esposto, salvo qualche dubbio di coerenza tra quanto da lei affermato in linea di principio e quanto preannunciato in concreto: su quest’ultimo piano, dunque, due punti di dissenso.

Un primo punto di consenso riguarda quello da lei definito metodo sperimentale, che può costituire una scelta metodologica di grande importanza e potrebbe assumere il valore di una svolta istituzionale, connotando questa legislatura, sul piano della politica del lavoro, come decisamente innovativa rispetto a stagioni nelle quali ha prevalso uno scontro determinato più da opzioni di principio che da una valutazione degli effetti reali di ciò di cui si discuteva. Su questo punto, dunque, vi è pieno consenso, interesse e desiderio di veder concretare questa opzione in misure concrete.

Sul piano operativo, il metodo sperimentale richiede che ci si attrezzi per la misurazione e la valutazione: l’Italia, da questo punto di vista, è all’anno zero o, almeno, porta due decenni di ritardo rispetto ai Paesi più avanzati. Vogliamo dare una svolta operativa, strutturale e decisa su questo piano? Potremmo allora incominciare a realizzare quell’incrocio sistematico, permanente, fra dati ISTAT, dati INPS e dati dell’indagine della Banca d’Italia sulle famiglie. Ciò consentirebbe, finalmente, di disporre di un data-set dinamico permanente, in costante aggiornamento e a disposizione per indagini longitudinali che, notoriamente, sono quelle che meglio danno la misura degli effetti delle politiche del lavoro poste in essere.

Il fatto che l’Italia non disponga di questo data-set dinamico è una delle cause del carattere troppo ideologico di tanti nostri dibattiti. Quest’operazione, però, va compiuta subito: se vogliamo davvero inaugurare una nuova stagione dobbiamo muoverci immediatamente in questo senso. Per questo aspetto l’Italia ha fatto addirittura dei passi indietro negli ultimi decenni. Signor Ministro, nella mia precedente legislatura – un quarto di secolo fa, poiché io procedo per multipli di otto: la mia legislatura precedente era l’ottava – eravamo entrambi membri della Commissione Lavoro dell’altro ramo del Parlamento. Lei ricorderà, dunque, che all’epoca l’ISFOL produceva tabelle interessantissime contenenti, per ciascuna Regione, il tasso di coerenza della formazione impartita dai centri di formazione finanziati mediante denaro pubblico, con gli sbocchi occupazionali effettivi degli allievi. Quelle tabelle costituivano un indice di fondamentale importanza circa l’efficacia della spesa pubblica in servizi di formazione. Lei ricorderà anche come questo dato abbia smesso di essere pubblicato verso la metà degli anni Ottanta; e saprà che oggi non ne disponiamo in modo sistematico: esistono soltanto alcune ricerche svolte occasionalmente. All’epoca, comunque, il dato era molto negativo: indicava un tasso di coerenza della formazione impartita con gli sbocchi reali inferiore al 50 per cento, su base nazionale; più di metà della spesa italiana, dunque, era buttata via. Non credo che le cose siano molto migliorate, da allora. Se vogliamo cominciare a ragionare in termini nuovi, comunque, non possiamo non tornare a dotarci di quello strumento di osservazione di cui ci siamo privati – non so perché ‑ verso la metà degli anni Ottanta.

In questa stessa logica, non sarebbe il caso che nel presentare le prime misure che intende adottare il Governo cominciasse a corredarle di dati sulla realtà alla quale queste misure sono destinate ad applicarsi? Questo ci aiuterebbe a discuterne in modo più concreto. Per esempio, sento che il Governo intende intervenire sui contratti a termine prorogati oltre il trentaseiesimo mese. Vogliamo chiederci quanti sono i casi del genere e a quali entità ci stiamo riferendo? Se non altro, ciò eviterebbe il ripetersi di battaglie cruente su questioni di modesta entità quantitativa, se non di rilievo del tutto marginale.

Venendo a un argomento che non ha certamente rilievo marginale, conosciamo già un dato che ci è fornito dalla scienza economica: l’offerta di lavoro femminile è molto elastica, cioè risponde con rilevanti variazioni all’aumento della retribuzione; molto più di quanto sia elastica l’offerta di lavoro straordinario, cioè di lavoro marginale rispetto all’orario normale.

 SACCONI, ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. Senatore Ichino, pensi ai contratti di inserimento: non hanno funzionato.

 ICHINO (PD). I contratti di inserimento sono rivolti indifferentemente a uomini e donne. L’economia del lavoro ci dice che l’elasticità dell’offerta di lavoro femminile nel mercato è nettamente più alta rispetto all’offerta di lavoro maschile. Ciò significa che l’utilizzazione di risorse per la detassazione riferita al lavoro femminile avrebbe un’efficacia maggiore rispetto al medesimo investimento indirizzato alla detassazione del lavoro straordinario. Questo dovrebbe indurci a riflettere, anche perché su un obiettivo c’è piena concordanza tra noi: occorre rilanciare il tasso di crescita dell’economia nazionale. Dobbiamo chiederci se diamo un contributo maggiore puntando quel poco di cui disponiamo sul lavoro straordinario o se non daremmo invece una spinta nettamente superiore investendo quelle risorse sull’aumento del lavoro femminile.

Sul medesimo punto resta aperta la questione degli incentivi alla contrattazione aziendale e dei premi di produzione collegati alla performance: vorremmo sapere concretamente e con maggiore precisione quanto si vuole investire sull’incentivazione del lavoro straordinario e quanto invece residuerà, al netto di questa operazione, per l’incentivazione del lavoro variabile e comunque della corresponsione della componente del salario legata al risultato.

SACCONI, ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. È un tutt’uno: può essere anche il 100 per cento.

ICHINO (PD). Allora, se è tutt’uno, prevedendo, ad esempio, che il limite sia di 3.000 euro l’anno, oppure sia fissato al 4 per cento della retribuzione annua, vogliamo chiederci quanto di questo sarà presumibilmente assorbito dal lavoro straordinario e quanto invece resterà a disposizione per l’altro obiettivo che il Governo enuncia ‑ e che il PD condivide ‑, cioè quello di incentivare la contrattazione aziendale?

Un altro punto su cui conveniamo in linea di principio – ma su cui vediamo una incoerenza nell’azione preannunciata dal Governo ‑ è l’obiettivo della flexicurity. Nel programma elettorale del Partito Democratico questo era posto come obiettivo strategico di politica del lavoro: su di esso vi è quindi pieno consenso. Ci chiediamo, però, come il Governo intenda affrontare il problema di un mercato gravemente spaccato in due, con una metà della forza lavoro protetta e un’altra metà poco protetta o non protetta per nulla. Nel programma che lei ci ha esposto vediamo il Governo, nella ricerca di nuovi spazi di flessibilità, andare a rosicchiarli esclusivamente nell’area del lavoro poco a termine, di quello a termine o atipico. Questo non mi sembra affatto coerente con l’obiettivo generale della flexicurity. La flexicurity è un’altra cosa: significa un sistema capace di coniugare la flessibilità di tutti i rapporti di lavoro con la sicurezza che viene garantita a tutti nei processi di mobilità, di aggiustamento industriale. Esattamente il contrario del dualismo del mercato del lavoro, che scarica su una sola metà dei lavoratori tutta la flessibilità di cui il sistema ha bisogno; e che in questo modo verrà rafforzato.

Il Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività prevedeva l’abrogazione del job on call (forma di lavoro intermittente), anche se poi questa previsione è stata temperata consentendo la deroga – che mi sembrava molto ragionevole – ad opera della contrattazione collettiva nei settori del turismo e dello spettacolo: questo è effettivamente il settore in cui il job on call effettivamente è praticato in misura apprezzabile. Quel Protocollo non prevedeva invece l’abrogazione dello staff leasing, che è una forma di lavoro a tempo indeterminato e stabile, ben coniugato con la flessibilità richiesta dalle imprese; non si comprende davvero perché esso sia stato abrogato in funzione del contenimento del lavoro precario, dal momento che lo staff leasing non è affatto una forma di lavoro precario. Vedrei quindi favorevolmente, nell’ottica di un intervento legislativo che voglia armonizzarsi con le scelte dell’autonomia collettiva, del sistema di relazioni industriali, un intervento sullo staff leasing piuttosto che sul job on call, su cui mi pare si sia giunti ad una soluzione di compromesso in coerenza con quanto deciso dalle parti sociali.

Ciò premesso, vorrei entrare nel merito di due questioni più specifiche menzionate nell’esposizione del ministro. La prima concerne le cosiddette “dimissioni in bianco”. Non discuto la scelta di azzerare quanto disposto dalla passata maggioranza, anche perché – qui parlo a titolo strettamente personale ‑ anch’io avevo qualche perplessità in merito a taluni aspetti di quell’intervento legislativo, peraltro votato all’unanimità alla Camera nella scorsa legislatura; e, al Senato, approvato con il voto favorevole di una parte cospicua della maggioranza attuale. Ma guardiamo avanti e non indietro: se il problema delle dimissioni in bianco esiste – e anche le forze politiche dell’attuale maggioranza ne sono convinte, come si è visto – vogliamo provare a rispondere con una misura che possa risultare persino più efficace, per sradicare quel fenomeno, di quella varata con voto bipartisan nella scorsa legislatura? La proposta è di istituire il diritto di ripensamento del lavoratore – con revoca del recesso ‑ entro il termine di pochi giorni e definire l’illecito penale di simulazione fraudolenta di recesso dal rapporto di lavoro. L’atto di dimissioni firmato in bianco può essere già oggi qualificato come simulazione fraudolenta: precisarlo non porterebbe sostanzialmente un aggravamento dell’apparato sanzionatorio penale, ma soltanto un opportuno chiarimento. Credo che la maggioranza e il Governo siano d’accordo su questa definizione e non voglio pensare che difendano la prassi del far firmare ai dipendenti la lettera di dimissioni in bianco.

SACCONI, ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Ovviamente è d’accordo.

ICHINO (PD). Se il Governo ritiene che il fenomeno delle dimissioni in bianco sia un male, ma che la soluzione adottata nella precedente legislatura non sia il modo migliore per affrontare la questione, vogliamo adottare un’altra misura che non comporti alcuna complicazione gestionale, salvo un impedimento efficace contro la frode alla legge, contro quella vera e propria estorsione che i datori di lavoro scorretti predispongono col far firmare ai propri dipendenti le dimissioni in bianco? Oltre tutto, sarebbe l’occasione per perfezionare gli strumenti di prevenzione, estendendo la nuova fattispecie di illecito anche alla risoluzione consensuale;  il ministro sa bene che, fatta la legge, si è subito trovato l’inganno e dall’entrata in vigore della legge n. 188/2007 non si fanno più firmare atti di dimissioni in bianco, ma atti di risoluzione consensuale, con il risultato che la legge è gabbata e l’obiettivo è comunque raggiunto.

       Un’altra questione scottante che il Governo deve affrontare è quella degli infortuni sul lavoro, della prevenzione degli incidenti e della promozione della sicurezza. Tutti i dati di cui disponiamo mostrano la stretta correlazione esistente tra tasso di lavoro irregolare e numero di infortuni gravi: ciò vale sia nel confronto internazionale, sia nel confronto tra regioni nell’ambito del territorio nazionale; ciò significa che assume un rilievo decisivo in questa materia anche l’attività ispettiva volta a stanare il lavoro nero: questa attività ispettiva incide – sia pure indirettamente – anche sul piano prevenzionistico. Abbiamo la necessità di potenziare l’ispezione, soprattutto sul versante di quella dedicate specificamente alla prevenzione antinfortunistica, svolta dagli ispettorati delle ASL. In entrambi i campi, ora di competenza del Ministro del welfare e della salute, vi è una situazione di grave difetto di organici negli ispettorati. Viceversa, vi è una situazione di overstaffing, di sovradimensionamento degli organici e di cattiva utilizzazione del personale, in altri comparti delle stesse amministrazioni e anche di altre. Vogliamo cominciare con il compiere un’operazione a costo zero, o magari con costi molto modesti, che consiste nello spostare personale male utilizzato in altri comparti del Ministero per fargli svolgere il ruolo di assistenza agli ispettori. L’operazione comporterebbe un grande potenziamento dell’attività degli ispettori, che è fatta in parte consistente di attività amministrative di routine, che possono essere delegate a un assistente. Se ogni ispettore potesse avvalersi di uno o due assistenti, la sua capacità ispettiva ne risulterebbe fortemente potenziata. Non ci sarebbe bisogno di trasferire personale da Bari a Milano, ma si tratterebbe di trasferirlo, nella stessa Milano, da via Lepetit a via Vincenzo Monti. In questo modo otterremmo un forte potenziamento di questo comparto dell’amministrazione e un sensibile miglioramento nell’attività prevenzionistica.

 

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