LAVORO: QUEL CHE HA FATTO IL GOVERNO E QUEL CHE AVREI FATTO IO

SUL LAVORO PUBBLICO IL GOVERNO HA IL MERITO DI AVER ACCOLTO ALCUNE LINEE-GUIDA PROPOSTE DAL PD. SUL MERCATO DEL LAVORO, INVECE, SI ASSISTE A UN IMMOBILISMO SCONCERTANTE

Intervista a cura di Vittorio Zincone, pubblicata sul Corriere-Magazine il 30 aprile 2009

Pietro Ichino, 60 anni, di cui gli ultimi sette vissuti sotto scorta, è il giuslavorista del Pd meno amato dal sinistrismo italiano. Abolizionista sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e gran cerimoniere del welfare danese, nella primavera scorsa è stato pure oggetto di un corteggiamento berlusconiano. Dopo aver dato buca al Cavaliere è rimasto comunque nei cuori dei pidiellini, che ogni tanto provano a tirarlo per la giacca per dimostrare che le riforme del centrodestra sono apprezzate anche dal Pd (“Ichino dice cose simili, quindi…”).
Lo incontro nello studio legale che fu del nonno e del padre. Tre piani tappezzati di volumoni foderati. Ne apro uno a caso e mi trovo di fronte a una poesia di Bertolt Brecht che più operaista non si può (“Tebe dalle sette porte, chi la costruì?). Essendo Ichino, con i suoi articoli sul Corriere, il capofila della lotta al fannullonismo, gli chiedo di cominciare da qui. Alla vigilia della festa dei lavoratori, partiamo con la guerra ai non lavoratori.

Come se la sta cavando il ministro Brunetta?
“L’apparato sta frenando la riforma”.

E Brunetta lascia fare?
“Girano bozze di decreti un po’ deboli. Ma Brunetta ha avuto la grande intuizione di cogliere l’insofferenza dei cittadini nei confronti delle inefficienze pubbliche. E poi ha aperto ai nostri contributi”.

Il Pd sta aiutando Brunetta?
“E’ lui che ha accolto le nostre linee guida: trasparenza totale, valutazione e il benchmarking”.

L’amministrazione pubblica come una casa di vetro?
“Questo dovrebbe essere l’obiettivo”.

Brunetta ha introdotto gli emoticon: i simboletti con cui i cittadini possono valutare i servizi.
“E’ una cosa buona. Ma bisogna fare di più. Si devono rendere visibili in rete gli indici sui quali va valutato ogni ufficio: quanto ci mette a fornire un certificato, il tempo che intercorre tra una chiamata urgente e l’arrivo di una pattuglia e così via. Così i cittadini poi possono confrontare le diverse amministrazioni e chiedere conto alla politica del perché delle differenze”.

E votare di conseguenza?
“Abbandonando il voto ideologico. Da milanese vorrei conoscere meglio la vigilanza urbana meneghini. A Stoccolma basta un clic su un sito, qui è difficile sapere quanti agenti sono in strada e quanti in ufficio”.

Certi controlli però ci sono. Brunetta ha introdotto i tornelli nei ministeri.
“E’ più una misura di facciata che di sostanza”.

Ai cittadini non dispiace sapere che gli impiegati pubblici abbiano difficoltà a svignarsela dal lavoro.
“Certo. Ma dovrebbe essere il dirigente di ciascun ufficio ad adottare le misure di controllo opportune, caso per caso, rispondendo del tasso di assenze”.

Dirigenti. Il governo Berlusconi ha tolto il tetto di 289.000 euro agli stipendi dei manager pubblici.
“Se un manager raggiunge un obiettivo da cento milioni, per me può guadagnare anche un milione l’anno”.

Ma in Italia si viene liquidati con milioni di euro anche dopo aver fatto fallire le aziende di Stato.
“Questo è il vero scandalo”.

E’ vero che il ministro del Welfare, Sacconi, è pronto a valutare le sue proposte sulla flexsecurity?
“Non lo so. Per ora, sul lavoro, il governo è in pieno immobilismo legislativo”.

Perché secondo lei?
“Dopo la sconfitta del 2002 hanno interiorizzato il tabù: l’intoccabilità dell’art. 18 e dello Statuto dei lavoratori”.

Lei rivedrebbe entrambi?
“Sì”.

In Italia si vede molta flex e molta poca security.
“Oggi da noi ci sono gli ultra-garantiti e gli zero-garantiti. I secondi portano il peso di tutta la flessibilità di cui il mercato ha bisogno”.

Lei propone un contratto unico a tempo indeterminato, da barattare con l’abolizione dell’articolo 18, e cioè con la possibilità di licenziare.
“Messa così non mi piace. Io propongo uno standard universale di sicurezza che si applichi a tutti i diversi rapporti di lavoro dipendente: dall’apprendistato, al part time, al telelavoro. Senza toccare i diritti di chi ha già un contratto stabile”.

Come dovrebbe funzionare?
“Le imprese garantiscono al lavoratore licenziato sostegno del reddito e servizi di riqualificazione. Prima riescono a ricollocarlo e meno spendono”.

Detta così sembra tutto semplice.
“Io faccio sempre l’esempio del musicista norvegese che perde la mano”.

E…
“Invece di dargli un vitalizio per invalidità permanente come succederebbe in Italia, lo spediscono a fare un master in Canada per riconvertirlo in un insegnante di storia della musica”.

Chi si oppone a questa flexsecurity?
“Molti dirigenti di Cisl e Uil sono d’accordo. E a livello locale anche molti della Cgil. A Bergamo stanno contrattando progetti di flexsecurity. Emma Marcegaglia, la presidentessa di Confindustria ha preso posizione a favore del progetto. Guglielmo Epifani, invece… Diciamo che la dirigenza nazionale della Cgil è più legata ai vecchi schemi”.

Come si deve comportare il Pd con la Cgil?
“Il Pd è nato anche per recidere le cinghie di trasmissione con il sindacato”.

Il segretario Dario Franceschini però era al Circo Massimo per la grande manifestazione cigiellina.
“Il principio di autonomia dovrebbe suggerire a tutti i dirigenti politici di non interferire nel lavoro dei sindacalisti. E viceversa”.

La sinistra e la flexsecurity.
“La linea di demarcazione tra riformisti e conservatori attraversa trasversalmente l’intero arco politico”.

Chi sono i conservatori del Pdl?
“In materia di lavoro, ci metterei senz’altro Tremonti”.

Nel Pd, Cesare Damiano…
“E’ il più contrario alla transizione verso la flexsecurity”.

Altri contrari?
“La vecchia sinistra-sinistra”.

Veltroni? D’Alema?
“Veltroni mi ha voluto alla Camera per le mie idee. D’Alema è dal 1997 che le ha fatte sue”.

Lei piace anche a destra. Come le è arrivata la proposta di fare il ministro per il governo Berlusconi?
“La mattina all’alba mi chiamò Gianni Letta e poi nel pomeriggio il Cavaliere. Mi disse che saremmo andati d’accordo e che la pensava come me su tutto. Mi spiegò che avrei dovuto fare da garante di una politica del lavoro bi-partisan. Replicai che avrei voluto capire di quali riforme parlava. Oggi sono evidenti le differenze tra quel che avrei fatto io e quel che sta facendo Sacconi”.

Un esempio?
“Io avrei proposto subito la detassazione del lavoro femminile”.

Lei è anche favorevole all’innalzamento dell’età pensionabile delle lavoratrici.
“Graduale. Ma è una scelta obbligata. E ogni euro risparmiato andrebbe reinvestito in asili nido”.

Lo dice anche il ministro Brunetta.
“Ma lui non è il ministro competente in questa materia. Sacconi, che è competente, è contrario”.

Anche il Pd non vuole toccare le pensioni.
“Quando ho accettato la candidatura nel Pd, ho fatto un patto con Veltroni e con Martina, il segretario lombardo”.

Quale patto?
“Il rispetto della disciplina di partito nel voto in Senato, ma continuando a dire e scrivere tutto quel che penso”.

Lei prima di questa legislatura era già stato in Parlamento.
“Tra il 1979 e il 1983. Per entrare alla Camera interruppi la mia esperienza nella Cgil”.

Quando era entrato nel sindacato?
“Nel 1969. Dopo essere stato cacciato dal Movimento studentesco”.

Cacciato?
“Il collettivo di Giurisprudenza considerava inaccettabili le mie idee. Una scaramuccia, con esiti stalinisti”.

Ad Andrea Marcenaro, di Panorama, ha raccontato di venire da una famiglia cattolica.
“Ho sempre fatto parte del mondo cattolico, anche se con qualche venatura protestante”.

Perché non aderì alla Cisl, allora?
“Ero iscritto al Psiup, poi al Pci. Un Pci che ambiva a rappresentare tutto il riformismo. Era la Cgil a rappresentare quei partiti nel mondo del lavoro”.

Col Pci entrò a Montecitorio.
“Una sola legislatura. Non venni riconfermato”.

Perché?
“Nel 1982 uscì il mio libro Il collocamento impossibile. E nel Pci le critiche al monopolio statale del collocamento non erano gradite: mi diedero del «borghese di destra»”.

C’era qualcuno nel partito che apprezzava le sue tesi?
“Giorgio Napolitano, allora capogruppo alla Camera. Mi incoraggiava. E lo fa anche oggi sulla mia proposta di flexsecurity”.

Lei che cosa votò al referendum sulla scala mobile, nel 1984?
“Votai come la Cisl. E’ stato quello il momento in cui si è aperta la faglia tra la sinistra riformista e quella conservatrice, incapace di superare i tabù e guardare lontano”.

Piero Fassino nel libro Per passione dice che in quel momento Craxi vinse la partita a scacchi con Berlinguer sulla modernizzazione.
“E’ vero. Berlinguer non aveva capito quel che avevano capito sia Lama sia Craxi”.

Ha mai pensato di iscriversi al Psi?
“No. Il Psi galleggiava troppo tra salottismo e affarismo”.

Lei ha ricevuto minacce dalle Nuove Br e vive sotto scorta. Nel 1978, durante il rapimento Moro, era a favore o contro la fermezza ?
“Con la linea della fermezza abbiamo sconfitto le Br”.

Ma Moro è stato trucidato.
“Se lo Stato avesse trattato, le Br si sarebbero accreditate nel sistema politico. Come gli Ezbollah in Libano. Un tempo ci chiedevano di rischiare la vita sul Carso, ora la trincea è questa: la lotta al terrorismo”.

Chi le disse che le Br la puntavano?
“La Digos, nel 1999, dopo l’omicidio D’Antona. All’inizio non lo comunicai a mia moglie, per non aumentare l’ansia. Per un po’ uscendo di casa ho pensato: è qui che morirò. La scorta mi fu assegnata solo nel 2002”.

Ha scritto che uno dei dispiaceri della vita sotto scorta è la rinuncia alla bicicletta. Ha ripreso a pedalare?
“Ogni tanto, in montagna. I ragazzi della Guardia di Finanza mi seguono finché ce la fanno. Ma su certe salite…”.

Lei ha detto che vorrebbe incontrare i brigatisti. Ci è riuscito?
“No. In compenso ho sempre discusso con gli studenti che mi contestavano all’università. E alla fine hanno sempre riconosciuto il diritto di cittadinanza alle mie idee”.

E’ riuscito a parlare pure con Beppe Grillo? Lui l’ha criticata più volte.
“Ci ho provato, senza riuscirci”.

Perché lo voleva incontrare?
“Grillo ha scritto un libro per sostenere che la legge Biagi è la causa del lavoro precario. Ho studiato i casi che cita nel volume: nemmeno in uno, su trecento, la colpa della precarietà è attribuibile alla legge Biagi”.

La vulgata è questa: legge Biagi uguale precarietà.
“La legge Biagi semmai ha posto degli argini al lavoro precario. Il pacchetto Treu del 1997, durante il primo governo Prodi, ha liberalizzato il mercato molto di più. Ho sfidato Grillo a un confronto pubblico sulla legge Biagi, ma si è ben guardato dall’accogliere la sfida”.

Grillo è un simbolo anti-Casta. Lei si sente di far parte di una casta?
“Come professore o come deputato?”.

Scelga lei.
“Ero un professore molto presente, mai implicato in baronie. E i dati del mio reddito sono on line: da senatore guadagno la metà di quel che guadagnavo da professore/avvocato/autore”.

I parlamentari sono dei privilegiati?
“Alcune assurdità ci sono. Il trattamento pensionistico andrebbe riformato. E poi qualche benefit è di troppo. Ma una buona metà dei dirigenti di azienda è pagata di più”.

Molti onorevoli pagano in nero i loro assistenti.
“La mia assistente ha un contratto da dipendente”.

Ci mancherebbe altro. Metterebbe la mano sul fuoco sul fatto che i suoi colleghi…
“Nemmeno un’unghia”.

A cena col nemico?
“Con l’avversario. Sacconi”.

Lei ha un clan di amici?
“Ne cito uno: Franco Debenedetti. Qualche anno fa, senza conoscermi mi chiese di tradurre il mio libro Il lavoro e il mercato in tre disegni di legge”.

L’errore più grande che ha fatto?
“Ne ho fatti?”.

La canzone ?
“Yellow Submarine. Il pezzo più bello mai scritto”.

Il libro?
“Il Diario di Etty Hillesum, un modello esistenziale”.

Il film?
“Gran Torino. L’umanità che si impone sugli schemi”.

I confini dell’Iran?
“Turchia, Afghanistan, Iraq, Russia…”.

La Russia no.
“La Russia sì”.

Le dico di no: Armenia, Azerbaijan…
“Intendevo l’ex Unione sovietica”.

Quanto costa un litro di latte?
“Oggi quello di buona qualità anche due euro”.

L’articolo 7 della Costituzione?
“Da cristiano sarei per abolirlo. Da politico so che in Italia non si può”.

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