APPALTI PUBBLICI: NON SI DIFENDONO I LAVORATORI INGESSANDO I POSTI DI LAVORO

LE MODIFICHE APPORTATE ALLA LEGGE TENDONO A DIFENDERE A TUTTI I COSTI LA CONTINUITÀ DEL RAPPORTO DI LAVORO DEGLI ADDETTI A SERVIZI PUBBLICI; MA QUESTO MODO SBAGLIATO DI PROTEGGERLI, OLTRE A PORSI IN CONTRASTO CON NORME COSTITUZIONALI ED EUROPEE, FINISCE COL RECARE DANNO A LORO STESSI E AGLI UTENTI

Relazione svolta il 1° dicembre 2015 alla Commissione Lavoro del Senato sul disegno di legge n. 1678-B – Segue il parere sul disegno di legge approvato dalla stessa Commissione Lavoro del Senato il 10 dicembre 2015

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Relazione del senatore Pietro Ichino alla 11ma Commissione Permanente, Lavoro e Politica sociale, sul disegno di legge n. 1678-B, Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture

Il disegno di legge avente per oggetto l’attuazione delle direttive europee in materia di appalti e relative procedure torna all’esame del Senato in terza lettura dopo che la Camera dei Deputati ha apportato numerose e rilevanti modifiche al testo uscito dalla prima lettura. Si evidenziano in particolare alcuni aspetti di competenza di questa Commissione nell’articolo 1, comma 1, lettere ddd), fff) e ggg), e al comma 10 del medesimo articolo.

La lettera ddd) del comma 1 è stata modificata in seconda lettura con l’intendimento di introdurre nel sistema dei criteri di aggiudicazione degli appalti cui la nuova normativa si applicherà, di regole tendenti a privilegiare:

  • l’utilizzazione, almeno parziale, di “manodopera o personale a livello locale ovvero in via prioritaria gli addetti già impiegati nel medesimo appalto”;
  • “la continuità dei livelli occupazionali”, sia pure “in ottemperanza ai principi di economicità dell’appalto” cui faceva esclusivo riferimento il testo approvato in prima lettura.

In riferimento alla prima parte della disposizione, che intende privilegiare la “manodopera o personale a livello locale” va detto che la disposizione, attribuendo una priorità nell’assunzione alla manodopera già residente nel luogo di svolgimento dell’appalto, si pone in contrasto insanabile con il principio europeo della libera circolazione delle persone e dei lavoratori in particolare. Appare dunque indiscutibile la necessità di sopprimere questa parte della norma.

In riferimento alla seconda parte della disposizione sopra richiamata va detto invece che la libertà di concorrenza è in gran parte vanificata da una norma che imponga a tutte le imprese di svolgere una determinata attività con un determinato numero di dipendenti, con la conseguenza sostanziale di impedire che una maggiore produttività pro capite sia perseguita attraverso l’applicazione di nuove tecnologie e/o nuove forme di organizzazione del lavoro. Su questo punto la Corte di Giustizia è intervenuta con una prima sentenza (10 dicembre 1991, causa C-179/90, Merci convenzionali Porto di Genova c. Siderurgica Gabrielli, in Casi e materiali di Diritto Comunitario, a cura di P. Mengozzi, Padova, Cedam, 1994, p. 578), in seguito confermata da numerose altre, che ribadisce il divieto di normative nazionali tali da indurre le imprese “… a non servirsi della tecnologia moderna, con conseguente aumento dei costi delle operazioni e ritardi nella loro esecuzione”.

Per altro verso, sono facilmente prevedibili le gravi incertezze interpretative che possono derivare dalla contraddizione insita in una disposizione che impone di privilegiare al tempo stesso “la continuità dei livelli occupazionali” e “i principi di economicità dell’appalto”: cioè di perseguire due obiettivi che, soprattutto in un settore labour intensive, possono risultare in concreto tra loro antitetici.

La lettera fff) prevede l’introduzione di una disciplina specifica per gli appalti pubblici di servizi, “diversi da quelli aventi natura intellettuale”, “con particolare riguardo a quelli ad alta intensità di manodopera, definiti come quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”. In proposito, si prevede:

  • l’applicazione, per ciascun comparto, del “contratto collettivo nazionale di lavoro che presenta le migliori condizioni per i lavoratori”;
  • l’introduzione di “clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”.

In relazione al primo punto va rilevata la netta difformità del criterio selettivo del contratto collettivo applicabile qui indicato

– sia rispetto a quello indicato nella successiva lettera ggg) (della quale dirò tra breve), così determinandosi una contraddizione interna al testo legislativo: il criterio di cui alla lettera fff) è diverso da quello indicato, agli stessi fini pratici, dalla lettera immediatamente successiva;

– sia rispetto a quello previsto dall’articolo 36 dello Statuto dei Lavoratori e successive precisazioni della stessa norma (in particolare la legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 25), che adottano invece il criterio selettivo della rappresentatività comparativamente maggiore delle associazioni datoriali e sindacali firmatarie. È evidente quanto sia diverso, sul piano concettuale come su quello pratico, prevedere che debba applicarsi il contratto collettivo “che presenta le migliori condizioni per i lavoratori”, rispetto all’applicazione del contratto collettivo stipulato dalle associazioni maggiormente rappresentative, ben potendo darsi il caso che il contratto collettivo più vantaggioso per i lavoratori non sia quello stipulato dalle associazioni più rappresentative.

Quand’anche potesse prescindersi dall’ultima considerazione proposta, resterebbe comunque una disparità di normativa applicabile, per evvetto della disposizione in esame, per gli appalti pubblici di servizi labour intensive rispetto agli altri appalti pubblici. Poiché questa disparità di trattamento appare priva di qualsiasi giustificazione ragionevole, essa difficilmente supererebbe il vaglio di costituzionalità alla stregua del principio di trattamento eguale in situazioni eguali (art. 3 Cost).

In relazione al secondo punto (introduzione di “clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”) va invece osservato che in un settore labour intensive la competizione fra le imprese si svolge essenzialmente sul terreno della qualità delle risorse umane utilizzate. Ne consegue che, in questo settore, l’imposizione di un obbligo a carico dell’impresa vincitrice dell’appalto di assorbire il personale dipendente dall’appaltatrice precedente equivale a un sostanziale impedimento della concorrenza: si istituisce infatti una sorta di monopolio del servizio in capo all’insieme delle persone che di fatto lo stanno svolgendo.

Merita di essere ricordato, a questo proposito, il parere espresso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in riferimento a una disposizione del tutto analoga a quella qui in esame, contenuta in un disegno di legge anch’esso di natura molto simile a quello che è oggetto di questa relazione (art. 24 del disegno di legge comunitaria 1995-1997, A.S. n. 1780-B, nel corso della XIII legislatura), in materia di liberalizzazione dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti, espresso il 19 febbraio 1998, dove veniva denunciata l’incoerenza, per l’aspetto qui in esame, del disegno di legge comunitaria con la Direttiva:

“l’imposizione ai nuovi entranti dell’onere di assorbire manodopera eccedente può disincentivare l’ingresso sul mercato di nuovi operatori e può ridurne l’impatto concorrenziale, limitando in tal modo i benefici della liberalizzazione in termini di riduzione dei prezzi e miglioramento della qualità dei servizi”.

L’Autorità proseguiva osservando che

“Peraltro l’ingresso di nuovi operatori sul mercato dei servizi di assistenza a terra non necessariamente deve tradursi in una contrazione della domanda di lavoro nel settore. È invece possibile che l’apertura alla concorrenza del mercato in esame, comportando un aumento della qualità e una riduzione del prezzo dei servizi, possa determinare un aumento anche sensibile della domanda dei servizi stessi. Inoltre, appare probabile che almeno una parte della domanda di lavoro dei nuovi prestatori sul mercato dei servizi di assistenza a terra si indirizzi ai lavoratori che già operano in tale settore”;

donde – avvertiva in sostanza l’Autorità – una garanzia sostanziale di mantenimento, se non addirittura incremento, dei livelli occupazionali nel settore, anche se non di continuità dei singoli rapporti contrattuali di lavoro.

Anche in considerazione di questo parere il legislatore, in quell’occasione, modificò incisivamente il contenuto della disposizione, rendendola meglio conforme al principio comunitario di promozione e tutela della concorrenza anche in un mercato di servizi labour intensive.

La lettera ggg) del disegno di legge in esame reca la previsione di una disciplina specifica per gli appalti pubblici di lavori e servizi che stabilisca che con l’espressione “contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni” si intende indicare quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto e svolta dall’impresa, anche in maniera prevalente. Fin qui il testo originario approvato in prima lettura, che costituisce una specificazione della disposizione generale già contenuta nell’articolo 36 dello Statuto dei Lavoratori sopra citata, in linea con quanto già disposto su questa materia specifica dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 25.

Nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, la disposizione è stata, però, integrata con la previsione che la disciplina specifica dettata dal legislatore delegato:

– riguardi anche i servizi (su questo punto nulla quaestio); inoltre

“introduca clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”.

A proposito di quest’ultima integrazione richiamo i rilievi critici già proposti in riferimento alla lettera fff), aggiungendo soltanto questa osservazione: l’espressione “promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato” difficilmente può essere intesa in un senso diverso da quello di obbligare l’impresa subentrante nell’appalto ad assumere i dipendenti dell’appaltatrice precedente. Se questo è il significato della disposizione, essa contrasta con i principi di diritto europeo e gli orientamenti della giurisprudenza della Corte di Giustizia sopra richiamati.

Il comma 10, infine, dispone circa i cambi di appalto nel settore dei call centre.

Va qui osservato preliminarmente che la disposizione si colloca al di fuori della materia originaria del disegno di legge, applicandosi all’intera area degli appalti aventi a oggetto l’attività di call centre, anche a committenza privata, regolati dal codice civile e dalle leggi speciali (andrebbe pertanto quanto meno integrato il titolo del disegno di legge). Per altro verso, rispetto alla generalità degli appalti di servizi labour intensive, l’area cui la disposizione si applica è minore, essendo limitata al settore dei call centre: si pone dunque la necessità di una giustificazione della differenza di trattamento che si determina con l’imposizione di vincoli particolari applicabili solo agli appalti di servizi di call centre, e non agli altri appalti di servizi labour intensive. Altrimenti la censura di incostituzionalità per violazione del principio di parità di trattamento a parità di fattispecie appare insuperabile.

La disposizione prevede anche qui l’introduzione di una clausola sociale di riassorbimento occupazionale. In particolare, si stabilisce che:

  • in caso di successione di imprese nel contratto di appalto, il rapporto di lavoro di cui sono titolari le persone impiegate dall’appaltatore uscente continua con l’appaltatore subentrante secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
  • in assenza di specifica disciplina nazionale collettiva, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con proprio decreto adottato sentite le organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, definisce i criteri generali per l’attuazione del presente comma;
  • le amministrazioni pubbliche e le imprese pubbliche o private che intendono stipulare un contratto di appalto per servizi di call center devono darne comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali e alle strutture territoriali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

Richiamo a questo proposito tutte le osservazioni critiche già svolte in relazione alle lettere fff) e ggg).

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In base all’articolo 1 comma 1, il termine per l’emanazione del decreto legislativo di recepimento delle direttive in materia di appalti è fissato entro la data del 18 aprile 2016.

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Tanto premesso, mi riservo di formulare una proposta di parere alla conclusione della discussione.

Roma, 1° dicembre 2015

 

Parere della 11ma Commissione Permanente, Lavoro e Politica sociale, sul disegno di legge n. 1678-B
Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture

La Commissione esprime parere positivo circa il disegno di legge, con le osservazioni che seguono.

Si raccomanda alla Commissione di merito di verificare che la normativa in esame tenga insieme il soddisfacimento delle istanze di carattere sociale, come previsto dalle direttive comunitarie, con la normativa di parità di trattamento e con quella relativa alla concorrenza. Ciò con particolare riferimento alle disposizioni che prevedono:

  • alla lettera ddd) del comma 1, l’utilizzazione, almeno parziale, di “manodopera o personale a livello locale ovvero in via prioritaria gli addetti già impiegati nel medesimo appalto”;
  • alla lettera fff) del comma 1, in riferimento agli appalti pubblici di servizi “ad alta intensità di manodopera, definiti come quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”, l’applicazione, per ciascun comparto, del “contratto collettivo nazionale di lavoro che presenta le migliori condizioni per i lavoratori”, senza alcun riferimento ai criteri che presiedono, nell’ordinamento italiano, all’individuazione del contratto collettivo di diritto comune applicabile;
  • alla lettera ggg) del comma 1, la necessità di introduzione nei bandi di appalto pubblici di “clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”.
  • al comma 10, in tema di cambi di appalto nel settore dei call centre, l’introduzione di un obbligo a carico dell’appaltatore subentrante di riassorbimento del personale dipendente dall’appaltatore cessante, destinato a essere regolato nel contratto collettivo applicabile, o, in sua assenza, in un decreto ministeriale. A quest’ultimo proposito si osserva che la disposizione affida al contratto collettivo o al decreto soltanto la regolazione dell’attuazione dell’obbligo in questione, il quale pertanto è comunque destinato a essere sancito in modo non derogabile dalla norma legislativa.

In particolare, si raccomanda alla Commissione di merito di valutare l’opportunità di integrare il testo legislativo in coerenza con il parere espresso in data odierna dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, nel quale si precisa che “Con specifico riferimento alla c.d. clausola sociale chiamata anche di assorbimento del personale impiegato dal precedente aggiudicatario, rientrando questa fra le condizioni particolari di esecuzione del contratto (che, ai sensi dell’art. 69 del Codice dei contratti, le stazioni appaltanti possono imporre all’aggiudicatario) sulla cui compatibilità con il diritto comunitario l’Autorità può essere chiamata a esprimere valutazioni ex art. 69, comma 3, del Codice, si evidenzia che, secondo il consolidato orientamento dell’Autorità, il riassorbimento dei lavoratori deve essere armonizzabile con l’organizzazione dell’impresa subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto e che pertanto può essere consentito soltanto previa valutazione di compatibilità con l’organizzazione di impresa. La clausola sociale, infatti, non può alterare o forzare la valutazione dell’aggiudicatario in ordine al dimensionamento dell’impresa e, in tal senso, non può imporre un obbligo di integrale riassorbimento dei lavoratori del pregresso appalto, senza adeguata considerazione delle mutate condizioni del nuovo appalto, del contesto sociale e di mercato o del contesto imprenditoriale in cui dette maestranze si inseriscono”.

Roma, 10 dicembre 2015

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