LA BUONA POLITICA E I TEMPI LUNGHI

IN UN SISTEMA DEMOCRATICO IL BUON POLITICO DEVE SAPER RACCOGLIERE IL CONSENSO MAGGIORITARIO INTORNO ALLE PROPRIE IDEE E PROGETTI. ENTRO QUANTO TEMPO?

Intervento di Pietro Ichino al congresso dei radicali – Chianciano, 31 ottobre 2008

Cari amici e compagni di strada,

           questo che vi invio per il tramite della cara e bravissima collega Donatella Poretti non è un saluto rituale.

           Non lo è perché mi sento unito a voi da un tratto che accomuna il mio modo di vivere la politica al vostro. Cerco di spiegare che cosa intendo dire.

           In un sistema democratico, il buon politico deve saper raccogliere il consenso maggioritario intorno alle proprie idee e progetti. Entro quanto tempo? Molti considerano che la sola politica buona sia quella che produce il consenso maggioritario subito, o almeno in tempi brevi. Invece è politica buona anche quella che guarda a orizzonti lontani, che dà il raccolto dopo anni, o persino dopo decenni dalla seminagione; quella che implica il saper accettare l’impopolarità; quella che, dunque, richiede un sovrano disinteresse per il potere e un grande amore per le proprie idee. Ecco, voi non avete mai avuto paura dei tempi lunghi o dell’essere minoranza. Voi avete sempre fatto politica solo per il fuoco che vi sentivate (e sentite) ardere dentro.

           Nessuno snobismo, beninteso, verso i politici del primo tipo: quelli che sanno fiutare il consenso e raccoglierlo subito in gran copia. Ma sono necessari pure – e assai più rari ‑ quelli del secondo tipo; e forse, sulla distanza, sono quelli più utili al loro Paese.

           Per quel che mi riguarda, non so se e quanto riuscirò a essere utile al mio Paese in Parlamento, neppure sulla lunga distanza. Ma una cosa è certa: ci sono venuto soltanto per le mie idee – buone o cattive che siano – e non per il potere. È certamente per questo che il numero delle legislature che mi vedono in Parlamento è sempre un multiplo di otto: la prima fu l’ottava, questa è la sedicesima, la prossima sarà probabilmente la ventiquattresima; e non me ne dolgo per nulla.

           Se la buona politica fosse soltanto quella del consenso immediato, la mia prima esperienza parlamentare, tra il 1979 e il 1983, non potrebbe che essere considerata disastrosa: non soltanto appartenevo a un partito di opposizione, ma ero eccentrico anche rispetto a quello, guardato un po’ come un marziano dal mio stesso gruppo (lo ero forse un po’ meno da quel gruppo di scalmanati accanto ai quali mi trovavo per caso ad avere il seggio, su in piccionaia: i Franco Roccella, le Adele Faccio, i Roberto Cicciomessere). Però allora forse non fu inutile parlare, come nel deserto, di necessità di riconoscimento e promozione del part-time, delle agenzie di lavoro temporaneo, o del superamento del monopolio statale dei servizi di collocamento; dell’assurdità di una Cassa integrazione erogata a vita; del danno prodotto dalla scala mobile ai salari reali; e di altre cose ancora che allora erano considerate eresie, a sinistra come a destra. Fatto sta che nel giro di quin­dici anni tutte quelle eresie sono diventate dottrina ortodossa; e probabilmente era neces­sario che qualcuno incominciasse a gettare il seme molto prima che maturasse il frutto.

           Oggi, comunque, non è come allora: il Partito Democratico ‑ alla cui fondazione ho dato e continuo a dare con convinzione il mio minuscolo contributo ‑ è nato proprio perché le idee buone non abbiano bisogno di quindici anni per maturare. Che poi, nel campo di mia competenza, io oggi porti idee buone è tutto da dimostrare. Una cosa però è certa: sono idee in larga parte identiche a quelle che voi sostenete in questo campo. Per questo è una grande gioia per me lavorare gomito a gomito con voi in Parlamento e nel Paese.

           Vi auguro di tutto cuore buon lavoro!

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