DUE CASI PARTICOLARI, MA NIENTE AFFATTO ISOLATI, MOSTRANO L’IMPORTANZA SOCIALE DEI BUONI-LAVORO PER ABBATTERE IL DIAFRAMMA TRA L’OFFERTA DI MANODOPERA DI SOGGETTI DEBOLI E UNA DOMANDA DI LAVORO CHE C’È E CHE SAREBBE UN DELITTO LASCIARE INUTILIZZATA
Editoriale telegrafico pubblicato sul Corriere della Sera il 25 marzo 2017 – In argomento v. anche il mio articolo pubblicato il 17 marzo scorso su lavoce.info e il Foglio, La storia surreale del voucher che toglie dignità al lavoro .
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Mariarosa è una simpatica ragazza che soffre di un deficit psichico non gravissimo, ma tale da impedirle di trovare un lavoro normale. Lei comunque non si rassegna, e alla fine trova la cooperativa “Di Mano in Mano”, che ricicla ciò che le famiglie scartano – mobili, indumenti, stoviglie, ecc. – mettendolo a disposizione della povera gente a prezzi stracciati. Mariarosa, come altre quattro o cinque persone con attitudini “non standard”, è capace di lavorare due o tre ore al giorno, mettendo in bell’ordine gli oggetti sugli scaffali nel locale di vendita. Quando non se la sente non va al lavoro; quando si sente stanca, stacca prima del previsto; ma in questo modo si è guadagnata fin qui intorno ai 300 euro al mese, con cui ha contribuito al bilancio familiare. Mariarosa non si sentiva affatto lesa nella sua dignità per il fatto di essere retribuita con i buoni-lavoro: il suo è evidentemente un rapporto che non potrebbe svolgersi regolarmente in altra forma. Si sente invece offesa ora che i buoni-lavoro sono stati soppressi e quel lavoro lo ha perso.
“Abc La sapienza in tavola” è una cooperativa che organizza il lavoro dei detenuti del carcere di Bollate: alcuni di loro sono assunti stabilmente per un servizio permanente di ristorante aperto al pubblico; altri, una quindicina, beneficiando di un regime di detenzione che lo consente, vengono utilizzati occasionalmente, a rotazione, come camerieri per servizi di catering svolti dalla cooperativa fuori dal carcere. L’unico modo per retribuirli regolarmente sono i buoni-lavoro. Ora che questi non ci sono più, la loro attività non è più possibile; e con essa non è più possibile per quei quindici reclusi il godimento della misura penitenziaria alternativa, che costituisce la migliore premessa per un reinserimento positivo nella società civile, quando la pena sarà stata interamente scontata.
Il mondo del lavoro è fatto anche di questi casi. Chiamiamolo come vogliamo: lavoro marginale, accessorio, occasionale; ma non impediamogli di esistere.
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