BENE SUL LAVORO AUTONOMO, MA TROPPO PIOMBO NELLE ALI DEL “LAVORO AGILE”

Non si preserva l’agilità se l’accordo tra le parti viene appesantito con costi di transazione superflui, che mi sembra nascano da una nostra perniciosa tendenza all’iper-regolazione

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Testo del disegno di legge n. 2233-C, approvato senza modifiche dal Senato nella seduta del 10 maggio 2017 – Segue il mio intervento svolto nella sessione pomeridiana del Senato del 9 maggio 2017, nella discussione generale in terza lettura dello stesso d.d.l. – In argomento v. anche la nota tecnica sullo stesso disegno di legge, del settembre 2016, e il mio editoriale telegrafico del 28 settembre 2016,
Cerchiamo di mantenere agile il “lavoro agile”        ..

 

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Scarica il testo definitivo della legge, che entrerà in vigore nei giorni prossimi

 

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PRESIDENTE – Ha chiesto di parlare il senatore Ichino. Ne ha facoltà.

Pietro Ichino 4ICHINO (Pd) – Grazie, Presidente. Nel mio intervento in sede di discussione generale in prima lettura, del 26 ottobre scorso, ho sottolineato il valore positivo del provvedimento al nostro esame, in quanto esso volta pagina rispetto a una lunga stagione nella quale il diritto del lavoro ha considerato il lavoro autonomo come ontologicamente estraneo al proprio campo di applicazione. Ora finalmente si riconosce in modo organico e compiuto che anche il lavoro autonomo ha alcune esigenze di sicurezza, delle quali però non si può far carico al contratto tra le parti, salvo correggere le eventuali distorsioni derivanti da situazioni di sostanziale dipendenza economica del prestatore dal committente, o da abusi di posizione dominante da parte di quest’ultimo, come fannno gli articoli 2 e 3 del testo legislativo. Le esigenze di sicurezza del prestatore possono e devono, invece, essere soddisfatte nell’ambito del rapporto previdenziale, come molto opportunamente fa questo provvedimento, in materia di malattia, maternità e – per i collaboratori autonomi continuativi – disoccupazione.

Il mondo del lavoro autonomo chiede soprattutto una riduzione del “cuneo fiscale e contributivo”, che sui redditi di questa categoria incide persino più di quanto incida sui redditi di lavoro dipendente. Sotto questo punto di vista non si può non salutare con favore la soluzione definitiva della questione del contributo previdenziale alla Gestione speciale dell’Inps per i lavoratori autonomi privi di una Cassa previdenziale di categoria.

Anche sulla seconda parte del disegno di legge, costituita ora dagli articoli da 18 a 23, richiamo le notazioni positive svolte in quell’intervento, che si limitano però all’apprezzamento della ratio legis, dell’intendimento del legislatore di promuovere e favorire quello che ora viene battezzato “lavoro agile”, ovvero il rapporto di lavoro nel quale per un determinato segmento temporale la prestazione lavorativa è esentata dal vincolo contrattuale del coordinamento spazio-temporale, assumendo così i tratti essenziali della prestazione autonoma. Tuttavia, visto che sia in questo ramo del Parlamento sia nell’altro su questa legge si è registrata una convergenza insolitamente ampia di consensi, mi sia consentito proporre, su questa seconda parte, alcune osservazioni critiche fuori dal coro, senza che questo venga considerato come una nota stonata. È chiaro che queste osservazioni non mirano a ulteriori emendamenti, poiché si vuole che il testo diventi finalmente legge già domani; è utile però che esse restino a verbale a futura memoria, in modo che, se l’esperienza pratica dell’applicazione della nuova legge mostrerà che esse hanno qualche fondamento, se ne possa tener conto negli aggiustamenti legislativi futuri.

Lavoro-agileIl rischio che vedo è che le disposizioni contenute in questo capo II del provvedimento possano ridurre quell’agilità del rapporto che invece vogliamo promuovere e preservare. Non si preserva l’agilità se l’accordo tra le parti viene appesantito con costi di transazione superflui, che mi sembra nascano da una nostra perniciosa tendenza, soprattutto in materia di lavoro, all’iper-regolazione, alla legificazione di ogni aspetto del rapporto, anche dove non ce n’è alcuna utilità, salvo che per i burocrati ministeriali, cui la complicazione legislativa attribuisce la funzione di “sacerdoti dei sacri misteri, cioè di interpretazione del testo legislativo mediante circolari, e per il ceto dei consulenti del lavoro, la cui opera è resa indispensabile.

Costituisce un aumento ingiustificato dei costi di transazione anche l’ipertrofia delle norme, la produzione di testi legislativi nei quali si dicono in venti righe cose che si potrebbero dire in una sola. O, peggio, si ripete inutilmente con parole nuove ciò che è già detto da una norma generale, in riferimento a una fattispecie particolare. Ogni regola enunciata nuovamente, con parole nuove, dà luogo allo sforzo di stuoli di interpreti per individuare ogni minima differenza di significato ravvisabile in ciascuna parola nuova utilizzata dal legislatore. Del resto, anche soltanto l’aggiunta di quelle venti righe per non dire niente di nuovo costituisce un aggravio dei costi di transazione, poiché obbliga tutti gli operatori a ingaggiare un consulente per accertare che la nuova legge non disponga una variazione della disciplina.

Per esempio, in mesi di discussione su questo nuovo testo legislativo, non ho trovato nessuno che mi abbia spiegato che cosa aggiunga l’articolo 21 alla disciplina generale applicabile a tutti i rapporti di lavoro in materia di controllo a distanza. Sette righe di Gazzetta Ufficiale del tutto inutili, ma dannose per il fatto stesso di esservi inserite, per la complicazione della vita dei cittadini che esse di per sé comportano.

lavoro-agile 2Allo stesso modo, in mesi di discussione su questo testo legislativo non ho trovato nessuno che mi abbia spiegato che cosa aggiunga l’articolo 22 alla tutela generale della sicurezza del lavoratore subordinato. Altre quindici righe del tutto inutili.

Immagino i fiumi di inchiostro che verranno versati per spiegare come si concilii la menzione, nell’articolo 18, comma 1, dell’applicabilità dei “limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale” con la assoluta libertà della persona interessata circa il tempo della propria prestazione (“senza precisi vincoli di orario”, recita in altra parte lo stesso comma 1).

Sempre sul piano della chiarezza, semplicità e leggibilità dei testi legislativi, non si fa apprezzare positivamente che alla Camera si sia inserito in questo disegno di legge, come un vagoncino attaccato al treno di passaggio in una stazione ferroviaria, l’articolo 24 contenente una norma in materia di contribuzione previdenziale per le assistenti domiciliari di Bolzano, che non credo siano inquadrabili né nella categoria del lavoro autonomo, né nella nuova figura del lavoro agile.

Ma vi è di più.

Si può capire che la nuova legge imponga alle parti l’obbligo di stipulare l’accordo concernente il lavoro agile in forma scritta, anche se questo configura un piccolo peso in più rispetto all’ordinamento oggi vigente, che ne consente anche la pattuizione orale. Ma se si impone pure che l’atto scritto definisca “le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e gli strumenti utilizzati dal lavoratore” (articolo 19), e poi si aggiunge che lo stesso atto scritto deve anche individuare “le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari” (articolo 21 secondo comma), si costringe, senza che ce ne sia una ragione apprezzabile, l’impresa di dimensioni piccole e medie ad avvalersi di un consulente o avvocato. Al quale peraltro si dà – come si suol dire – una gatta da pelare non facile: che cosa si potrà mai scrivere di utile circa “le forme di esercizio del potere direttivo”, oppure circa le condotte particolari che possono dare luogo a sanzioni disciplinari, in relazione a una prestazione destinata a svolgersi al di fuori del perimetro aziendale e nei tempi liberamente decisi dal lavoratore? Ma, soprattutto, quale funzione protettiva possono mai, in concreto, svolgere queste due disposizioni? Qual è l’abuso del potere direttivo del datore, o del potere disciplinare, che si vuole prevenire?

Lavoro agile 3Se quel primo vincolo formale, di cui all’articolo 22, appare scarsamente utile e potenzialmente dannoso, ancor più questo va detto dell’obbligo di consegnare al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale siano individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (articolo 22).

Qui osservo che nella stragrande maggioranza dei casi di lavoro agile – che già esiste e già è praticato in numerosissimi casi nel nostro tessuto produttivo – questa forma di lavoro consiste in un’attività svolta mediante computer collegato a distanza con l’organizzazione aziendale: dove il rischio aggiuntivo, il rischio differenziale del lavorare a casa propria o dove si preferisce, è francamente assai poco apprezzabile, salvo che ci si riferisca al rischio del chiodo sporgente dalla panchina del parco, cui accennava il senatore Sacconi nella relazione introduttiva di questo dibattito.

Altro sarebbe il discorso se questo obbligo venisse imposto soltanto là dove ci sia uno specifico rischio aggiuntivo; quindi non in qualsiasi caso, ma solo nei casi in cui, per le sostanze utilizzate o per il macchinario che deve essere utilizzato, nello svolgimento dell’attività fuori dei locali aziendali sia ravvisabile un concreto rischio aggiuntivo.

Nel mio intervento dell’ottobre scorso osservavo, su questo punto, come l’errore che qui si ripete sia lo stesso che ha caratterizzato gran parte della legislazione del lavoro nella stagione passata.

In ogni occasione promettiamo agli operatori economici semplificazione normativa e abolizione degli adempimenti inutili. Ma poi, nel momento in cui vogliamo promuovere il lavoro agile, cadiamo nella tentazione della iperregolazione e dell’imposizione di adempimenti che non sussistono in alcun ordinamento che noi conosciamo.

Lavoro agile 4Un discorso diverso va svolto in riferimento all’articolo 23, in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e in particolare di infortunio in itinere. Qui una norma specifica in riferimento al lavoro agile poteva effettivamente rendersi opportuna; ma solo per precisare che non costituisce mai infortunio in itinere coperto dall’assicurazione obbligatoria quello in cui sia incorso il lavoratore nella frazione della sua prestazione qualificabile come “lavoro agile”. Nell’ambito di quella frazione, infatti, la persona interessata non è in alcun modo obbligata a muoversi da casa propria; se si muove lo fa per propria libera scelta, con i mezzi che preferisce, per una destinazione che non è contrattualmente obbligata a raggiungere. Così stando le cose, se invece – come si fa nell’articolo 23 – si dispone che la copertura assicurativa obbligatoria si estende agli “infortuni occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali […]”, questa disposizione rende possibile al “lavoratore agile” di far passare per infortunio sul lavoro qualsiasi incidente stradale. Né vale a evitarlo l’aggiunta della condizione: “[…] quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative”. È ovvio, infatti, che se l’interessato era in viaggio, questo rispondeva a una qualche sua “esigenza di vita”; basterà, dunque, che egli affermi che nel luogo di destinazione sarebbe stata svolta una parte anche minima della prestazione lavorativa, perché questo determini l’applicabilità del trattamento Inail. Con connesso aggravio del contributo a carico del datore di lavoro. Un altro po’ di piombo nelle ali del lavoro agile.

Per concludere, questo secondo capo del disegno di legge avrebbe potuto ridursi a due articoli di un comma ciascuno, rispettivamente per confermare il diritto di cittadinanza della nuova fattispecie nell’ordinamento e garantire il “diritto alla disconnessione” nelle undici ore del riposo giornaliero minimo garantite dalla direttiva europea e dal decreto legislativo n. 66 del 2003. Così avremmo varato una normativa agile, in sintonia con le esigenze della fattispecie disciplinata. Per questo aspetto, invece, mi sembra che dobbiamo registrare un’occasione persa e un passo indietro sulla via della semplificazione della legislazione del lavoro. (applausi del gruppo Pd)

[…]

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