NON SI DIFENDE IL LAVORO CONSERVANDO I FERRI VECCHI

Tutti a parole concordano che l’essenziale è sostenere con forza i lavoratori nella transizione dal vecchio lavoro al nuovo; ma al dunque tutti considerano ovvio restare aggrappati con le unghie e coi denti al vecchio

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Editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 453, 16 ottobre 2017 – In argomento v. anche, più ampiamente, la mia relazione su Gli effetti dell’evoluzione tecnologica sul diritto del lavoro            .
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In queste settimane pullulano i convegni sugli effetti che il progresso tecnologico produce nel mondo del lavoro. Convegni nei quali si registra, senza eccezioni, una inconsueta convergenza di opinioni da sinistra e da destra, da sindacalisti e da imprenditori, sul punto che non ha alcun senso tentare di ritardare l’avvento di robot e intelligenza artificiale per difendere l’occupazione: ciò che occorre è sostenere economicamente e assistere con servizi efficaci le persone nella transizione dal lavoro vecchio a un lavoro nuovo, per il quale ci sarà comunque sempre spazio se lo sapremo progettare e promuovere. Tutti d’accordo, dunque. Ma soltanto a parole. Perché nei comportamenti concreti tutti fanno il contrario. Non parlo soltanto dello Stato, che continua a investire sulle politiche attive del lavoro – cioè sui servizi che possono sostenere davvero le persone nel passaggio dal lavoro vecchio al nuovo – soltanto un centesimo di quello che spende per le politiche passive: Cigs e trattamenti di disoccupazione.azienda che chiude Parlo anche della reazione pavloviana con cui tutti, dai sindacati ai partiti, dai sindaci ai monsignori, dalla stampa quotidiana ai talk-show, ogniqualvolta un’impresa di dimensioni medio-grandi preannunci la chiusura o una riduzione degli organici, si mobilitano per la “salvaguardia dei posti di lavoro”, al costo di attivare fiumi di Cigs e finanziamenti pubblici a fondo perduto. Ma davvero ogni crisi occupazionale è sempre l’effetto di miopia, incapacità, o avidità dell’imprenditore e non dell’obsolescenza delle strutture produttive? Davvero ogni volta il modo migliore di difendere il lavoro consiste nel difendere le vecchie strutture con le unghie e coi denti? Non sarebbe molto meglio destinare quel che spendiamo per puntellare i ferri vecchi ad assicurare alle persone coinvolte continuità di reddito per tutto il periodo necessario e servizi efficaci di riconversione professionale mirata al lavoro nuovo, per il quale non si trovano le persone capaci?

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